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venerdì 23 giugno 2023

ERASMO
di Franco Toscani



8. Erasmo, l’ideologia della guerra e le tensioni interne al cristianesimo.
 
Vi sono diverse tensioni interne al cristianesimo: se ci sono pontefici romani promotori e complici della guerra e pure citazioni (decreta) a essa favorevoli da parte di alcuni tardi Padri della chiesa, molto più numerosi sono i passi degli scrittori di probata sanctitas (come Ambrogio, Origene e Girolamo) che si oppongono alla guerra (cfr. AD, 256-257). L'insensatezza delle guerre scatenate dai potenti per i motivi più assurdi e inconsistenti ripropone costantemente il problema della libertà umana e del rapporto fra libertà, popolo, consenso e potere; in qualche modo qui Erasmo anticipa e pone le basi del dibattito della filosofia politica caratteristico dei secoli a lui successivi, avanzando un'istanza in largo senso "democratica"; essendo infatti, egli osserva, gli uomini liberi per natura, decisiva è la questione del "consenso del popolo" (populi consensus), col quale tutti i potenti, principi e re dovrebbero fare i conti. Il diritto (ius) che il potere ha sugli uomini dovrebbe essere conferito o revocato dal popolo stesso (cfr. AD, 260-264).



Per risolvere le controversie, l'autore degli Adagia fa appello al dialogo, all'ascolto reciproco, alla convenienza di tutte le parti in causa, all'esigenza di uno sguardo ampio sulle cose, non di corto raggio, capace di pensare alle conseguenze anche di lungo periodo delle proprie e altrui azioni (cfr. AD, 264-265). C'è qui un forte richiamo etico alla coscienza e alla responsabilità soggettiva. Ognuno va richiamato a pensare non solo ai propri scopi, ma anche alle perdite (bonarum rerum iactura), ai pericoli (pericula) e alle sventure (calamitates) che comportano le proprie scelte e il perseguimento dei propri scopi; al punto che, se confrontiamo vantaggi (commoda) e svantaggi (incommoda), bisogna ammettere (insieme al Cicerone delle Epistulae ad familiares, VI, 6, 5) che una pax iniqua ("pace iniqua") è molto meglio di un bellum equum ("guerra equa"). Solo un demens non considera che, anche con un esito favorevole, nell'impresa bellica c'è sempre molto più da perdere che da guadagnare, c'è comunque la certezza di innumerevoli mali pure in presenza di un incerto ed esiguo vantaggio (cfr. AD, 264-265). Molti dimenticano che nelle cose umane "non c'è niente di fisso, niente di duraturo" (in rebus mortalium nuhil diu suo loco consistere), sottoposte come sono al ludibrium fortunae ("capriccio della sorte"), ma si intestardiscono a inseguire le "inanità" (levicula), trascurando le cose importanti e avviando guerre assurde, la cui risoluzione non è poi mai facile e breve; notevole è qui il fatto che Erasmo avanza esplicitamente, con forza, l'idea di rimettere l'arbitrato delle controversie internazionali alle assemblee deliberanti religiose e civili (concilia, senatus), facendo leva e, anzi, estendendo alcune prassi politiche del suo tempo (cfr. AD, 266-267). Nella realtà, però, di fatto accade che molti adducono a pretesto della guerra la "difesa della chiesa" (ecclesiae defensio), "quasi vero populus non sit ecclesia, aut quasi tota ecclesiae dignitas in sacerdotum opibus sita sit" ("come se il popolo non fosse la chiesa. Come se la dignità della chiesa consistesse tutta nelle ricchezze dei preti", cfr. AD, 266-267). Dove qui, ci sembra, Erasmo si fa anche precursore delle posizioni della "teologia della liberazione" sudamericana ed europea del XX secolo, posizioni che negano l'ecclesiocentrismo, contestano la chiesa gerarchica, patriarcale ed autoritaria, a favore della centralità dell'intero "popolo di Dio" e delle "comunità di base". Egli prosegue coerentemente nella sua opera di smascheramento dell'ideologia: laddove si accampano le ragioni della religionis defensio, si punta in realtà alle ricchezze (opes) dei turchi; laddove si chiama in causa lo ius ecclesiae, si cede invece all'odio; altri pretesti ancora vengono tirati in ballo quando si è invece schiavi dell'ambitio, della brama di dominio, dell'ira, del desiderio di lucrum e di gloria, dell'animus ferox et impotens (cfr. AD, 278-281). Anche i ricorrenti preparativi di guerra contro i turchi non trovano Erasmo consenziente. Da tali pratiche non possono crescere e maturare buoni cristiani e "quod ferro paratum est, ferro vicissim amittitur" ("quello che si acquista di spada, si torna a perdere per via di spada", cfr. AD, 266-267). Si vuole espandere l'influenza del cristianesimo? Il come è decisivo. Ciò non può avvenire con la violenza, con i continui soprusi, con l'ostentazione delle ricchezze, della potenza, delle schiere armate, degli eserciti, ma solo mostrando i sicuri "contrassegni" (notae) del cristianesimo: "purezza di vita (vita innoxia), desiderio di far bene anche ai nemici (studium benemerendi etiam de hostibus), incrollabile tolleranza di tutte le offese (invicta omnium iniuriarum tolerantia), sprezzo del denaro (pecuniae contemptus), incuria della gloria (gloriae neglectus), modestia di vita (vita vilis)" (cfr. AD, 266-269). Questo è il programma evangelico. 



Il modo autentico di diffondere il cristianesimo consiste nel coniugare la dottrina con la pratica di vita, nel superare la contraddizione e la disgiunzione tra questi due aspetti. Massacrare esseri umani non è da cristiani, perché dimentica o passa sopra il fatto che Gesù è morto per la salvezza dell'intera umanità. L'odio e il disprezzo, le maledizioni e le ingiurie nei confronti dei turchi rendono i cristiani al cospetto di Dio ancor "più abominevoli" (abominabiliores) dei turchi stessi (cfr. AD, 268-269). Erasmo ha già ben chiaro il rapporto improntato alla violenza e al dominio imperialistico che per lo più l'Occidente cristiano ha e avrà anche nei secoli a lui successivi col cosiddetto Terzo mondo: "Nos totam Asiam et Africam ferro paramus extinguere, quum plurimi sint illic vel christiani vel semichristiani" ("Noi ci prepariamo a passare a fil di spada tutta l'Asia e l'Africa, dove moltissimi sono cristiani o semicristiani", AD, 272-273). Vastissime sono la degenerazione e la corruzione del cristianesimo, di tutti coloro che non cessano di cantare le lodi a Dio e fanno sfoggio di ortodossia, ma sono intolleranti e violenti, continuamente a caccia di ricchezze, al servizio dei principi e del potere, lontani dal popolo e dal regno di Dio (cfr. AD, 270-271). Erasmo coglie con lucidità (cfr. AD, 272-273) gli esiti nefasti e perversi dell'idolatria, di un'indebita appropriazione del divino, facente leva su di un'errata interpretazione dei testi stessi del Nuovo Testamento (come "Si Deus pro nobis, quis contra nos?", "Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?", Rm, 8, 31) e conducente sino al novecentesco e famigerato Gott mit uns del nazismo.