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venerdì 5 maggio 2023

I LIBERAL CONSERVATORI   
di Luigi Mazzella

 
Dal crollo dell’impero sovietico, non v’è forza politica che non si definisca “liberale”. La necessità di fare ordine nei termini e nei concetti più abitualmente usati, parlando di “liberalismo”, è divenuta più essenziale che mai. E ciò possibilmente senza fare ricorso all’abusata tripartizione “destra-centro-sinistra” che può solo confondere ulteriormente le idee, anzi che chiarirle. La prima espressione da chiarire è “liberal conservatore” che non è affatto sinonimo di reazionario, anche se nell’uso comune v’è un uso promiscuo dei due termini. Un “reazionario” tende a ripristinare un assetto sociale e politico che è stato storicamente superato; è un fautore e un nostalgico del “passato”, del “vecchio” pregiudizialmente contrario al nuovo. Un “liberal conservatore”, invece, intende conservare “l’esistente” perché lo ritiene migliore di ogni mutamento della realtà socio-politica; non solo non vuole qualcosa di nuovo e di diverso, ma non intende neppure “ripristinare” un bel niente. Gli sta bene ciò che “è”. Punto!
Se si scende all’analisi delle situazioni politiche concrete, tutto diventa più chiaro.
L’azione politica di un liberal conservatore tende, infatti, a mantenere in vita (id est: conservare) il capitalismo industriale-manifatturiero che altre forze politiche e sociali vorrebbero trasformare in capitalismo finanziario o monetario, realizzando, in concreto, la profezia di Karl Marx. Con evidente pasticcio terminologico a volere ciò, sono invece (nel mondo anglosassone) i sedicenti liberal, che, per distinguersi dai conservatori, si auto-qualificano “progressisti” e “innovatori” e affermano di richiamarsi alla cultura europea della parte continentale che, com’è noto, è fortemente influenzata dalla cultura franco-tedesca (illuminismo gallico e idealismo hegeliano). Allo stato delle cose, quindi, è liberal chi contrasta il sistema industriale, con le sue asserite strutture manifatturiere inquinanti, ritenute responsabili della progressiva e ineluttabile distruzione del Pianeta (buco nell’ozono, riscaldamento della crosta terrestre e via dicendo). I liberal, pur senza dichiararlo espressamente (sarebbe un suicidio politico farlo), tendono a favorire il monetarismo dell’alta Finanza di Wall Street e della City e annoverano molti seguaci: i democratici americani, i laburisti e i liberal inglesi, i socialdemocratici e i cristiano sociali euro-continentali, i liberali dell’ALDE, italiani inclusi. 



I due schieramenti sono in guerra tra di loro e gli eserciti contrapposti conoscono bene il valore delle alleanze. Non sempre, però, all’intento coalizzatore corrispondono scelte adeguate. Lo schieramento liberal è molto più robusto a appare, allo stato, destinato a risultare vincente. Esso si attesta su posizioni universalistiche religiose (ecumenismo delle religioni monoteistiche mediorientali), politiche (marxismo) ed economiche (globalizzazione) e allinea: i finanzieri di New York e di Londra, i tecnocrati di Bruxelles, i banchieri e coloro che tramutano i loro risparmi in depositi bancari, i possessori di azioni immobiliari o mobiliari gestiti dagli istituti di credito (con o senza “bolle”) e altri operatori del settore, la Massoneria prevalentemente ebraica come equivalente  organizzato del coagulo di interessi ruotante intorno alla Chiesa cattolica e rappresentato dal Vaticano attraverso lo IOR, i partiti ex comunisti ed ex democristiani euro-continentali, i liberali di matrice idealistica tedesca, sedicenti liberal all’europea. I liberalconservatori, sostenitori dell’individualismo presocratico e precristiano, della politica come gestione della polis, della netta distinzione tra politica e morale, puntano sul malcontento della media borghesia che vede di malocchio lo sminuimento del ruolo dell’Uomo nel processo di produzione della ricchezza; sia a livello di ideatore, di creatore di opifici e di manager sia di lavoratore “del braccio e della mente” (come si diceva un tempo). La guerra, ovviamente, ha le sue regole inesorabili ed è essenziale capire e conoscere, senza incertezze, non soltanto chi sia il nemico ma anche quelli che possono essere gli eventuali alleati. In Italia, per esempio, la sconfitta dei liberal conservatori sembra segnata in modo irrimediabile dopo il voltafaccia del centro destra alle sue originarie istanze. Non vi sono, ormai, forze politiche che ritengono di dover contrastare la “mala-politica” dell’Unione Europea che impedisce investimenti nel settore produttivo e predilige nella distribuzione dei quattrini stanziati la destinazione alle misure pauperistiche (bonus, sussidi, redditi, cunei fiscali, riduzione delle tasse nelle aliquote più basse e via dicendo) e all’acquisto di oggetti prodotti aliunde. Per evitare che i tecnocrati di Bruxelles, nemici, su input anglo-americano, della ripresa industriale del vecchio Continente (un tempo egemone a livello mondiale) realizzino un diverso modello di civiltà (quello del finanzcapitalism previsto da Marx) facendo danni irreversibili all’economia industriale italiana ed europea occorrerebbe un partito liberalconservatore; che in Italia non c’è e che forse non ci sarà mai!