Tutti
insieme, come a piazza Venezia. Gli
americani non riescono all’interno dei loro confini a evitare sparatorie (quasi
a giorni alterni) in scuole e centri commerciali con diecine di vittime scelte
a caso tra moltitudini assiepate, ma in Italia,
convertendo, dopo i democratici (tra cui gli ex comunisti duri e puri) anche
Giorgia Meloni all’Atlantismo e all’Europeismo hanno compiuto il “miracolo” di
liberarci da un pluralismo litigioso di opinioni e forse, secondo le voci più
malevoli, anche dal peso dei “ludi cartacei” della democrazia. C’è
chi sostiene che i nostri “amici” statunitensi non ne potevano più degli
italici fideismi religiosi (giudaici e cristiani) incrociati con
i fanatismi politici (fascismo e comunismo); che erano stufi dei
nostri tanti assolutismi in conflitto permanente e ineliminabile tra di
loro; che avvertivano stanchezza per le intolleranze reciproche che
rendevano impossibile, nel “Bel Paese” ogni dialogo e difficile il
percorso della nostra vita collettiva. Dopo la “conversione” della “pulzella
della Garbatella”, persuasa, con abili suggerimenti, a imbracciare l’ascia di
guerra che rese celebre Giovanna d’Arco, contro l’odiata Russia e in favore
dell’ucraino Zelensky, l’Italia è cambiata. Oggi
gli Italiani, grazie a tale “mutamento di fronte”, hanno raggiunto in politica
quella che, in altri campi, è definita la “pace dei sensi”. La
“pulzella della Garbatella”, si è mostrata una “Giovanna d’Arco”
solo a parole e per l’uso dei pantaloni al posto della gonna:
sedutasi sulla poltrona di palazzo Chigi (nella speranza di occupare, un
domani, il supremo seggio del Quirinale), la giovane Presidente ha
delegato al fido Crosetto il compito di alimentare i sentimenti più bellicosi
degli Italiani, ha eliminato dalla mente dei cittadini ogni problema di scelta
tra proposte politiche diverse; li ha praticamente convinti che solo la voglia
di occupare i posti di potere può essere alla base di ogni forza politica e che
lo scontro nell’agone politico deve essere visto come quello degli ultras del
calcio. Solo la diversità della maglia della propria squadra rispetto a
quella degli avversari legittima il “grido di guerra”. I partiti non
devono minimamente preoccuparsi di differenziare il rispettivo programma da
quello degli altri; non devono sforzarsi di offrire proposte “pratiche”
diverse: le soluzioni dei problemi devono risultare del tutto simili e
omologate. In altre parole, deve prevalere su tutto l’equazione: Meloni=Draghi=Schlein=Calenda=Renzi. Tutti
insieme appassionatamente per inneggiare all’atlantismo più sperticato, per
mostrarsi senza remore “guerrafondai” più della stessa America, a impegnarsi in
una nobile gara diretta a superarsi nell’invio di armi a Zelensky, a
spronare i giornali di partito a diffondere la propaganda d’oltreoceano e
d’oltremanica (come ai suoi tempi avveniva con i bollettini del Duce), ad
amare in modo sviscerato l’Unione Europea governata da vicerè graditi a Wall
Street e alla City, ad accettare le proposte di Bruxelles a scatola chiusa, a
considerarle come una manna caduta dal cielo (e ciò anche se le
misure bancarie assunte della De Lagarde risultano in contrasto con le opinioni
del fior fiore dei monetaristi, non solo italiani), a dichiararsi i
prosecutori della politica di Mario Draghi e disponibili per il bacio di
pantofole di varie autorità pubbliche (anche se un tempo criticate e
contestate). In una tale melassa di amorosi sensi politici la lotta assume solo
connotazioni personali, volte a stabilire chi debba sedere su troni, poltrone,
cadreghini o semplici strapuntini. C’è chi obietta che con la caduta del
pluralismo politico rischia di andare in sonno la democrazia e che prima o
poi lo scontro politico diventerà solo personale e si baserà sulla denuncia di
amori di un lontano passato secondo la prassi del metodo anglosassone. Se
ciò alla Meloni va bene, il suo popolo clerico-fascista non avrà difficoltà a
dire: amen!