8.
Erasmo, l’ideologia della guerra e le
tensioni interne al cristianesimo. Vi
sono diverse tensioni interne al cristianesimo: se ci sono pontefici romani
promotori e complici della guerra e pure citazioni (decreta) a essa favorevoli da parte di alcuni tardi Padri della
chiesa, molto più numerosi sono i passi degli scrittori di probata sanctitas (come Ambrogio, Origene e Girolamo) che si
oppongono alla guerra (cfr. AD, 256-257). L'insensatezza delle guerre scatenate
dai potenti per i motivi più assurdi e inconsistenti ripropone costantemente il
problema della libertà umana e del rapporto fra libertà, popolo, consenso e
potere; in qualche modo qui Erasmo anticipa e pone le basi del dibattito della
filosofia politica caratteristico dei secoli a lui successivi, avanzando
un'istanza in largo senso "democratica"; essendo infatti, egli
osserva, gli uomini liberi per natura, decisiva è la questione del
"consenso del popolo" (populi
consensus), col quale tutti i potenti, principi e re dovrebbero fare i
conti. Il diritto (ius) che il potere
ha sugli uomini dovrebbe essere conferito o revocato dal popolo stesso (cfr.
AD, 260-264).
Per
risolvere le controversie, l'autore degli Adagia
fa appello al dialogo, all'ascolto reciproco, alla convenienza di tutte le
parti in causa, all'esigenza di uno sguardo ampio sulle cose, non di corto
raggio, capace di pensare alle conseguenze anche di lungo periodo delle proprie
e altrui azioni (cfr. AD, 264-265). C'è qui un forte richiamo etico alla
coscienza e alla responsabilità soggettiva. Ognuno va richiamato a pensare non
solo ai propri scopi, ma anche alle perdite (bonarum rerum iactura), ai pericoli (pericula) e alle sventure (calamitates)
che comportano le proprie scelte e il perseguimento dei propri scopi; al punto
che, se confrontiamo vantaggi (commoda)
e svantaggi (incommoda), bisogna
ammettere (insieme al Cicerone delle Epistulae
ad familiares, VI, 6, 5) che una pax
iniqua ("pace iniqua") è molto meglio di un bellum equum ("guerra equa"). Solo un demens non considera che, anche con un
esito favorevole, nell'impresa bellica c'è sempre molto più da perdere che da
guadagnare, c'è comunque la certezza di innumerevoli mali pure in presenza di
un incerto ed esiguo vantaggio (cfr. AD, 264-265). Molti dimenticano che nelle
cose umane "non c'è niente di fisso, niente di duraturo" (in rebus mortalium nuhil diu suo loco
consistere), sottoposte come sono al ludibrium
fortunae ("capriccio della sorte"), ma si intestardiscono a
inseguire le "inanità" (levicula),
trascurando le cose importanti e avviando guerre assurde, la cui risoluzione
non è poi mai facile e breve; notevole è qui il fatto che Erasmo avanza
esplicitamente, con forza, l'idea di rimettere l'arbitrato delle controversie
internazionali alle assemblee deliberanti religiose e civili (concilia, senatus), facendo leva e, anzi, estendendo alcune prassi politiche
del suo tempo (cfr. AD, 266-267). Nella realtà, però, di fatto accade che molti
adducono a pretesto della guerra la "difesa della chiesa" (ecclesiae defensio), "quasi vero
populus non sit ecclesia, aut quasi tota ecclesiae dignitas in sacerdotum
opibus sita sit" ("come se il popolo non fosse la chiesa. Come se la
dignità della chiesa consistesse tutta nelle ricchezze dei preti", cfr.
AD, 266-267). Dove qui, ci sembra, Erasmo si fa anche precursore delle
posizioni della "teologia della liberazione" sudamericana ed europea
del XX secolo, posizioni che negano l'ecclesiocentrismo, contestano la chiesa
gerarchica, patriarcale ed autoritaria, a favore della centralità dell'intero
"popolo di Dio" e delle "comunità di base". Egli prosegue
coerentemente nella sua opera di smascheramento dell'ideologia: laddove si
accampano le ragioni della religionis
defensio, si punta in realtà alle ricchezze (opes) dei turchi; laddove si chiama in causa lo ius ecclesiae, si cede invece all'odio;
altri pretesti ancora vengono tirati in ballo quando si è invece schiavi dell'ambitio, della brama di dominio, dell'ira, del desiderio di lucrum e di gloria, dell'animus ferox et
impotens (cfr. AD, 278-281). Anche i ricorrenti preparativi di guerra
contro i turchi non trovano Erasmo consenziente. Da tali pratiche non possono
crescere e maturare buoni cristiani e "quod ferro paratum est, ferro
vicissim amittitur" ("quello che si acquista di spada, si torna a
perdere per via di spada", cfr. AD, 266-267). Si vuole espandere
l'influenza del cristianesimo? Il come è decisivo. Ciò non può avvenire con la
violenza, con i continui soprusi, con l'ostentazione delle ricchezze, della
potenza, delle schiere armate, degli eserciti, ma solo mostrando i sicuri
"contrassegni" (notae) del
cristianesimo: "purezza di vita (vita
innoxia), desiderio di far bene anche ai nemici (studium benemerendi etiam de hostibus), incrollabile tolleranza di
tutte le offese (invicta omnium
iniuriarum tolerantia), sprezzo del denaro (pecuniaecontemptus),
incuria della gloria (gloriae neglectus),
modestia di vita (vita vilis)"
(cfr. AD, 266-269). Questo è il programma evangelico.
Il modo autentico di diffondere
il cristianesimo consiste nel coniugare la dottrina con la pratica di vita, nel
superare la contraddizione e la disgiunzione tra questi due aspetti. Massacrare
esseri umani non è da cristiani, perché dimentica o passa sopra il fatto che
Gesù è morto per la salvezza dell'intera umanità. L'odio e il disprezzo, le
maledizioni e le ingiurie nei confronti dei turchi rendono i cristiani al
cospetto di Dio ancor "più abominevoli" (abominabiliores) dei turchi stessi (cfr. AD, 268-269). Erasmo ha
già ben chiaro il rapporto improntato alla violenza e al dominio imperialistico
che per lo più l'Occidente cristiano ha e avrà anche nei secoli a lui
successivi col cosiddetto Terzo mondo: "Nos totam Asiam et Africam ferro
paramus extinguere, quum plurimi sint illic vel christiani vel
semichristiani" ("Noi ci prepariamo a passare a fil di spada tutta
l'Asia e l'Africa, dove moltissimi sono cristiani o semicristiani", AD,
272-273). Vastissime sono la degenerazione e la corruzione del cristianesimo,
di tutti coloro che non cessano di cantare le lodi a Dio e fanno sfoggio di
ortodossia, ma sono intolleranti e violenti, continuamente a caccia di
ricchezze, al servizio dei principi e del potere, lontani dal popolo e dal
regno di Dio (cfr. AD, 270-271). Erasmo coglie con lucidità (cfr. AD, 272-273)
gli esiti nefasti e perversi dell'idolatria, di un'indebita appropriazione del
divino, facente leva su di un'errata interpretazione dei testi stessi del Nuovo
Testamento (come "Si Deus pro nobis, quis contra nos?", "Se Dio
è con noi, chi sarà contro di noi?", Rm,
8, 31) e conducente sino al novecentesco e famigerato Gott mit uns del nazismo.