Riprendiamo il discorso su Eramo attraverso la ricerca di Franco
Toscani. I primi due capitoli anticipati su “Odissea” potete leggerli cliccando
sul link che compare qui sotto in colore azzurro. https://libertariam.blogspot.com/search?q=Erasmo+e+la+critica+della+guerra 3.
La forte consapevolezza dell’ambivalenza dell’umano Erasmo
ribadisce con forza che, già a partire dalla conformazione esteriore del corpo
umano, la natura, vel potius deus (o meglio Dio), ha generato l'essere umano
non per la guerra, lo sterminio e il male, ma per l'amore (amicitia), la
salvezza (salus) e il bene (beneficentia). Il fatto stesso che l'uomo sia
costitutivamente un essere debole, fragile, delicato e che i suoi piccoli - a
differenza di quelli degli altri animali - siano lungamente dipendenti dalla
cura degli adulti dimostra che è fatto per l'amore, la gratitudine, la
reciprocità dei rapporti, i vincoli della benevolenza e dell'amicizia (cfr. AD,
200-201). La
natura gli ha dato infatti occhi benigni, braccia predisposte all'abbraccio, il
dono del bacio, il riso come segno di allegrezza, le lacrime come clementiae et
misericordiae symbolum, una voce blanda e gentile. E soprattutto la natura ha
concesso all'uomo - osserva l'autore degli Adagia rifacendosi a un τόπος di Cicerone - l'uso di
sermo et ratio (parola e ragione) per favorire in lui lo sviluppo della
benevolentia (φιλία, amicizia) e l'amore della sodalitas (compagnia),
che è utile, necessaria e soave. Infatti: "Quid enim amico
iucundius?" ("Che cosa vi è di più soave di un amico?", cfr. AD,
202-203). La
natura ha spinto pure gli uomini allo studio delle arti liberali e alla
passione della conoscenza (cognitionis ardor), qualità che cementano le
amicizie. Varie doti e qualità sono distribuite mirabilmente fra i mortali e
ciascuno può amarle o ammirarle in sé stesso e, soprattutto, dati i limiti di
ciascun individuo, negli altri. La natura ha infine seminato negli uomini una
scintilla (scintillula) di divinità (divina mens), allorché essi sono capaci di
fare il bene per sé stesso e di giovare agli altri, anche al di là dei meri
vantaggi personali (cfr. AD, 202-205). Qui Erasmo riprende e svolge a suo modo
il grande tema umanistico-rinascimentale dell'uomo come artifex, faber ipsius
fortunae, sacra ancora, simulacrum, imago Dei, divinum quoddam animal, terrenum
numen, divinità terrestre che sovrintende alla salus (tutela, cura) di tutte le
creature (cfr. AD, 204-205, 210-213).
Erasmo
sembra in piena sintonia col Giannozzo Manetti del De dignitate etexcellentia
hominis (1455) e, soprattutto, col Giovanni Pico della Mirandola che,
nell'orazione De hominis dignitate (1487), considera l'uomo magnum
miraculum et admirandum animal ("un grande miracolo e un essere vivente da
ammirare"), avente la peculiarità di non essere collocato in un punto
fisso della gerarchia degli esseri e dunque la possibilità di progettare sé
stesso come un libero e sovrano artefice. Dio, "l'ottimo Artefice",
lo ha concepito come "opera di natura indefinita", lo ha plasmato in
modo che egli non abbia una natura fissa e immutabile, possa assumere tutte le
forme, degenerare nei bruti o innalzarsi al livello degli angeli.L'uomo è così costitutivamente ambivalente,
un "camaleonte" della creazione, capace delle più sorprendenti e
incredibili metamorfosi. Il richiamo forte è qui alla libertà e responsabilità
umana. Erasmo concorda con Pico, ma rispetto a lui approfondisce il discorso
anche in un senso più ironico e polemico. Rivendicata pienamente la dignità e
nobiltà dell'uomo, fatto questo ritratto dell'uomo come essere mirabile, Erasmo
gli mette a confronto per contrasto il suo comportamento in guerra e nei tanti
mali terreni di cui egli si rende responsabile. L'ambivalenza costitutiva della
creatura umana ha le sue radici da un lato nel corpo, in comune con gli altri
animali e dall'altro nell'anima, fatta ad immagine della divina mens; la
coelestis origo dell'uomo lo sospinge sempre ad coelestia et immortalia, ma gli
innumerevoli mali e vizi di cui si rende responsabile sulla terra lo
allontanano da ogni angelica civitas e, anzi, tendono a ridurre il pianeta
intero a una cloaca di tutti i vizi (cfr. AD, 238-241). Il male del mondo umano
è tanto grande quanto grande è la sua potenzialità di grandezza e nobiltà,
dignità e salvezza. L'umanesimo di Erasmo non ha nulla di enfatico e di
meramente celebrativo; il suo è certamente un elogio dell'uomo che, nel
contempo, si fa carico in tutta la sua portata della estrema complessità e
della problematicità carica di tensione della realtà umana. Nel XX secolo si è acuita
la consapevolezza dell'ambivalenza dell'umano. Nel suo capolavoro incompiuto Der
Mann ohne Eigenschaften (1930-1942), mettendo in questione ogni storicismo
e progressismo ingenuo Robert Musil ha giustamente insistito sul tema della
"profonda duplicità del mondo" (die tiefe Zweideutigkeit der Welt) e
ha rilevato che "la natura umana (das menschliche Wesen) è altrettanto
idonea all'antropofagia (Menschenfresserei) quanto alla Critica della ragion
pura (Kritik der reinen Vernunft); con le stesse convinzioni e qualità può
inventare tanto l'una che l'altra, in circostanze adatte".Nella raccolta poetica Quaderno di
quattro anni (1977), il poeta italiano Eugenio Montale ha approfondito a
suo modo - in termini a nostro avviso assai lucidi e convincenti - questo tema
decisivo in quattro versi che danno molto da pensare: "La vita oscilla/
tra il sublime e l'immondo/ con qualche propensione/ per il secondo". Franco
Toscani