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domenica 25 giugno 2023

ERASMO
di Franco Toscani


Ernesto Balducci

10. Erasmo e la cultura della pace odierna.
 
In sede di valutazione critica, Ernesto Balducci ha fatto notare che l'unico vero limite di Erasmo è un limite storico, consistente nel rivolgersi essenzialmente al mondo cristiano, per quanto il suo cristianesimo fosse, come si è visto, non certo dogmatico e intollerante, chiuso e (diremmo oggi) "integralista", ma costitutivamente aperto, dialogico, tollerante, in grado di parlare a credenti e non credenti grazie al riferimento essenziale alla dignità umana. Scrive a questo proposito Balducci in La pace. Realismo di un'utopia (1983): "Erasmo - ed è qui il suo limite - si muove ancora in un quadro di cristianità, chiamando in causa, con parole roventi, papi, prelati e principi, misurandoli col metro del Vangelo e dell'aspirazione alla pace propria dell'uomo e specie del popolo. Ma è notevole in lui la percezione del divario tra profezia evangelica e sovrastrutture ideologiche, sorgenti, queste, di intolleranza dogmatica, ispiratrice quella di tolleranza e di fraternità. Quando, per opera di Lutero, la cristianità si spaccherà in due mettendo in moto gli eserciti in difesa delle opposte ragioni, egli si illuderà di tenersi al di sopra delle parti. La sua equidistanza non era frutto di opportunismo, era la naturale espressione del ripudio, in nome della simplicitas evangelica, di ogni assolutismo teologico. Sta qui la laicità di Erasmo, le cui irradiazioni più efficaci si avranno nel secolo successivo, quando, stanca di dilaniarsi in nome di Cristo, l'Europa cercherà una concordia basata sul rispetto delle diverse posizioni religiose. Dentro l'arco storico dal Rinascimento a noi, Machiavelli ha avuto ragione, Erasmo ha avuto torto".


Opera di Vinicio Verzieri

Ben prima di Hannah Arendt, Erasmo si rende conto che il male è banale, non ha alcuna giustificazione razionale e che solo il bene è profondo. Egli non è un ottimista ingenuo, un vacuo sognatore acchiappanuvole, non è l'interprete di un umanesimo retorico e verboso, sa che il male - in tutte le sue forme - è una presenza costante, tenace e pressoché ineliminabile nella lunga storia umana. E tuttavia egli non cessa di aspirare al meglio e di indicare, con il bagaglio della sua cultura straordinaria, le vie di una possibile liberazione umana. Lo stesso farà a suo modo - dopo circa due secoli e mezzo dalla morte del Roterodamus - Immanuel Kant in Zum ewigen Frieden (Per la pace perpetua, 1795).  Entrambi, Erasmo e Kant, sono rimasti e rimangono in larga parte inascoltati. Al termine di Dulce bellum inexpertis, Erasmo sembra suggerire il ruolo decisivo dell'educazione e della formazione culturale, di quella che oggi chiamiamo la Bildung, nel condurre gli uomini alla civile convivenza, nel conseguire quella cultura della pace, di cui egli indubbiamente non è solo uno dei precursori, ma è anche uno dei grandi fondatori.
È una cultura della pace - promossa fra gli altri in Italia dall'opera instancabile di Ernesto Balducci (1922-1992) - che non prevede la mera assenza di guerra, ma concepisce la pace come frutto della pienezza di vita e della fioritura esistenziale, insieme alla giustizia e all'amore per l'uomo, alla solidarietà e cooperazione, alla fraternità e alla pietà, alla libertà e all'eguaglianza, alla crescita e alla pratica di tutte quelle qualità, energie e capacità che connotano la dignità essenziale degli esseri umani. Alla logica dell'odio, del nemico, della vendetta, del muro contro muro va sostituita la logica dei ponti, della cooperazione, della solidarietà, della fraternità. Delle tre grandi parole della Rivoluzione francese - liberté, égalité, fraternité -, quella meno considerata e valorizzata è stata la fraternité, mai sufficientemente vissuta e praticata; per la verità, non v'è del resto mai stato un vero adempimento nemmeno delle altre due parole liberté ed égalité. Ora, di questa cultura della pace abbiamo più che mai bisogno, come dell'aria, anche noi oggi, nella civiltà planetaria in sempre più difficile costruzione, nella nostra età del pericolo estremo, nell'epoca inquietante e torbida che stiamo vivendo.