La terra non è nostra, siamo noi ad essere della
terra. L'astrofisica Giovanna Tinetti ha
firmato un articolo uscito il 2 febbraio u.s. su “Domani”, in cui fra l'altro
ha scritto quanto segue:“Minerali
antichissimi, ci rivelano che prima della comparsa della vita, sulla Terra
c'era pochissimo ossigeno. Cosa è successo poi? I primi organismi presenti
sulla Terra sono stati i procarioti, che si sono sviluppati utilizzando come
sorgenti di energia per vivere e riprodursi vari tipi di specie molecolari
chimiche. Alcuni di loro, i metanogeni, producevano metano mangiando anidride
carbonica e idrogeno molecolare, altri si nutrivano di ioni di ferro. E un
certo punto alcune di queste specie cominciano a produrre come sostanza di
rifiuto ossigeno molecolare in atmosfera. E come può avvenire in un'evoluzione
darwiniana, alcune altre specie, con il passare dei milioni di anni, impararono
ad utilizzare l'ossigeno molecolare come uno dei reagenti del loro metabolismo.
La vita complessa, fatta da organismi pluricellulari, è energivora, e si è
potuta sviluppare sulla terra grazie all'uso dell'ossigeno come sostanza
metabolica e alla quantità di energia disponibile per unità di tempo. (…) Se la
vita è presente, la vita modifica l'atmosfera di un pianeta e crea dei
disequilibri chimici”. Scusandomi per la lunga citazione, da profano, ne ricavo
alcune personali convinzioni. Noi ci siamo grazie ai procarioti. Noi ci siamo perché
alcune forme di vita hanno utilizzato quello che per altre era un - rifiuto
-. Noi ci siamo perché la vita determina disequilibri, senza i quali altra vita
non potrebbe esserci. Azzardo che il mitologico Sisifo, se non vedesse ogni
volta rotolare a valle il macigno che spinge sino alla vetta, se il macigno
restasse una volta per tutte in vetta, sarebbe testimone della fine della vita.
E la terra che non ha confini, che non conosce imperi, che vive di disequilibri,
farebbe tranquillamente a meno di noi, che da perfetti - idioti -, credendo di
tagliar fuori altri, ci siamo chiusi dentro noi in fantomatici confini, noi che
incuranti della caduta di tutti gli imperi, crediamo ogni volta che l’ultimo
sia per sempre, noi che ci illudiamo che il nostro sia - un centro di gravità
permanente - intanto che tutto cambia, contro la nostra più stolta illusione
che tutto resti come vogliamo.