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mercoledì 21 giugno 2023

ERASMO
di Franco Toscani



Il capitolo 6 è stato pubblicato domenica 21 agosto 2022.
https://libertariam.blogspot.com/2022/08/erasmo-e-la-guerra-difranco-toscani.html
 
7. La guerra come negazione del messaggio evangelico.
 
Ancora una volta, inoltre, Erasmo torna ad insistere su di un tema a lui caro e ricorrente: la follia della guerra non concerne solo i pagani (ethnici), ma anche i cristiani, che molto spesso non hanno esitato a sconfessare quello spirito di fraternità che sul piano dottrinale dovrebbe contraddistinguerli e ad armare i cristiani contro i cristiani (cfr. AD, 232-233).
Erasmo sottolinea le profonde contraddizioni del comportamento concreto dei cristiani, che pure si richiamano a Gesù porgente il dono della pace, ad un comune Padre celeste, alla charitas e sono vivificati dal medesimo spirito evangelico, ma poi si fanno guerra assai sovente (cfr. AD, 234-235).
L'insegnamento di Gesù e quello dell'Antico e del Nuovo Testamento vanno nella direzione inequivocabile della pax, della concordia, dell'amicitia, della charitas, della tolerantia, della mansuetudo, dell'amor. Si può così parlare di una vera e propria lotta di Gesù, ma si tratta di una lotta per un mondo d'amore, di una lotta nonviolenta: "Sic ille regnavit, sic bellavit, sic vicit, sic trumphavit" ("Fu questo il suo modo di regnare e di combattere, di vincere e di trionfare"). Anche gli apostoli di Gesù come Paolo, Giovanni e Pietro scrissero e agirono, vissero soltanto in nome della pax, della levitas, della charitas. Perciò l'autore degli Adagia si pone stupito la domanda: "Unde tantus bellorum tumultus inter filios pacis?" ("Come è potuto nascere un tal groviglio di guerre tra i figli della pace?", cfr. AD, 236-237).


È la domanda che ci facciamo sempre anche noi oggi, ogni volta sconcertati e stupefatti. Come sono possibili ancor oggi gli orrori delle guerre, dopo una lunghissima storia umana in cui essi sono stati in primo piano? Come è possibile che simili terribili ed evitabili mali, di cui si ha memoria e possiamo tutti essere perfettamente consapevoli, tendano così tenacemente a ripetersi?
Erasmo risponde, come abbiamo già visto, riferendosi all'ambivalenza costitutiva della creatura umana (cfr. AD, 238-241). L'insistenza su questa ambivalenza fa sì che il suo elogio dell'uomo non sia mai improntato ad un umanesimo retorico e tranquillizzante, ma sia sempre perfettamente consapevole tanto della vastità del male umano quanto della nobiltà e dignità dell'essere umano. L'autore di Dulce bellum inexpertis ritiene che la pestis della guerra e dell'ideologia della guerra si sia infiltrata gradualmente nel popolo cristiano anche per responsabilità della eruditio, della eloquentia, della cultura e dell'ambitiosa rixandi libido (la smaniosa prurigine della disputa) che, nell'ambito della filosofia e teologia della Scolastica, ha recepito acriticamente l'intero sistema di Aristotele e pure le caesareae leges, gli elementi del diritto imperiale romano, con la sua dottrina del bellum iustum (cfr. AD, 240-243). Quasi sempre, per giustificare una guerra, è bastato il capriccio di un principe o di un re, per quanto inesperto e stolto fosse (cfr. AD, 242-243, 254-255). Erasmo polemizza contro il concetto di bellum iustum, elaborato durante il Medioevo sulla base del diritto imperiale romano fondato essenzialmente sulla mera auctoritas principis, ancora pienamente vigente nel XVI secolo. Egli denuncia ancora una volta quello che gli sembra un vero e proprio tradimento e inquinamento di cui soffre il cristianesimo, troppo impregnato di cultura pagana e troppo lontano dal messaggio evangelico, troppo irretito nel culto del potere e delle ricchezze (opes, divitiae), troppo compromesso in fatto di avaritia (avidità), ambitio (ambizione), luxus (dissolutezza), fastus (superbia) e tyrannis (dispotismo), tanto da superare in ciò la società pagana (cfr. AD 244-245). Il riferimento polemico è qui probabilmente rivolto anche a un passo della Etica eudemia di Aristotele e alla morale tomistica, laddove nella Summa theologiae (Secunda Secundae, XXVII, 4) Tommaso d'Aquino sostiene l'ordinamento "egoistico" della charitas (cfr. anche Adagia 291: Omnes sibi melius esse malunt quam alteri). Sta di fatto che i cristiani sono oggi impareggiabili quanto a produzione di guerre e violenze, stragi e violazione dei trattati (cfr. AD, 244-245). 



Con un rapido riferimento al Seneca del trattato De beneficiis (II, 18, 6), Erasmo chiama Serse e Alessandro Magno furiosi latrones (briganti impazziti), ma anche costoro - pur credendosi semidei ed essendo dei conquistatori bramosi di dominio e di gloria - non ricorrevano alle macchinazioni e agli espedienti a cui inclinano i cristiani, anzi essi bellabant humanius nobis ("combattevano più civilmente di noi"); "Nos pseudochristiani nihil non rapimus ad occasionem belli" ("Noi cosiddetti cristiani trasformiamo ogni inezia in un pretesto di guerra", cfr. AD, 246-247). Siamo arrivati al punto che chi uccide senza pietà viene considerato un eroe, un valoroso, ma egli è soltanto abile nel brigantaggio (latrocinium) e nel servizio ai potenti di turno. Anche nel confronto tra monarchi cristiani e pagani, i primi ne escono male (cfr. AD, 248-249); le cose più sconce e atroci avvengono infatti nelle guerre dei cristiani, caratterizzate da una manifesta insania (follia) e dal combattimento fra cristiani. Troppo spesso questi ultimi combattono per futili motivi, ad esempio per puerilis ira ("ira puerile"), pecuniae fames ("avidità di denaro"), gloriae sitis ("sete di gloria") o per la paga mercenaria (cfr. AD, 250-251), ma l'unica vera guerra dei cristiani dovrebbe essere combattuta contro la cupidigia (pecunia), l'ambizione (ambitio), la paura della morte (metus mortis). 



Non convince Erasmo neppure la dottrina teocratica, che pretende di unire nelle mani del pontefice il potere civile e quello ecclesiastico, l'autorità spirituale e quella temporale. Gesù ha ordinato ai suoi discepoli di riporre la spada, di armarsi soltanto di amore, di tolerantia (pazienza) e di quella che oggi chiameremmo nonviolenza (cfr. AD, 252-253). Implacabile qui è l'opera di smascheramento e di critica dell'ideologia del cristianesimo ufficiale compiuta da Erasmo, in particolare rivolta polemicamente all'ideologia cristiana che si serve delle parole di Cristo per distorcerle in nome dei privilegi e delle cupidigie dei regnanti, del culto del potere e dell'accumulazione smodata delle ricchezze (cfr. AD, 254-255).
Polemizzando con le rabinicae definitiones ("formule rabbiniche") dei teologi scolastici (i magistri nostri, come li definisce nel Moriae encomium), Erasmo sottolinea che Gesù, come Dominus, è venuto soltanto per indicarci lo scopo, l'ideale (scopus) da perseguire nella nostra vita "nella misura delle nostre forze" (ad quem scopum esset pro viribus enitendum), la realizzazione del messaggio evangelico carico di vigor, in cui consiste la vera ortodossia cristiana (cfr. AD, 252-257). È vero che lo ius naturae, le leggi esistenti, la forza della consuetudo e del cattivo andazzo delle cose hanno di fatto sancito la legittimità delle guerre, ma la evangelica gratia ci dice ben altro, non invita a "respingere la forza con la forza" (il principio del diritto romano "vim vi repellere licet" aveva trovato larga ricezione nel diritto canonico e nella teologia morale medioevale), ci esorta invece a fare del bene anche a chi ci fa del male. La beatitudine evangelica dei "poveri di spirito" (pauperes spiritus) riguarda coloro che nel mondo non aspirano a ricchezze e onori, ma sono ricchi di umanità, di qualità, energie e relazioni umane.