L’amico sensibile nel libro di Valli. Chi sia
stato Italo Calvino, il classico dei classici già in vita, l’autore che spaziò
dal neorealismo alla fiaba, dal fantastico alla sperimentazione dell’Oulipo attraversando
pure i territori del metaromanzo per mantenere sempre un rapporto dialettico
con la contemporaneità, appare ormai assodato. Eppure c’è ancora molto da
studiare e da compulsare del letterato ed è con questo obiettivo che la nuova
casa editrice Ventanas, nata per intuizione di Laura Putti e già molto attiva
nel primo mese di vita con lo sviluppo di tre collane, vuole celebrare al
meglio il centenario della nascita dello scrittore “ligure di Sanremo”. Lo fa
con “Italo. Una biografia, ricordi e sei articoli”, un agile libretto
dell’ultranovantenne Bernardo Valli, testimone di molti conflitti in Estremo
Oriente e a lungo firma di punta di Repubblica. In un’ottantina di pagine Valli
ricostruisce i suoi incontri con Calvino, nati al caffè Flore di Parigi dove
questi si era trasferito a partire dal 1967 e fino al 1980. Uomo preciso,
sensibile, meticoloso, a tratti sfuggente, intellettuale di razza, acuto, dalla
memoria prodigiosa, dall’ironia arguta e intelligente e ricco di immaginazione,
abile attore improvvisato, l’autore de: Le città invisibili
riemerge nelle pagine con curiosità, aneddoti, confronti talvolta aspri. Ne
risulta un ritratto a 360° di questa figura unica nel panorama culturale del
Novecento. Amava, su tutti, Conrad, su cui pure discusse la tesi di laurea in
Lettere nel 1947 a Torino quando già stava muovendo i primi passi alla Einaudi
(dove rimarrà fino al “divorzio” nel 1983), ma trovava interesse anche in Kafka
“realista”, in Maupassant “superficiale”, in Balzac poiché “visionario”, in
Dostoevskij “in quanto deforma con coerenza, furore e senza misura”. Più cauto
invece il giudizio su Manzoni e segnatamente sui Promessi Sposi: solo dopo anni
l’opinione inizialmente negativa si tradusse in una presa di posizione
favorevole allo scrittore che “sciacquò i panni in Arno”. Don Lisander “fu il
costruttore di una lingua piena d’arte e di significato - scriveva Calvino - ma
che si posa come uno strato di vernice sopra le cose, limpida e sensibile
quant’altre mai, ma pur sempre vernice”. Aveva intuito, negli ultimi di vita,
che tra l’agilità scattante della sua scrittura e i fatti dell’esistenza,
esisteva uno scarto, un divario netto e quasi incolmabile: eppure continuò
senza sosta a lavorare a quelle “Lezioni americane” che rappresentano il suo
testamento spirituale e letterario, ancora oggi un caposaldo più che mani
attuale.
L’amicizia giovanile, principiata tra i banchi del liceo Cassini di
Sanremo, tra Calvino e Scalfari si era nel tempo corrosa, come racconta Valli
riferendosi a una cena tra loro tre a fine anni Settanta. Poi accadde l’impensabile
e il sanremese passando dal Corriere della Sera a Repubblica come firma di
punta ritrovò quel vecchio compagno di scuola: il direttore, spesso definito
invadente da molti giornalisti, si ripromise di non “disturbare” l’illustre
amico. Illuminanti i sei articoli pubblicati nella seconda parte del libretto e
datati tra il 1977 e il 2012 nei quali Valli descrive, analizza, interroga lo
scrittore, ne desume informazioni e riflessioni offrendo uno spaccato oltre che
di lui anche dello stato della letteratura del tempo. “Ventiquattrore fa sono
uscito da casa Calvino con sotto il braccio le bozze di Se una notte
d’inverno un viaggiatore, il romanzo o l’antologia di romanzi, o il romanzo
dei romanzi”, racconta Valli sull’opera che molto apprezzò e che nel 1979 diede
ulteriore fama e prestigio al sanremese assegnando per la prima volta uno
spazio di grande risalto a una figura femminile, Ludmilla, personificazione
dello spirito della lettura. Se un classico, per usare una delle sue
espressioni più note, “è un libro che non ha mai smesso di dire quel che ha da
dire”, allora anche per Calvino non terminerà qui l’opera di scavo e di analisi
della sua vasta, proteiforme produzione. Valli e Ventanas, con “Italo”, vi
hanno aggiunto un tassello significativo.