In
occasione del centenario della nascita. Don Lorenzo Milani è nato il 27 maggio 1923. Proveniva da una
famiglia ragguardevole di intellettuali e di borghesi illuminati. Divenuto
prete nel 1947, la sua indole intelligente, autonoma, anche ribelle, lo portò a
scontrarsi con le gerarchie ecclesiastiche su tante questioni, in primo luogo
sul collateralismo politico della Chiesa alla Dc e su ciò che scrisse in Esperienze
pastorali (libro ritirato dal commercio con decreto del Sant’Uffizio). Per
queste ragioni fu confinato, nel 1954, in una piccola e sperduta parrocchia a
Barbiana, nel comune di Vicchio del Mugello. Come disse Pier Paolo Pasolini, le
gerarchie pensavano così di spezzarlo, di annientarlo. In realtà gli fecero il
più grande dono. Don Milani veniva a trovarsi nel suo elemento, i poveri, gli
ultimi. Qui creò una scuola popolare di recupero per i ragazzi, figli di
montanari e di contadini, e a essa dedicò le migliori energie fino alla morte,
avvenuta nel giugno 1967 a soli 44 anni. Nel 1965 intervenne con lo scritto L’obbedienza
non è più una virtù a favore degli obiettori di coscienza al servizio
militare scontrandosi con i cappellani militari e con le gerarchie e subendo un
procedimento e un processo per apologia di reato. Memorabili in questa vicenda
la Lettera ai cappellani militari e la Lettera ai giudici. La forma-lettera è il genere letterario
prediletto. Capolavori letterari, appunto, le suddette lettere, le tante
missive ai suoi interlocutori raccolte in Lettere di don Lorenzo Milani
priore di Barbiana (Edizioni S. Paolo), ora nella preziosa edizione di Tutte
le opere, nei Meridiani Mondadori, e la lettera per eccellenza. Lettera a una professoressa apparve nel maggio 1967, poco prima della
sua morte e nelle sembianze di un libro collettivo (l’autore è “Scuola di
Barbiana”) dal momento che vi è depositata l'intera esperienza della scuola
popolare, la cui anima è sì don Milani, ma ha come retroterra l’esperienza, la
vita vissuta dei ragazzi coinvolti. In 28 capitoletti e con un io narrante (uno
dei ragazzi) viene esposta, in uno stile scarno, sobrio, secco, martellante,
con frasi brevi, concise, una sorta di “inversione dei valori”. Ne venne un
attacco diretto a “quella istituzione che chiamate scuola”, fatta per i
“Pierini del dottore” contro i Gianni e i Sandri, figli di montanari e di
contadini. Concepita la scuola paradossalmente non per guarire gli “ammalati”,
ma per promuovere i “sani”, selettiva e discriminatoria.
L'affermazione
iniziale è perentoria. Nella scuola popolare il privilegiato è “l'ultimo”, sono
i Sandri e i Gianni “Perché non c'è nulla che sia ingiusto quanto far le parti
eguali fra diseguali”. Il problema è che la scuola invece di attenuare le
sperequazioni le aggrava. Tuttavia per i contadini e i montanari la scuola è
importante. “La scuola sarà sempre meglio della merda” (delle mucche da
accudire). Inoltre lo stare assieme abitua alla cosa fondamentale, l’impulso a
organizzarsi. “Per esempio ho imparato che il problema degli altri è eguale al
mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l'avarizia”. La
posta in gioco è comunque “la Parola”. Nel muro della scuola di Barbiana vi era
scritto “l’operaio conosce 100 parole, il padrone 1000, per questo è lui il
padrone”. “Gianni disgraziato perché non si sa esprimere, lui fortunato che
appartiene al mondo grande. Fratello di tutta l'Africa, dell'Asia, dell'America
Latina. Conoscitore da dentro dei bisogni dei più” e “Pierino fortunato perché
sa parlare. Disgraziato perché parla troppo”.
La
visione espressa nella Lettera è apocalittica, anche manichea, “pasoliniana”,
con una potente carica evangelica, arcaica. In nome della irrimediabile
divisione del mondo in ricchi e poveri, colti e “poveri di spirito”, città e
campagna, Nord e Sud del mondo. Padre Ernesto Balducci, nella sua visione
planetaria dei problemi, affermò che la Barbiana reale si rivolgeva soprattutto
alle tante Barbiane del mondo. Una visione palingenetica, da appunto
“inversione dei valori”, che giunge anche a rinnegare i valori culturali e
letterari della tradizione (Omero, Monti, Foscolo), delle cosiddette lingue
morte, latino e greco, come appannaggio dei ricchi e congiura a danno dei
poveri. Una visione che portò don Milani a criticare severamente gli stessi partiti
della sinistra poiché i gruppi dirigenti erano formati da laureati, da
“pierini”. Il messaggio fu sconvolgente, suscitò entusiasmi e aspre polemiche,
anche perché l’attacco era diretto alla scuola dell’obbligo e alla scuola media
unificata (in Italia dal 1963), per molti di noi, delle classi subalterne, un
passo avanti enorme. Lettera
a una professoressa divenne uno dei libri del Sessantotto, al pari di libri
come I dannati della terra di Frantz Fanon, L’uomo a una dimensione di Marcuse, il Diario del Che, Il
capitale monopolistico dei Baran e Sweezy, la Autobiografia di Malcolm X ecc. Dal 1967 al 1972 sono state vendute 1
milione di copie e viene sistematicamente ristampato. Essa ha contribuito
potentemente a creare la cultura alternativa dell’antiautoritarismo, della contestazione
studentesca della scuola e dell'università di classe (autoritarie, selettive,
tradizionali). La carica fu travolgente. Ma alla fine del percorso, attraverso
gli anni settanta, come “eterogenesi dei fini”, varie dinamiche agirono, tra le
quali, ma non solo, la volontà delle classi dominanti di lasciare che la scuola
e l’università di massa si degradassero, subissero lo svilimento, il pauroso
discredito dell’abbassamento del livello intellettuale e morale della scuola. I
“pierini” si sono vendicati. Oggi nei primi anni di università spesso bisogna
organizzare corsi paralleli per l’alfabetizzazione di base. Letteralmente,
imparare a leggere e scrivere, con lezioni di calligrafia, di ortografia ecc.
Con l'altro aspetto collaterale, dell'analfabetismo di ritorno in società
cosiddette moderne e avanzate, ormai rese passive dai mass-media, dalla
televisione ecc., ma anche a causa dell’uso indiscriminato dei cosiddetti
“social”. I quali frammentano, frantumano il flusso coscienziale della
“narrazione”, del discorso compiuto, saggistico-conoscitivo o letterario che
sia. Il risultato è che oggi solo metà della popolazione italiana possiede la
capacità di intendere, anche a grandi linee, il contenuto di un semplice
articolo di giornale. La scuola di Barbiana doveva compiere la necessaria opera
iconoclasta, di contro alla scuola classista, clerico-fascista ecc. Doveva
mettere in fila le priorità nella conoscenza e nella cultura. Doveva favorire
l’irruzione delle masse di contadini e di montanari nel loro impossessarsi
della parola. Oggi occorre, in modo democratico e non discriminatorio, non
classista, ribadire che la conoscenza, il sapere, la cultura sono fatica,
dedizione, costruzione.
Per
noi la ricezione della lezione di don Milani e dell'esperienza della Scuola di
Barbiana avvenne nel generale clima suscitato dal Concilio Vaticano II e dal
profondo rinnovamento del mondo cattolico. Ricordo solo l’enciclica Populorum Progressio di Paolo VI e l'esperienza dell'Isolotto di Firenze e l'azione
di don Enzo Mazzi. E poi a seguire la Teologia della Liberazione e l’esperienza
dei Cristiani per il Socialismo. Un vento purificatore entro il generale moto
storico dei movimenti di emancipazione. Dei popoli su scala mondiale, in primo
luogo. La chiesa dei poveri e delle comunità di base come tentativo, ormai
quasi disperante, entro una istituzione come la Chiesa cattolica, vecchia di
migliaia d’anni, di recuperare l’ispirazione originaria, egualitaria,
libertaria del cristianesimo delle origini. L'intera opera di don Milani, anche
se in perfetta solitudine e non in relazione o organizzato con altri preti
ispirati alla chiesa dei poveri, andava comunque in questa direzione. Padre
Ernesto Balducci parlò di “rivoluzione antropologica” compiuta da don Milani.
L’eguaglianza non concepita solo nella dimensione materiale, economica. I
senzapotere, per mezzo del “voto” (la politica) e dello “sciopero” (il
sindacato), le grandi metafore usate nelle sue lettere, possono e debbono
organizzarsi per riuscire a “farsi eguali”. E la Parola (la lingua italiana
padroneggiata, la cultura, il sapere) rimane ancora oggi il mezzo fondamentale
per conseguire questo fine. Dopo l’intermezzo reazionario di Karol Woytila,
nella chiesa come istituzione, cominciò il cardinale Martini a valorizzare la
sua lezione, pur esprimendo alcune riserve (per esempio sul ruolo della donna).
Infine, nel 2017, per i 50 anni dalla scomparsa, a Barbiana si è recato Papa
Francesco a rendergli onore pregando sulla sua tomba. Così
tardivamente la “ditta”, come la definiva don Milani stesso, si è riconciliata
con lui. A opera di un capo della chiesa stessa non a caso venuto dalle
periferie del mondo.