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giovedì 15 giugno 2023

ERASMO
 

Riprendiamo il discorso su Eramo attraverso la ricerca di Franco Toscani. I primi due capitoli anticipati su “Odissea” potete leggerli cliccando sul link che compare qui sotto in colore azzurro. https://libertariam.blogspot.com/search?q=Erasmo+e+la+critica+della+guerra
  
3. La forte consapevolezza dell’ambivalenza dell’umano
 
Erasmo ribadisce con forza che, già a partire dalla conformazione esteriore del corpo umano, la natura, vel potius deus (o meglio Dio), ha generato l'essere umano non per la guerra, lo sterminio e il male, ma per l'amore (amicitia), la salvezza (salus) e il bene (beneficentia). Il fatto stesso che l'uomo sia costitutivamente un essere debole, fragile, delicato e che i suoi piccoli - a differenza di quelli degli altri animali - siano lungamente dipendenti dalla cura degli adulti dimostra che è fatto per l'amore, la gratitudine, la reciprocità dei rapporti, i vincoli della benevolenza e dell'amicizia (cfr. AD, 200-201).
La natura gli ha dato infatti occhi benigni, braccia predisposte all'abbraccio, il dono del bacio, il riso come segno di allegrezza, le lacrime come clementiae et misericordiae symbolum, una voce blanda e gentile. E soprattutto la natura ha concesso all'uomo - osserva l'autore degli Adagia rifacendosi a un τόπος di Cicerone - l'uso di sermo et ratio (parola e ragione) per favorire in lui lo sviluppo della benevolentia (φιλία, amicizia) e l'amore della sodalitas (compagnia), che è utile, necessaria e soave. Infatti: "Quid enim amico iucundius?" ("Che cosa vi è di più soave di un amico?", cfr. AD, 202-203).
La natura ha spinto pure gli uomini allo studio delle arti liberali e alla passione della conoscenza (cognitionis ardor), qualità che cementano le amicizie. Varie doti e qualità sono distribuite mirabilmente fra i mortali e ciascuno può amarle o ammirarle in sé stesso e, soprattutto, dati i limiti di ciascun individuo, negli altri. La natura ha infine seminato negli uomini una scintilla (scintillula) di divinità (divina mens), allorché essi sono capaci di fare il bene per sé stesso e di giovare agli altri, anche al di là dei meri vantaggi personali (cfr. AD, 202-205). Qui Erasmo riprende e svolge a suo modo il grande tema umanistico-rinascimentale dell'uomo come artifex, faber ipsius fortunae, sacra ancora, simulacrum, imago Dei, divinum quoddam animal, terrenum numen, divinità terrestre che sovrintende alla salus (tutela, cura) di tutte le creature (cfr. AD, 204-205, 210-213).


Erasmo sembra in piena sintonia col Giannozzo Manetti del De dignitate et excellentia hominis (1455) e, soprattutto, col Giovanni Pico della Mirandola che, nell'orazione De hominis dignitate (1487), considera l'uomo magnum miraculum et admirandum animal ("un grande miracolo e un essere vivente da ammirare"), avente la peculiarità di non essere collocato in un punto fisso della gerarchia degli esseri e dunque la possibilità di progettare sé stesso come un libero e sovrano artefice. Dio, "l'ottimo Artefice", lo ha concepito come "opera di natura indefinita", lo ha plasmato in modo che egli non abbia una natura fissa e immutabile, possa assumere tutte le forme, degenerare nei bruti o innalzarsi al livello degli angeli. L'uomo è così costitutivamente ambivalente, un "camaleonte" della creazione, capace delle più sorprendenti e incredibili metamorfosi. Il richiamo forte è qui alla libertà e responsabilità umana. Erasmo concorda con Pico, ma rispetto a lui approfondisce il discorso anche in un senso più ironico e polemico. Rivendicata pienamente la dignità e nobiltà dell'uomo, fatto questo ritratto dell'uomo come essere mirabile, Erasmo gli mette a confronto per contrasto il suo comportamento in guerra e nei tanti mali terreni di cui egli si rende responsabile. L'ambivalenza costitutiva della creatura umana ha le sue radici da un lato nel corpo, in comune con gli altri animali e dall'altro nell'anima, fatta ad immagine della divina mens; la coelestis origo dell'uomo lo sospinge sempre ad coelestia et immortalia, ma gli innumerevoli mali e vizi di cui si rende responsabile sulla terra lo allontanano da ogni angelica civitas e, anzi, tendono a ridurre il pianeta intero a una cloaca di tutti i vizi (cfr. AD, 238-241). Il male del mondo umano è tanto grande quanto grande è la sua potenzialità di grandezza e nobiltà, dignità e salvezza. L'umanesimo di Erasmo non ha nulla di enfatico e di meramente celebrativo; il suo è certamente un elogio dell'uomo che, nel contempo, si fa carico in tutta la sua portata della estrema complessità e della problematicità carica di tensione della realtà umana. Nel XX secolo si è acuita la consapevolezza dell'ambivalenza dell'umano. Nel suo capolavoro incompiuto Der Mann ohne Eigenschaften (1930-1942), mettendo in questione ogni storicismo e progressismo ingenuo Robert Musil ha giustamente insistito sul tema della "profonda duplicità del mondo" (die tiefe Zweideutigkeit der Welt) e ha rilevato che "la natura umana (das menschliche Wesen) è altrettanto idonea all'antropofagia (Menschenfresserei) quanto alla Critica della ragion pura (Kritik der reinen Vernunft); con le stesse convinzioni e qualità può inventare tanto l'una che l'altra, in circostanze adatte". Nella raccolta poetica Quaderno di quattro anni (1977), il poeta italiano Eugenio Montale ha approfondito a suo modo - in termini a nostro avviso assai lucidi e convincenti - questo tema decisivo in quattro versi che danno molto da pensare: "La vita oscilla/ tra il sublime e l'immondo/ con qualche propensione/ per il secondo".
 
Franco Toscani