DECRETO SICCITÀ di
Comitato Milanese Acquapubblica
Il
primo elemento che lascia perplessi in questo decreto varato dal Governo il 14
aprile 2023 è che mentre l’emergenza idrica è già una realtà, si dà un mese di
tempo per decidere quali devono essere gli interventi urgenti. Si comincia
quindi da zero? Nessuno al governo conosce già le problematiche connesse al
problema siccità? La cosa è molto preoccupante, tenendo conto che siamo già a
maggio. Per ora l’unica cosa decisa è la creazione di una cabina di regia
presieduta dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti e la nomina di un
commissario straordinario nazionale che potrà nominare altri commissari sui
territori. Nel Pnrr erano previste 124 infrastrutture idriche, ma adesso si
dice che solo una trentina verranno realizzate entro il ’26. Quindi la Corte
dei conti, in una recente relazione, ha rilevato una evidente difficoltà
pianificatoria proprio da parte del Mit a questo proposito. Al Commissario
straordinario vengono dati poteri straordinari. Può derogare a ogni legge e
resterà in carica fino al 31/12/23 con possibilità di proroga di un anno. Già
questo approccio indica che la siccità viene considerata ancora una emergenza
mentre sappiamo che è destinata a permanere a lungo, pur in periodi alterni, e
a peggiorare a causa dei cambiamenti climatici in atto. Non occorrono
commissari con poteri speciali per affrontare problemi che si conoscono da
anni, bensì la messa in rete di tutte le autorità idriche e idrauliche
competenti già presenti sui territori in modo da mettere in atto tutte le
possibili sinergie.Della cabina di
regia faranno parte componenti delle amministrazioni pubbliche e qualche
esperto a titolo gratuito e senza diritto di voto: non si dà quindi ruolo reale
agli esperti, forse perché hanno espresso ripetutamente la loro contrarietà a
puntare unicamente sulle infrastrutture per alleviare i problemi posti dalla
siccità.
Ma
cosa prevede questo decreto? Punti
chiave: 1).
La semplificazione delle procedure e delle norme per la realizzazione degli
investimenti idrici. Quando si parla di grandi opere ‘semplificazione’ vuol
sempre dire deregolamentazione a danno dei territori e dei lavoratori. Viene introdotta la
possibilità di ricorrere a poteri sostitutivi da parte della cabina di regia e
di “superamento del dissenso (sic!)” nei casi di opposizione di un Ente
territoriale interessato; si riducono i tempi relativi allo svolgimento della
Valutazione di Impatto Ambientale per l’adeguamento e la realizzazione delle
dighe. Ci
sono 4 mld del Pnrr a disposizione: 2 per l’approvvigionamento (infrastrutture
soprattutto al sud), 900 mln per gli acquedotti, 1 mld per fognature e
depurazione. 2).
L’aumento volume invasi esistenti e recupero di quelli dismessi (ci sono
500mila invasi nel nostro paese di cui è attivo il 70%). Inoltre si possono
realizzare liberamente invasi nei propri terreni per uso agricolo. Gli invasi
non sono la soluzione. Secondo il Cirf (Consorzio
italiano riqualificazione fluviale) ‘realizzare ulteriori bacini artificiali
senza toccare lo sperpero idrico del modello agricolo intensivo è una strategia
senza futuro. Il luogo dove va stoccata l’acqua è la falda, il suolo deve poter
trattenere l’acqua’. Tra
l’altro gli esperti suggeriscono di realizzare
sistemi di ricarica delle acque sotterranee, piuttosto della raccolta in
superficie, perché in questo modo si riduce l’evaporazione e si impedisce la
crescita di cianobatteri che possono produrre composti tossici. L’Unione Europea propone di agire in questa
direzione e sta stanziando molti fondi per la riqualificazione fluviale. È
stato stimato che per 1 euro speso per il ripristino degli ecosistemi se ne
recuperano almeno 8 in servizi ecosistemici. 3).
Il riutilizzo acque depurate per uso irriguo: questo punto potrebbe esser
valutato positivamente perché consente di risparmiare acqua in modo
consistente; oggi il recupero è fermo a livello nazionale al 4%. Il decreto
però non entra nel merito delle criticità, come la necessità di monitorare le
acque reflue per rilevare la presenza di eventuali agenti patogeni che
potrebbero contaminare le colture destinate ad uso alimentare. Inoltre, per
riutilizzare l’acqua che esce dai depuratori a scopo irriguo, occorre creare
sinergie con il mondo agricolo, sapendo che pochi impianti nel nostro paese
rientrano attualmente nella normativa di qualità pur prevista dalla
legislazione; occorrono poi infrastrutture dedicate, accordi con i consorzi
irrigui. Se poi si vuole utilizzare questa acqua anche per altri usi civici e
domestici non potabili, occorrono accordi con Comuni disponibili. Per ottenere
risultati non si può lasciare al caso e alla buona volontà di qualche
amministratore, ma si deve intraprendere un grosso lavoro di informazione su
tutto il territorio nazionale. 4).
Le norme per facilitare la costruzione di impianti di dissalazione dell’acqua
di mare, processo questo molto energivoro e ambientalmente nocivo, che vale la
pena utilizzare solo per la produzione di acqua potabile dove non esistono
altre soluzioni più idonee e che non rappresenta quindi una via sensata per il
nostro paese. In ogni caso non è assolutamente conveniente dissalare l’acqua
per usi agricoli.
Comunque si stabilisce la non assoggettabilità alla VIA (Valutazione Impatto
Ambientale) per gli impianti di desalinizzazione con capacità inferiore a 200
l/s.
Con la forte e spesso caotica crescita urbana del
secolo scorso, molti corsi d’acqua sono stati interrati e tombinati con
conseguenti grossi problemi di ordine idraulico e ambientale. Ripristinare
il reticolo idrografico è fondamentale per aumentare la disponibilità di acqua
per usi non potabili sia agricoli che urbani. Fermare la logistica e le
infrastrutture, strade, autostrade, rampe, rotonde che hanno impermeabilizzato
tutto uccidendo suolo e acqua; l’interesse pubblico deve prevalere su quello
privato. Ma di questo nel decreto non si parla. Pensiamo che questo decreto sia sbagliato e
che ben altre siano le misure da prendere. Prima di tutto occorre una visione
complessiva e strategica sull’uso delle risorse idriche se si vuole affrontare
una siccità destinata a diventare permanente. Nel decreto si punta solo alle
infrastrutture, non c’è la messa in campo di una programmazione degli utilizzi
tra i vari comparti, al fine di definire i massimi prelievi accettabili in una
situazione di scarsità, non si esclude nemmeno la deroga ai deflussi minimi
vitali dei corsi d’acqua e non si imposta quell’indispensabile riconversione
dell’agricoltura e dell’allevamento intensivi che sono contemporaneamente
vittime e concause della siccità. Non
ha senso continuare a coltivare il mais per esempio, cereale molto
idroesigente, per destinarlo alla produzione di mangimi. Va invece sollecitata
la riduzione della quota di consumo di prodotti di origine animale nella dieta;
in questo modo si avrebbero vantaggi anche dal punto di vista della
salute.Per convertire le colture va
naturalmente messa in atto una politica di incentivi. È urgente una legge
nazionale di tutela del suolo che è fondamentale nella salvaguardia degli ecosistemi
e della biodiversità ed è lentissimo nel ripristino (2000 anni per 10 cm) e
trattiene quasi 4 milioni di lt d’acqua per ettaro. La
soluzione più efficace per trattenere l’acqua è proprio quella naturale con il
ripristino del suolo: un suolo in buona salute, ricco di carbonio organico,
fornirebbe una riserva d’acqua superiore a quella di tutti gli invasi che si
vorrebbero ripristinare o costruire. In questo modo si fa anche sì che l’acqua piovana,
quando c’è, rimanga sul suolo invece di dilavare a causa della impermeabilità. A
Milano sono da recuperare, magari per indirizzarle al parco Sud, anche le
ingenti quantità di acqua, si tratta di milioni di metri cubi all’anno, che si
pompano da MM e garage sotterranei; le
stesse le acque si possono usare nei cicli industriali che non richiedono acque
potabili. Infine, si deve intervenire drasticamente sulla riduzione delle
perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile che oltre tutto passa
attraverso trattamenti costosissimi, ma i fondi previsti per la loro manutenzione
sono assolutamente al di sotto del minimo indispensabile (tre miliardi secondo
l’Ispra) a fronte di 900 mln. Le perdite sono al 44% nazionali, 23% Lombardia,
18% area metropolitana 15% Milano). Per concludere: cercare rimedi tecnologici
sempre più sofisticati non ci porterà alla soluzione dei problemi, anzi,
perpetuerà questo modello mentre la chiave è proprio cambiare questo modello e
riconciliarsi con la natura.