Cosa spinge Giovanni Di Lena a
scrivere poesie? Egli, che non si esalta in endecasillabi e terzine e non si
prodiga in sonetti e ballate? Il bisogno di manifestare ciò che non accetta
della società, di certi uomini e del sistema che impongono. Non ci sta a farsi
passare sulla testa le loro malefatte. E denuncia: perché non basta avere
le mani pulite se le si tiene in tasca (don Milani). Questa è la morale interna
che scorre dall’una all’altra delle sue poesie. Questa la sua poetica. In questa silloge (Piccole
faville, Villani Ed. pagg. 64, 2022) troviamo il poeta, il lavoratore e il
cittadino deluso dalle ingiustizie e dalle iniquità di Istituzioni ed Autorità;
l’uomo che manifesta il suo animo, confessa attese tradite e speranze latenti.
Ma non è un poeta romantico e la sua poesia non è autobiografia.
L’autobiografia è sotto traccia, autobiografia dell’animo. In ogni riferimento
alla realtà avvertiamo la persona del Poeta, i fatti personali assumono
oggettività, colgono il comune sentire e la poesiaassurge
ad arte.
La copertina del libro
Il termine faville inducea pensaread intuizioni
secondo la poesia pura diBenedetto Croce. Vero. Ma è poesia
secca, come lo stile: lingua arida, ruvida, a volte tagliente, spesso
inquietante, sempre penetrante, che costringe a riflettere. Niente rima, non
ricercati funambolismi retorici, lepidezze verbali, né ardimenti lessicali.
Questa è la stimmung stilistica di Di
Lena: non riduttivamente ermetismo, specificatamente ermetismo dileniano. I temi della raccolta sono: Pisticci, la
Basilicata, il saccheggio delle sue ricchezze, la società, l’attualità, figure
e momenti personali. Queste piccole faville, più di una grande fiamma,alimentano il fuoco della vita dell’Autore e di ogni uomo.