Territorio. L’eterna
incapacità di programmazione. Tra le annose questioni dei caratteri e dei
tratti distintivi dello stato-nazione Italia, una importante è la storica
mancanza strutturale della programmazione. Non la programmazione scritta.
Abbondiamo in buone intenzioni, in piani e leggi. La programmazione e la
pianificazione di un paese serio che appresta non solo le misure scritte, ma
che mette in fila l’attuazione, la realizzazione pratica con l’indicazione dei
vari passi in una visione di lungo periodo. Nella sacrosanta visione della
“lunga durata”. Le ragioni sono molte e si evita di andare troppo indietro nel
tempo della storia d’Italia. In gioco sono piuttosto le dinamiche particolari
di come si è costituito lo stato unitario, la qualità dei gruppi dirigenti, dei
ceti politici, la qualità delle classi dominanti e in particolare della
borghesia italiana ecc.
A proposito dei
disastri causati dalla calamità in Romagna. Certo all’opera sono il cambiamento
climatico e la crisi ambientale generale, planetaria. Ma poi c’è lo specifico
dell’Italia. Allora importante è il primo riferimento. Dopo la grave alluvione
dell’autunno 1966 nel Nord Italia e in Toscana, con la disastrata Firenze come
simbolo sinistro di tali eventi, il governo italiano si decise ad avviare la “Commissione
interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del
suolo”, cosiddetta “Commissione De Marchi”, dal nome di Giulio De Marchi,
ingegnere e professore universitario di grande valore. De Marchi è stato
esponente di quella borghesia intellettuale italiana nella stagione autentica
del riformismo italiano. Borghesia illuminata che per fortuna è esistita ed
esiste tuttora in Italia. Da contrapporre alla molto diffusa, parassitaria,
famelica, corrotta e corruttrice, borghesia. Entro il famoso capitalismo molto
assistito dallo Stato. Entro la cattiva gestione pubblica delle risorse, della
corruzione, degli sprechi, del voto di scambio, del clientelismo ecc. L’Italia
di allora era entro il regime democristiano, anche se mitigato nella stagione
dei vari governi del centrosinistra. Si costituì un ampio gruppo di lavoro di
molte figure professionali che dovevano redarre un piano per affrontare il
problema per cui venne costituita la Commissione. Questa lavorò dal 1967 al
1970. L’esito fu un documento memorabile, così dettagliato e rigoroso, di ben
2.800 pagine in cinque volumi. Il primo volume apparve nel 1970. In sintesi, si
diceva che occorrevano 30 anni (ripetiamo 30 e non l’effimera durata media di
un governo italiano) per realizzare il piano e che per la sua attuazione
occorrevano circa 9.000 miliardi di lire di allora. Oggi, rivalutati,
ammonterebbero a 70 miliardi di euro.
Il seguito è
quello classico italiano. “Adelante Pedro, con juicio”. Tutto è stato
vanificato. Gli interessi in campo hanno congiurato allora e congiurano
tuttora. Anzi, l’antropizzazione senza freni, la cementificazione e l’uso e
l’abuso del suolo aggravati hanno avuto libero corso. Con governi di destra e con
governi di centrosinistra, senza distinzione. Era quella la giusta visione
razionale della prevenzione e non della rincorsa a mettere in sesto il
territorio dopo le immancabili alluvioni, le immancabili siccità ecc. Una spesa
produttiva preventiva di contro alle enormi spese improduttive per riparare i
danni agli umani, alle cose, all’industria e all’agricoltura, all’ambiente. Oggi
lo scatenamento degli spiriti animali negazionistici delle destre al governo,
contro ambientalisti e contro chi governa attualmente la Regione Emilia
Romagna, è solo vergognoso e ributtante. Ma nessuno si ritenga assolto, destre
e centrosinistra. E chi pensa di continuare come per l’innanzi, in alto in
primo luogo, ma anche in basso. È la prova provata che così non si può andare
avanti. Per il cambiamento climatico in atto e per come si gestiscono
normalmente i territori italiani.