HIROSHIMA? NON HA INSEGNATO NULLA di Franco Continolo
Èstata
opportuna la scelta di tenere il G7 a Hiroshima? I sopravvissuti e gli
attivisti per il disarmo nucleare, intervistati dall’AP, ritengono di no. Si è
trattato infatti di un G7 di guerra, e la visita di Zelensky ne è stata
l’espressione non solo simbolica. Al centro delle critiche è il primo ministro
Kishida che è stato eletto a Hiroshima; che non ha firmato il Trattato
per la Proibizione delle Armi Nucleari, il cui depositario è il Segretario
generale delle Nazioni Unite; e al quale si deve la scelta della città
come sede del vertice. Andrew Cockburn, capo della redazione politica di Harper’s,
prende spunto da questo disagio per riflettere sulla cattiva coscienza
americana. Il primo esempio di questa, l’autore lo prende dal WP che in un
servizio dal G7, riferendosi alla bomba, parlava di una città “severely
damaged”. Ma l’episodio più clamoroso di manipolazione della memoria, Cockburn
lo vede in un’iniziativa nippo-americana del 1956, quando 2.000 reperti
raccolti nel Hiroshima Bomb Museum furono messi da parte per
fare posto a una mostra, chiamata Atoms for Peace, che esaltava i
benefici dell’energia nucleare. Della manipolazione della storia fa invece
parte l’incerta conta dei morti di Hiroshima e Nagasaki - ne parla in un
interessante resoconto Alex Wellerstein. Ancora oggi la stima dei morti varia
tra una cifra più o meno ufficiale di 70.000 e 40.000 rispettivamente, e il
loro doppio, o oltre. Le fonti giapponesi condividono la responsabilità
dell’incertezza: per esempio si stima che a Hiroshima vivessero 30.000
lavoratori coreani non registrati, che quindi non rientrano nelle stime
ufficiali. È da notare inoltre che le stime sono molto approssimative già prima
del bombardamento. Per esempio, Oppenheimer che forse immaginava che i
cittadini di Hiroshima fossero preavvertiti con dei volantini, riteneva che non
ci sarebbero stati più di 20.000 morti, più o meno quelli di un
bombardamento incendiario su Tokyo. Truman pare invece avesse la testa nel
pallone. Chiudo, tornando al presente, con il colonnello Macgregor, citato ieri
da Bhadrakumar, che spiega la strategia vincente dei russi a Bakhmut: come
nel calcio c’erano - non ho idea se nel cacio “totale” di oggi valga la
stessa distinzione - i difensivisti o catenacciari e gli offensivisti, il
cui slogan era “la miglior difesa è l’attacco”, così in guerra ci sono quelli
per i quali il miglior attacco è la difesa. Esponente di valore di questa linea
è stato il generale sovietico Antonov al quale si deve la vittoria di Kursk.
Antonov, discendente da una famiglia di ufficiali al servizio dello zar, ebbe
il coraggio di contrastare Stalin, il quale alla fine cedette. Il generale
Surovikin, secondo Macgregor, sarebbe lo stratega che ha attirato gli ucraini
nel tritacarne di Bakhmut.