Tra fantasmi e svelamenti. Bisogna partire dalla metà del libro, laddove l’autrice
estrinseca i propri pensieri più reconditi, calati in quella che a suo giudizio
è la migliore ambientazione possibile, per avvicinarsi a La vita incauta
(Editoriale Scientifica, 162 pagine), il quinto tassello di un mosaico sempre
più ricco e variegato della Collana S-Confini sfornato dall’Editoriale
Scientifica diretta da Fabrizio Coscia. Stavolta è Rossella Pretto traduttrice,
poetessa, con un passato anche da attrice, intellettuale poliedrica e
instancabile, a dare forma concreta a quella letteratura ibrida, non-fiction e,
nello specifico liric essay offrendo una prova convincente che unisce memoir, saggio,
cronaca quotidiana e invenzione e con un “controcanto” poetico-prosastico in
cui nell’architettura narrativa viene riportato alla luce quel capolavoro
shakespeariano di Macbeth così misterioso e geniale al tempo stesso. Il volume
raccoglie gli spunti di un viaggio tra Glasgow ed Edimburgo sino a Iona, là
dove sono sepolti il noto re Duncan I ucciso da Macbeth e quest’ultimo che del
primo fu inizialmente generale fedele e indefesso per poi trasformarsi in
omicida con lo scopo di prenderne il posto. È una riscoperta di sé quella che
Pretto ci permette di conoscere, tra fantasmi e incubi, ossessioni e speranze
in cui la storia del personaggio si interseca continuamente con quella della
scrittrice in una vorticosa ricerca della risposta alle proprie domande: del
resto buon sangue non mentre essendo lei nipote di un uomo coltissimo come Elio
Chinol, che fu traduttore dei saggi sulla poesia di Poe e dei Sonetti di
Shakespeare, amico di T. S. Elliot e di Montale e che nel 1971 portò sul
palcoscenico la traduzione di Macbeth con la Compagnia dei Quattro. Chinol lo
troviamo spesso tra le pagine, un nume tutelare, un protagonista capace di
segnare tutta l’esistenza di Pretto e al quale rivolgere parole di riconoscenza
nella schiettezza dell’immagine proiettata nel libro (“il nonno ha pagato uno
scotto per la famiglia. Ha rinunciato alla poesia”). Essere o agire, dunque?
Il
dilemma machbethiano, che arrovella donne e uomini di ogni epoca, segnatamente
gli animi nobili ed eroici, è il cuore dell’intero romanzo in un saliscendi di
emozioni e di visioni, mentre si affacciano alla vista in atmosfere grigie e
rarefatte paesi sperduti quasi ai confini del mondo che alimentano a loro volte
dubbi, disillusioni, sconvolgimenti. Henry James sosteneva che ogni uomo è un
intrico di dipendenze, nel quale vita e morte si tengono, senza soluzione di
continuità: occorre dunque procedere per intensità, com’è il ruolo di uno
scrittore, superando barriere mentali e collettive poste a presidio di una
comodità esistenziale in ciò inferendo quanto già Raboni (e la stessa Pretto
dando il titolo al volume) asseriva circa la “vita incauta”, quel groviglio
inestricabile connesso a ogni persona per il quale bene e male convivono,
talvolta coesistono. “Le mie streghe sono benigne, quelle che appaiono di
sicuro. A essere pericolosi invece sono i dubbi e le paure interiori” si legge
in un passo del testo: tuttavia, in virtù di quella “aderenza” all’agire, la
protagonista non rinuncerà ad andare sino in fondo, sulle tracce di Macbeth, ad
onta di tutto e di tutti. Sarà allora il caso di richiamare anche un vecchio
racconto della stessa autrice che ambientò la vicenda del generale regicida in
una Provenza assoluta, dove egli recriminerà sul proprio passato e sugli errori
compiuti. “La vita incauta” apre scenari affascinanti su una letteratura
palpitante di cuore e di mente che sublima nella storia e nella drammaturgia i
tormenti interiori.