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venerdì 16 giugno 2023

BERLUSCONI
di Gianmarco Pisa


 


Il clamoroso autogol di un lutto nazionale. 
 
Certamente la notizia della morte di Silvio Berlusconi non può lasciare indifferenti: per la rilevanza in sé dell’evento, legato a una figura pubblica di indubbia importanza nella storia civile e politica del nostro Paese degli ultimi quarant’anni; e per le implicazioni che comporta, in termini di giudizio civile e politico e, in prospettiva, di giudizio storico, sul lascito di una figura politica e istituzionale centrale. Tanto si è detto, sotto questo versante, e osservazioni puramente aggiuntive rischierebbero di essere oziose o ridondanti. Alla fine, senza poter esercitare compiutamente una valutazione di ordine storico che solo con la riflessione nel tempo e sui documenti potrà essere adeguatamente sviluppata, non c’è dubbio che la “cifra” del lascito politico di Berlusconi possa caratterizzarsi, tra gli altri, soprattutto per tre aspetti: l’avere dato forma, per la prima volta in Italia, ad una destra politica in grado di esercitare rilevanti funzioni politiche e istituzionali, di raccogliere un consenso di massa e tendenzialmente maggioritario e di conseguire il governo del Paese, al netto del giudizio di merito, chiaramente, da esercitare su questa esperienza. L’avere interpretato, intercettato, accelerato la costruzione di una destra culturale, storicamente minoritaria e sostanzialmente marginale nel panorama politico italiano del secondo dopoguerra, e divenuta invece, dagli anni Ottanta, sempre più significativamente efficace e tendenzialmente egemone nel discorso pubblico, con il supporto di un apparato mediatico, editoriale e di intrattenimento di fortissimo impatto. L’avere segnato, in definitiva, un’epoca storica, dagli anni Novanta e sostanzialmente tuttora in corso, caratterizzata da termini quali “maggioritario”, “bipolarismo”, “competitività”, “impresa”, “personalizzazione”, dietro cui si stagliano, a ben vedere, fenomeni culturali di più lunga durata, il cui sfondo ideologico è indubbiamente regressivo e sostanzialmente preoccupante, e che disegnano la cornice entro la quale tuttora il Paese si trova.


Dalla Calabria
Non è a mezz'asta

Non è un caso che, tra i vari di volta in volta coniati, il suo - “berlusconismo” - sia con ogni probabilità l’unico “ismo” pertinente di questa fase storica e politica, avendo la figura e lo stile di Berlusconi indubbiamente caratterizzato un’epoca, anche (e forse soprattutto) per la subalternità e la debolezza delle forze che avrebbero dovuto invece allestire un’opposizione e attrezzare un’alternativa, sociale, culturale, politica. Il carattere regressivo dell’orizzonte di senso portato da questo “ismo”, è, dal punto di vista della qualità delle relazioni sociali, del carattere della proposta politica che incarna, del contenuto della proposta culturale che esprime, fuori discussione. Bene lo ha espresso, tra gli altri, Alfredo D’Attorre in una recente intervista su l’Unità: non solo in quanto «il ruolo politico di Berlusconi sia derivato dalla capacità di rappresentare e accelerare una trasformazione culturale della società italiana in atto a partire già dagli anni Ottanta del secolo scorso»; ma anche in quanto «questo indebolimento della forza e della capacità di incidere della politica democratica è anche l’effetto di una perdita di autonomia culturale. E per la sinistra, che per costituzione dovrebbe essere la parte capace di pensare un mondo altro da quello che è, ciò ha avuto conseguenze ancora più gravi». Diventa allora più facile comprendere quanto la figura di Berlusconi (ciò che esprime e ciò che rappresenta) sia divisiva e, di conseguenza, quanto la scelta del governo di destra di tributargli non solo il (dovuto) funerale di stato ma anche il (discutibile) lutto nazionale sia stata opinabile e controversa.



Alla fine, considerata la reazione di quella vasta parte di Paese che non l’ha accettata, la scelta del lutto nazionale si è rivelata un autentico autogol. Fermi restando, infatti, il rispetto e il cordoglio dovuti di fronte alla morte, una cosa sono i funerali di stato, che costituiscono un’iniziativa dovuta, essendo riservati ai presidenti della Repubblica, del Senato, della Camera, della Corte Costituzionale e del Consiglio dei Ministri, e configurando quindi un riconoscimento previsto dalla legge. Altra cosa è invece il lutto nazionale, che non è disciplinato da una legge specifica, ha un margine di discrezionalità decisamente più ampio, e, in ogni caso, come ricordato da alcuni organi di stampa, non era mai stato concesso a un ex presidente del Consiglio.
Lutto nazionale significa dunque, in questo caso, riconoscere alla figura in questione una particolare importanza per la storia del Paese e un particolare lustro alla vita della Repubblica. La scelta compiuta dal governo di destra è una scelta tutta politica, ed è, di conseguenza, del tutto normale e naturale che possa suscitare reazioni altrettanto di carattere politico. Un vero e proprio autogol, che ha avuto il merito, infatti, di fare emergere quella vasta parte di Paese che agli elementi di regressione e di volgarità fin troppe volte associati al “berlusconismo” ha sempre inteso contrapporsi. E così, la petizione di solidarietà al rettore dell’Università per Stranieri di Siena, Tomaso Montanari, che ha disposto «che le bandiere dell’Università per Stranieri di Siena non scendano», raccoglie quasi 150 mila firme in meno di due giorni. Al minuto di silenzio chiesto in occasione della prima della Madame Butterfly al Teatro Regio di Torino, il pubblico ha risposto con fischi e «buuu» e circa trenta orchestrali hanno abbandonato la sala. Al messaggio di cordoglio letto in occasione della Anna Bolena al Teatro San Carlo di Napoli, 
ancora fischi e «buuu» del pubblico. Appunto, dunque, una vasta parte di Paese che esprime, ancora una volta, resistenza civile e democratica.