Tra
i centenari che ricorrono nel 2023 non può passare sotto silenzio quello di
Giovanni Testori, personaggio di spicco della cultura del Secondo Novecento, critico
letterario e artistico, pittore, giornalista, poeta, saggista, autore teatrale
(fondatore della Compagnia del Teatro de Gli Incamminati), mercante d’arte, scrittore,
insomma intellettuale a tutto tondo, dal pensiero “controvento” e fuori dagli
schemi nell’epoca del conformismo imperante e dell’alba del politically correct.
Nato a Novate Milanese nel 1923 e scomparso all’età di 70 anni, il Testori editorialista
è protagonista di una pubblicazione apparsa per La nave di Teseo nella Collana
Le onde dal titolo Testori corsaro a firma di Alessandro Gnocchi, caporedattore
della sezione Cultura e Spettacoli de “Il Giornale”. In poco più di 140 pagine
ritroviamo l’acume e la sferzante polemica contro certi dogmi del tempo, veicolata
su quotidiani come il “Corriere della Sera”, di cui fu editorialista per diversi
anni firmandovi circa 800 pezzi, e sul settimanale “Il Sabato”, l’organo di
Comunione e Liberazione voluto da don Luigi Giussani. Omosessuale dichiarato, cristiano
cattolico lontano però da forme confessionali, nemico di ogni estremismo,
Testori, “erede” artistico di Roberto Longhi e Carlo Emilio Gadda, aveva in
odio la sociologia e la statistica poiché scienze “inesatte” che trasformavano
l’uomo in numero. Nelle pagine troviamo un interessante confronto-percorso tra
l’autore milanese e Pier Paolo Pasolini: i due, accomunati da diversi tratti di
vita e di professione, condivisero diverse battaglie pur da matrici differenti
e riuscirono, tra i pochi in Italia, a condurre una “politica” attenta all’umanesimo,
contro le logiche perverse di dominio e di poteri “senza volto”, nutrita di una
fede laica capace di guardare all’essere umano in quanto tale e lontano da ogni
sovrastruttura. In questo il “corsaro” Testori è stato lungimirante e anche
profetico quando accennava nei suoi scritti, fossero articoli di giornali o
testi apparsi in volume, all’ideologia disumanizzante, alla macchina che
avrebbero sostituito l’uomo (e non è forse così se ci riferiamo in
particolare all’intelligenza artificiale?), al consumismo sfrenato che seppellendo
le ideologie era divenuto esso stesso l’ideologia più deleteria e totalizzante
in grado di trasformarci tutti in esseri intercambiabili, semplici prodotti. Decisamente
contrario al divorzio, all’aborto, all’eutanasia, al materialismo, uomo astuto
e altrettanto fragile (il testo affronta anche un suo tentativo di suicidio durante
un viaggio in treno), lo troviamo impegnato sui temi del pacifismo in un’epoca,
quella sul finire dei Settanta, che vide in prima linea scrittori come Carlo
Cassola e Angelo Gaccione, ideatori di quella “Lega per il disarmo dell’Italia”
che molto movimentò a livello etico e civile e proprio per questo subendo
ostacoli e censure dall’intellighenzia tanto clericale quanto comunista e dai
grandi gruppi di potere editoriale.
La copertina del libro
Fustigatore di costumi, si trovò a contestare
apertamente un’edizione della Biennale con un corsivo corrosivo e caustico per non
dire degli attacchi rivolti ad alcuni eventi culturali finanziati dallo Stato per
cui fecero le spese alcuni noti artisti dell’epoca. Secondo Luca Doninelli, intervistato
in appendice del volume in oggetto da Gnocchi (le altre due conversazioni sono
con Vittorio Feltri e Giuseppe Frangi), Testori ha avuto più di tutto un grande
merito: “Leggere ciò che scriveva ci aveva fatto capire che esistevano parole
che rendevano possibile vivere insieme. La violenza non doveva per forza essere
l’orizzonte della società”. Il terrorismo, la religione, l’ambito sociale, la
politica divenuta ancella dell’economia e ancora il dramma di Alfredino Rampi,
il suicidio di un giovane milanese, i casi di cronaca nera che molti
intellettuali avrebbero ignorato: di tutto si interessò nei suoi articoli Testori,
a tutto prestò il proprio tempo, soprattutto portando in risalto fatti legati a
cittadini anonimi e sconosciuti, nei quali egli vedeva il volto di Cristo, l’aspetto
più vero e sincero di quel cristianesimo che tanto lo affascinava pur mantenendo
un’inquietudine di fondo. Lo scontro, negli anni in cui scriveva e, di fatto
sempre più oggigiorno, è tra secolarizzazione e tradizione: su tale dicotomia si
misura il dibattito politico, civile, sociale. Sparite le avanguardie,
dissoltesi le grandi visioni di massa, tutto è stato sostituito dal nichilismo,
prodotto di una società alla deriva di valori e di princìpi, che non sa più
distinguere tra bene e male poiché divenuti un tutt’uno. Come annota
lucidamente Gnocchi, anche la critica letteraria e più in generale il
giornalismo sono sempre più asserviti ai poteri dominanti in ciò creando un
vulnus alla libera e corretta informazione dei cittadini: ebbene Testori, anche
in questo, ha rappresentato un’eccezione, rifiutando sempre di accodarsi alle logiche
di mercato e scegliendo sempre ciò che non gli conveniva. L’era dei social
network con il loro dominio e l’invadenza quotidiana di essi nelle nostre vite
erano di là da venire eppure già trent’anni fa questo caparbio e tenace
intellettuale aveva messo in guardia da certe pericolose recrudescenze. A cent’anni
dalla nascita, di Testori non si può fare a meno: delle sue invettive, della
sua lucida concezione dell’uomo e del mondo, del suo appassionato attaccamento
alla vita. La sua scrittura è sempre più aria pura in un tempo mefitico.