CUORE
E IDENTITÀ DEL SINDACATO Una
ricerca condotta da un gruppo di economisti della Banca Centrale Europea
presentata in questi giorni mostra che l'alta inflazione del 2022 è dovuta per
2/3 dall'aumento dei profitti lordi delle imprese e per 1/3 da quello del costo
del lavoro. Autorevoli commentatori ("Domani", "Il Foglio")
ricordano che le banche centrali hanno da sempre l'occhio fisso sugli aumenti
del costo del lavoro soprattutto perché il timore principale rimane quello di
una forza negoziale del sindacato capace di innestare quello che è ritenuto un
"circolo vizioso" fra inflazione e salari. Quel tipo di valutazione
portò, in Italia, all'abolizione della scala mobile nel 1985 (realizzata anche
alla propaganda della "Milano da bere" portata avanti nel referendum)
e all'apertura della stagione che ha portato al job act e al conseguente
declino del sindacato. Mi
è capitato di riflettere su questi elementi osservando, sabato scorso, la
piazza di Bologna nella quale - schematizzando al massimo - si sono
concretizzate le prove di una opposizione al governo di destra. Un'opposizione
da condurre nella politica e nel paese avendo come soggetti - perno il PD
post-primarie e due sezioni dell'antico sindacato confederale, CGIL e UIL (con
dentro, per quel che riguarda specialmente PD e CGIL un forte dato al vertice di
personalizzazione ben alimentata dall'articolato concerto dei media). Da parte
dell'avversario al governo siamo di fronte a un quadro di grande aggressività:
penso a temi come quello dell'atlantismo dentro la UE in tempi di guerra e al
tentativo di torsione autoritaria della democrazia repubblicana. Un quadro che
reclama necessità e urgenza di una forte opposizione politica e sociale. Purtuttavia
se si intende costruire una efficace collocazione oppositiva è necessario
analizzare la realtà sindacale.
Un'analisi
indispensabile in particolare se si vuol tornare alla ri-costruzione di un
blocco sociale antagonista e alternativo al grigio "mare magnum" che
sembra caratterizzare la sfilacciata società italiana. Andando per ordine: 1)Da un
lato va espressa da parte del sindacato una capacità di esprimere fino in fondo
la propria specificità rivolta la tutela degli interessi immediati dei lavoratori
dipendenti. La tutela degli interessi materiali dei lavoratori dipendenti (al
di là della vulgata: iscrizione FIOM, voto Lega) deve verificarsi nel quadro
della complessità sociale in atto e della pressante richiesta di "nuovi
diritti" anche individuali e di oppressioni "storiche" come
quella di genere o derivanti dai processi di integrazione. È questo il punto
d'appoggio (salario & diritti: tanto per racchiudere il tutto in uno
slogan) per risalire attraverso un faticoso processo di mediazione (fondato
sulla partecipazione consapevole dei militanti e mai delegato una volta per
tutte ai gruppi dirigenti) all’individuazione di momenti di sintesi, ossia di
priorità politiche. In pratica una democrazia interna non affidata alla
spontaneità ma a una verifica incessante delle strutture di base del sindacato,
dei suoi strumenti d’informazione e di formazione culturale, fino a determinare
il fatto che le scelte proposte ai lavoratori contengano davvero alternative
concrete; 2)
La
necessità che all’interno del sindacato si verifichi un incontro tra culture e
ideologie diverse e il loro confronto creativo. Da questo punto di vista la
sollecitazione nel rapporto tra soggettività politiche e sindacali non deve
rappresentare un condizionamento reciproco ma un vero e proprio stimolo in
avanti. In questo modo, attraverso la democrazia interna, il sindacato riuscirà
a produrre una cultura e un progetto politico in grado di fornire un contributo
reale anche alle forze politiche collocate sulla frontiera più avanzata dell’alternativa
di sistema. Debbono essere ricordati inoltre i pilastri sui quali poggiava
un'identità sindacale in grado di costruire quel "sindacato soggetto
politico" su cui molto si discusse durante il "30 gloriosi": Il
primo elemento che è necessario sottolineare è quello dei collegamenti
internazionali: oggi sono richiamate “convenzioni internazionali” sui diritti,
strumenti sicuramente importanti ma nella maggior parte disattesi. Il punto
risiede, invece, nella necessità di ripresa e sviluppo di organizzazioni
sindacali che, attorno al nodo della realtà economica e produttiva
internazionale, si muovano unitariamente in una dimensione transnazionale.
Chiediamo, allora, a quanti sicuramente conoscono la situazione meglio di noi:
come sta la CISL internazionale (cui anche la CGIL italiana aderì nel momento
della chiusura dell'esperienza della FSM. Esiste ancora? Quale posizione hanno
elaborato i sindacati europei sul tema della pace?).
Posta
questa domanda, passiamo ad elencare “i tre pilastri”: 1) Il Contratto Collettivo
nazionale di categoria: lo smantellamento di questo istituto ha rappresentato,
prima ancora che sul piano normativo ed economico, il punto essenziale per il
riconoscimento di un sindacato soggetto politico generale che ha, sempre e comunque,
la sua ragion d'essere; il decentramento sotto questo aspetto, che pure poteva
rappresentare parzialmente un momento di grande interesse nello sviluppo di
vertenze d'azienda e territoriali, non doveva sostituire il momento
fondamentale per un sindacato unitario dal punto di vista della rappresentanza
sociale, come quello della stipula del contratto collettivo nazionale di
categoria (su questo elemento si deve fondare anche l'opposizione allo
smembramento di ciò che è rimasto unitario del welfare - scuola, sanità -
previsto dall'autonomia differenziata); 2)La scala
mobile. Oggi, a distanza di tanti anni, credo si comprenda meglio il valore di
quella battaglia perduta e mi permetto di non aggiungere altro; 3) La rappresentanza di tipo
“consiliare” all'interno dei luoghi di lavoro. Senza alcun accento nostalgico
(di cui pure ci potrebbe essere ragione) è necessario ricordare come un
sindacato serio possa poggiare soltanto su di un’unità di base che i “consigli”
erano in grado di assicurare, pur dentro ad un dibattito acceso, non
unanimistico, che rifiutava - ed è questo un altro punto decisivo- il neo
corporativismo. Si
potrebbe ancora ricordare come la presenza contemporanea di questi tre elementi
(il contratto collettivo garantito dallo Statuto dei Lavoratori; la scala
mobile, il sindacato dei consigli emerso dalla grande stagione del 68-69)
coincise con il momento più forte e più alto della presenza sindacale nel
nostro Paese, e di avanzamento delle ragioni dei diritti e del miglioramento
della qualità della vita per tutti, non soltanto per i lavoratori dipendenti. Qualcuno
obietterà: c'era la classe operaia nelle grandi fabbriche: la classe operaia
forte, stabile, concentrata. Giustissimo, e la classe operaia era legata a
un’idea di sviluppo industriale che il nostro Paese, a differenza di altri
partner europei, ha abbandonato da tempo. Si è puntato, anche dal punto di
vista sindacale, su di una visione sbagliata del ciclo liberista scambiandolo
per la "modernità". Ancora oggi, in un mondo del lavoro ormai
completamente trasformato rispetto all'epoca di riferimento di questo
intervento e nel quale domina l'incertezza, il precariato e l'esclusione,
rimane fondamentale il ritorno al concetto decisivo e inestirpabile di
coscienza di classe (la coscienza di classe resta il "cuore"
dell'identità di un sindacato capace di esprimere, in questa società qui ed
ora, opposizione e alternativa).