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venerdì 12 maggio 2023

DECRETO SICCITÀ
di Comitato Milanese Acquapubblica
 


Il primo elemento che lascia perplessi in questo decreto varato dal Governo il 14 aprile 2023 è che mentre l’emergenza idrica è già una realtà, si dà un mese di tempo per decidere quali devono essere gli interventi urgenti. Si comincia quindi da zero? Nessuno al governo conosce già le problematiche connesse al problema siccità? La cosa è molto preoccupante, tenendo conto che siamo già a maggio. Per ora l’unica cosa decisa è la creazione di una cabina di regia presieduta dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti e la nomina di un commissario straordinario nazionale che potrà nominare altri commissari sui territori. Nel Pnrr erano previste 124 infrastrutture idriche, ma adesso si dice che solo una trentina verranno realizzate entro il ’26. Quindi la Corte dei conti, in una recente relazione, ha rilevato una evidente difficoltà pianificatoria proprio da parte del Mit a questo proposito. Al Commissario straordinario vengono dati poteri straordinari. Può derogare a ogni legge e resterà in carica fino al 31/12/23 con possibilità di proroga di un anno. Già questo approccio indica che la siccità viene considerata ancora una emergenza mentre sappiamo che è destinata a permanere a lungo, pur in periodi alterni, e a peggiorare a causa dei cambiamenti climatici in atto. Non occorrono commissari con poteri speciali per affrontare problemi che si conoscono da anni, bensì la messa in rete di tutte le autorità idriche e idrauliche competenti già presenti sui territori in modo da mettere in atto tutte le possibili sinergie.  Della cabina di regia faranno parte componenti delle amministrazioni pubbliche e qualche esperto a titolo gratuito e senza diritto di voto: non si dà quindi ruolo reale agli esperti, forse perché hanno espresso ripetutamente la loro contrarietà a puntare unicamente sulle infrastrutture per alleviare i problemi posti dalla siccità. 
 


Ma cosa prevede questo decreto?
Punti chiave:
1). La semplificazione delle procedure e delle norme per la realizzazione degli investimenti idrici. Quando si parla di grandi opere ‘semplificazione’ vuol sempre dire deregolamentazione a danno dei territori e dei lavoratori. Viene introdotta la possibilità di ricorrere a poteri sostitutivi da parte della cabina di regia e di “superamento del dissenso (sic!)” nei casi di opposizione di un Ente territoriale interessato; si riducono i tempi relativi allo svolgimento della Valutazione di Impatto Ambientale per l’adeguamento e la realizzazione delle dighe. Ci sono 4 mld del Pnrr a disposizione: 2 per l’approvvigionamento (infrastrutture soprattutto al sud), 900 mln per gli acquedotti, 1 mld per fognature e depurazione.
 
2). L’aumento volume invasi esistenti e recupero di quelli dismessi (ci sono 500mila invasi nel nostro paese di cui è attivo il 70%). Inoltre si possono realizzare liberamente invasi nei propri terreni per uso agricolo. Gli invasi non sono la soluzione. Secondo il Cirf (Consorzio italiano riqualificazione fluviale) ‘realizzare ulteriori bacini artificiali senza toccare lo sperpero idrico del modello agricolo intensivo è una strategia senza futuro. Il luogo dove va stoccata l’acqua è la falda, il suolo deve poter trattenere l’acqua’.
Tra l’altro gli esperti suggeriscono di realizzare sistemi di ricarica delle acque sotterranee, piuttosto della raccolta in superficie, perché in questo modo si riduce l’evaporazione e si impedisce la crescita di cianobatteri che possono produrre composti tossici.
L’Unione Europea propone di agire in questa direzione e sta stanziando molti fondi per la riqualificazione fluviale. È stato stimato che per 1 euro speso per il ripristino degli ecosistemi se ne recuperano almeno 8 in servizi ecosistemici.
 
3). Il riutilizzo acque depurate per uso irriguo: questo punto potrebbe esser valutato positivamente perché consente di risparmiare acqua in modo consistente; oggi il recupero è fermo a livello nazionale al 4%. Il decreto però non entra nel merito delle criticità, come la necessità di monitorare le acque reflue per rilevare la presenza di eventuali agenti patogeni che potrebbero contaminare le colture destinate ad uso alimentare. Inoltre, per riutilizzare l’acqua che esce dai depuratori a scopo irriguo, occorre creare sinergie con il mondo agricolo, sapendo che pochi impianti nel nostro paese rientrano attualmente nella normativa di qualità pur prevista dalla legislazione; occorrono poi infrastrutture dedicate, accordi con i consorzi irrigui. Se poi si vuole utilizzare questa acqua anche per altri usi civici e domestici non potabili, occorrono accordi con Comuni disponibili. Per ottenere risultati non si può lasciare al caso e alla buona volontà di qualche amministratore, ma si deve intraprendere un grosso lavoro di informazione su tutto il territorio nazionale.
 
4). Le norme per facilitare la costruzione di impianti di dissalazione dell’acqua di mare, processo questo molto energivoro e ambientalmente nocivo, che vale la pena utilizzare solo per la produzione di acqua potabile dove non esistono altre soluzioni più idonee e che non rappresenta quindi una via sensata per il nostro paese. In ogni caso non è assolutamente conveniente dissalare l’acqua per usi agricoli. Comunque si stabilisce la non assoggettabilità alla VIA (Valutazione Impatto Ambientale) per gli impianti di desalinizzazione con capacità inferiore a 200 l/s.



Con la forte e spesso caotica crescita urbana del secolo scorso, molti corsi d’acqua sono stati interrati e tombinati con conseguenti grossi problemi di ordine idraulico e ambientale. Ripristinare il reticolo idrografico è fondamentale per aumentare la disponibilità di acqua per usi non potabili sia agricoli che urbani. Fermare la logistica e le infrastrutture, strade, autostrade, rampe, rotonde che hanno impermeabilizzato tutto uccidendo suolo e acqua; l’interesse pubblico deve prevalere su quello privato. Ma di questo nel decreto non si parla. Pensiamo che questo decreto sia sbagliato e che ben altre siano le misure da prendere. Prima di tutto occorre una visione complessiva e strategica sull’uso delle risorse idriche se si vuole affrontare una siccità destinata a diventare permanente. Nel decreto si punta solo alle infrastrutture, non c’è la messa in campo di una programmazione degli utilizzi tra i vari comparti, al fine di definire i massimi prelievi accettabili in una situazione di scarsità, non si esclude nemmeno la deroga ai deflussi minimi vitali dei corsi d’acqua e non si imposta quell’indispensabile riconversione dell’agricoltura e dell’allevamento intensivi che sono contemporaneamente vittime e concause della siccità.
Non ha senso continuare a coltivare il mais per esempio, cereale molto idroesigente, per destinarlo alla produzione di mangimi. Va invece sollecitata la riduzione della quota di consumo di prodotti di origine animale nella dieta; in questo modo si avrebbero vantaggi anche dal punto di vista della salute.  Per convertire le colture va naturalmente messa in atto una politica di incentivi. È urgente una legge nazionale di tutela del suolo che è fondamentale nella salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità ed è lentissimo nel ripristino (2000 anni per 10 cm) e trattiene quasi 4 milioni di lt d’acqua per ettaro. La soluzione più efficace per trattenere l’acqua è proprio quella naturale con il ripristino del suolo: un suolo in buona salute, ricco di carbonio organico, fornirebbe una riserva d’acqua superiore a quella di tutti gli invasi che si vorrebbero ripristinare o costruire. In questo modo si fa anche sì che l’acqua piovana, quando c’è, rimanga sul suolo invece di dilavare a causa della impermeabilità. A Milano sono da recuperare, magari per indirizzarle al parco Sud, anche le ingenti quantità di acqua, si tratta di milioni di metri cubi all’anno, che si pompano da MM e garage sotterranei;
le stesse le acque si possono usare nei cicli industriali che non richiedono acque potabili. Infine, si deve intervenire drasticamente sulla riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile che oltre tutto passa attraverso trattamenti costosissimi, ma i fondi previsti per la loro manutenzione sono assolutamente al di sotto del minimo indispensabile (tre miliardi secondo l’Ispra) a fronte di 900 mln. Le perdite sono al 44% nazionali, 23% Lombardia, 18% area metropolitana 15% Milano). Per concludere: cercare rimedi tecnologici sempre più sofisticati non ci porterà alla soluzione dei problemi, anzi, perpetuerà questo modello mentre la chiave è proprio cambiare questo modello e riconciliarsi con la natura.