Quelle che qui pubblichiamo sono
le parole pronunciate nella Sala Polivalente del Cimitero di Lambrate a Milano
durante le esequie di Daniela Samuel moglie del nostro collaboratore Gabriele Scaramuzza. Siamo qui
a condividere l’esperienza umana, sempre traumatica, della perdita. È un trauma
che tutti noi adulti conosciamo per averlo sperimentato, in qualche modo, più
volte, poiché la vita non può che scorrere attraverso i suoi innumerevoli morti.
Non solo quelli che sono effettivamente defunti, ma tutte le morti - tutte le
perdite - che abbiamo simbolicamente vissuto. Oggi salutiamo Daniela. Non ho
avuto occasione di conoscerla bene, ma abbiamo condiviso il mare e il cielo di
Bonassola, nelle lunghe estati in cui la presenza sua, di Gabriele e di Sara mi
è stata familiare, percepita come amica, piena di partecipata vicinanza. Mi
sono sentito compreso, anche in momenti del mio ministero per me difficili,
critici. E sono molto grato per questo. Ci stringiamo intorno a lei. Alcuni
di noi forse sono credenti, altri no, altri ancora forse credono in un modo che
non so. Ma davvero sento che tutto ciò non ha alcuna importanza. Roland
Barthes, nel suo diario dedicato alla morte della madre (Dove lei non è)
ci rivolge questo invito: “non pregare, piuttosto benedire. Non è questo che
il lutto dovrebbe portare con sé?”. Credo che questo intento ci accomuni
tutti: benedire, nel senso proprio di bene-dire, di dire bene. In questo
significato il benedire è più che una preghiera, perché è una risposta di
gratitudine, un riconoscimento di quello che Daniela è stata per ciascuno di
noi, della ricchezza che ha portato nelle nostre vite. Il tempo guarisce ogni cosa, si
dice: ripara ogni lutto. Eppure (riprendo liberamente alcune considerazioni
dello psicoanalista Massimo Recalcati, tratte dal suo libro La luce delle
stelle morte) sperimentiamo che nessuna elaborazione del lutto può mai
compiersi pienamente. Resiste sempre un resto, qualcosa
di indimenticabile, che non ci consente di staccarci del tutto dalle nostre
perdite. È la nostalgia, che immagino già oggi, a pochi giorni dalla perdita di
Daniela, farà soffrire i suoi cari, presentandosi accompagnata al rimpianto,
ricordo di un passato felice ma irrimediabilmente perduto. Tuttavia non è precluso,
seppure non nell’immediato, un altro modo di sperimentare la nostalgia: la
nostalgia-gratitudine, appunto, che ritrova proprio in certi dettagli
indelebili del passato la forza per agire con più vitalità nel presente e per
progettarsi generativamente nell’avvenire. Credo che questa (penso soprattutto
alla figlia Sara) sia la forma essenziale e radicale che può assumere il compito
dell’ereditare. Riporto testualmente le parole di
Massimo Recalcati: “Sono grato ai miei innumerevoli morti per quel che ho
ricevuto: lo porto con me non come una reliquia da ossequiare, ma come qualcosa
che attende ancora la suarealizzazione, come un vento di primavera, un
vento australe che soffia da sud”. Traggo ancora, da Roland Barthes, un
altro passo, anch’esso contenuto nel suo Diario in morte della madre. Lo sento
come un auspicio, o un augurio, per Gabriele, perché possa, abbastanza presto,
abitare un analogo ordine di pensieri: “Mi sono sempre
(dolorosamente) stupito di potere - finalmente - vivere con la mia tristezza,
il che significa che essa è, alla lettera, sopportabile. Ma - forse - è
perché bene o male (ossia con l’impressione di non arrivarci) posso parlarla,
fraseggiarla. La mia cultura, il gusto della scrittura, mi danno questo potere
apotropaico.La mia tristezza è inesprimibile,
e tuttavia dicibile. Il fatto stesso che la lingua mi fornisca la parola
«intollerabile», realizza immediatamente una certa tollerabilità”. Vorrei concludere con una
benedizione rivolta da parte di tutti noi, viandanti come lei, a Daniela, per
accompagnarla nelle nuove regioni che immaginiamo stia esplorando, precedendoci
nel viaggio. Una benedizione che inizio leggendo
alcune parole di una poesia del poeta statunitense Edgar Lee Masters: Tutto è tuo,
sorella viandante;
entra nella sala del banchetto con questa certezza:
non avanzare timorosa come se dubitassi
d’essere la benvenuta – è tua la festa!
E non prendere solo un poco, rifiutando il di più
con un timido “grazie”.
È viva la tua anima? Allora che si nutra! (Da:
Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River) *Ex parroco di Bonassola, prete pensante e che faceva pensare, poi sospeso a divinis.
Daniela in una foto giovanile
Testimonianza di Francesca
Calabi* Un ricordo:
Ho conosciuto Daniela una ventina
di anni fa e abbiamo subito simpatizzato. Da quel momento siamo state in
rapporto continuo. Mi hanno sempre colpita l'apertura, il garbo, la disponibilità
all'ascolto di Daniela. La volontà di aiutare sia in piccole cose quotidiane,
sia nei bisogni più seri e gravi. Nel mio caso, si trattava di una piccola cosa
gradevole, nulla di grave, in cui, però, l'aiuto di Daniela è stato un momento
di piacevolezza e di rassicurazione. Mio figlio aveva scelto di iscriversi
all'Università di La Spezia. Doveva andarvi per il test d'ingresso. Non aveva
ancora trovato un appartamento o una stanza, Daniela gli ha offerto ospitalità
a Bonassola. Si è trattato di due o tre giorni -non un lungo periodo- che,
però, gli hanno dato un appoggio all'inizio della sua vita fuori casa. Ma,
soprattutto, nei confronti di altre persone Daniela agiva con determinazione ed
esprimeva la sua generosità e il suo appoggio: in particolare ricordo l'impegno
speso per offrire possibilità a delle signore ucraine cui, ancora parecchi anni
fa, aveva non solo dato lavoro come aiuto in casa, ma anche solidarietà e
ospitalità. E poi, voglio ricordare il suo stile nel mettere a suo agio le persone
quando le invitava a casa: la raffinatezza e la bontà delle cene,
l'elaborazione dei cibi, la piacevolezza e l'eleganza della presentazione,
l'abilità nel permettere a ogni convitato di avere uno spazio. Siamo spesso
andati insieme alla Scala: si era costituito proprio a partire da Gabriele e
Daniela un piccolo gruppo di amici, soci de "Gli amici del loggione",
che si trovava con grande piacere a sentire insieme gli spettacoli scaligeri.
Daniela, buona conoscitrice delle varie opere e di precedenti messe in scena,
leggeva anche le recensioni e i commenti sulle nuove versioni: con
atteggiamento riservato e per nulla saputo, riusciva sempre a dare una spiegazione,
un commento illuminante, affiancandosi in questo a Gabriele, nostro mentore e
guida nella fruizione dei vari pezzi. Anche a proposito degli studi che aveva
sostenuto con Mario Attilio Levi era sempre riservata. La sua tesi era stata su
Aristofane: considerava l'immagine che l'autore dà della presenza della musica,
della danza, dell'atletica rispetto allo studio di matematica, retorica,
scienze nella formazione educativa greca. L'aspetto rilevante della tesi era il
metodo di lettura seguito, la discussione iniziale sulla credibilità dei dati
desunti dalle commedie e sull'affidabilità delle testimonianze del comico, la
indagine analitica dei passi relativi al tema. Ho potuto cogliere l'originalità
del lavoro leggendo un articolo che Daniela aveva pubblicato nel 1972. Lei non
me ne aveva parlato, sempre discreta su se stessa e sul suo operare. Avevamo
parlato, invece, di una ricerca sulla produzione e le distribuzioni di grano a
Roma. Era un lavoro condotto con un approccio per quell'epoca innovativo, non una
storia événementielle, non una lettura di guerre e capi, ma una ricerca
sugli aspetti economici. Daniela ne parlava senza vantarsene, solo se
sollecitata. Infine, vorrei dire due parole sull'equilibrio che dimostrava nei
momenti difficili della malattia. Posso solo immaginare quello che ha passato:
all'esterno manteneva sempre un atteggiamento pacato, un'espressione
apparentemente serena, una capacità di controllo che mi hanno sempre molto
colpita.
*Filosofa, studiosa del pensiero dell’antichità greca.