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giovedì 1 giugno 2023

PRETI DI FRONTIERA



Ricordo di don Cesare Sommariva
 
Nel maggio di quindici anni fa moriva don Cesare Sommariva, prete operaio, alla Redaelli di Rogoredo, realizzatore delle scuole popolari del milanese durante gli anni '60, '70 e '80, dei Centri di Cultura Popolare della Cooperativa don Milani (che spesso era andato a trovare a Barbiana partendo da Milano in Lambretta), poi inviato dal Cardinal Martini a San Salvador in aiuto a quella diocesi decimata dalle uccisioni di numerosi sacerdoti da parte di militari e paramilitari di D'Aubuisson e lì sequestrato dagli stessi per due giorni. Muore nella notte di lunedì 20 maggio 2008 al San Raffaele di Milano dove era ricoverato in condizioni molto gravi all’età di 75 anni.
Riproponiamo il ricordo che di lui fece don Raffaello Ciccone, responsabile della Pastorale del Lavoro della diocesi di Milano, nei giorni successivi alla sua morte e la pagina conclusiva del suo lavoro L'umano educatore, che è, nella sostanza, il suo "testamento" spirituale, pedagogico, metodologico, epistemologico e politico insieme. [Nino Di Paolo]


 

Il ricordo di don Raffaello Ciccone (Responsabile Pastorale del lavoro della Diocesi di Milano) Milano, 21 maggio 2008
 
È difficile ricordare ad altri don Cesare Sommariva, chiamato da tutti “don Cece”, poiché è stato un sacerdote particolarissimo della nostra diocesi. Lo ha segnato soprattutto la sua conversione che continuava a fargli ripensare il suo essere stato di famiglia ricca e accettò tutto lo stile di un povero che accoglie il Signore. Perciò visse da povero e non fece mai clamore, sempre in disparte, sempre in silenzio. Con don Lorenzo Milani, amico spesso incontrato, ci sono state, su strade diverse, profonde convergenze ed un destino comune di ricerca: si potrebbe dire che l’esperienza di Barbiana sia stata riversata alla periferia di Milano con tutte le riflessioni ed i ripensamenti di un mondo industriale. Si trattava, non solo, di restituire la parola ai poveri, ma anche di incoraggiare un pensiero proprio, senza inseguire i luoghi comuni. Era il progetto di un uomo veramente libero ed autonomo in un mondo industriale che, lo ha sperimentato allora e lo si sperimenta oggi, uccide la cultura e omologa al più forte. Leggeva tantissimo, sintetizzava, ascoltava, scriveva il “ventino” e poi “lettera ad un amico” e vi riversava riflessioni, stili, ricerca, proposte e sviluppava un metodo di ricerca a cui è stato sempre fedele con i suoi ragazzi e adulti, prima di decidere. Coadiutore a Pero, dall’inizio ha educato alla educazione alla fede ed alla preghiera i ragazzi, i giovani nelle scuole ove insegnava, gli adulti e maturò nella pastorale la sua stessa fede. Era il messaggio essenziale che ha sempre inviato e a cui orientava. I suoi ragazzi, ora adulti, lo hanno imparato mentre egli, esigente e spesso durissimo di fronte alle ingiustizie, lottava con tutta l’intelligenza e la radicalità di cui era capace. Con la “Scuola popolare” per gli adulti (anni '70) e quindi dei doposcuola nella zona di Crescenzago, educando ragazzi e i formatori per altri doposcuola, ha voluto aiutare a ricostruire la dignità di una persona libera soprattutto con agli ultimi. Fare il prete operaio alla Redaelli di Rogoredo fu il suo contributo per condividere il valore e la dignità del lavoro e dei lavoratori. Fu una scuola per lui e per gli altri, e raccolse poi i volantini in un libro che intitolò Le due morali: quella del capitale e quella di Cristo. Dismessa la fabbrica, andò in Salvador e, ricostruendo una parrocchia sfasciata, ripropose un itinerario difficilissimo, imponendo la scommessa, che in quella parrocchia era necessario che ci si mobilitasse perché non morissero bambini. E la struttura di solidarietà, esigente e puntuale, fece diminuire drasticamente le morti dei bambini. Ha amato profondamente la Chiesa e non ha fatto mai una scelta senza l’autorizzazione del vescovo. E, nella piccola comunità dei preti operai, prima a Sesto San Giovanni in via Pisa e poi con don Sandro Artioli e con don Luigi Consonni a Mirazzano, si è mantenuta una coerente e coraggiosa presenza cristiana di preghiera e di comunione. A volte cerchiamo modelli di vita perché ci aiutino a camminare. Don Cesare non è un santino da immaginetta, ma un eccezionale prete scomodo che ha seguito il Signore con fedeltà ed amore.”


 

Testamento di don Cesare Sommariva (conclusione de L’umano Educatore, un lavoro di Cesare su doposcuola per elementari e medie)
 
A conclusione di tutto, possiamo porre le tre leggi dell’umano educatore:1. non aver paura, 2. non far paura, 3. liberare dalla paura. Dicesi umano educatore colui che sa stabilire una relazione tra umani, senza paura, senza far paura, liberando dalla paura. Il contenuto della relazione non conta.
Quello che conta è una relazione nuova, in cui non ci sia nulla che possa avere a che fare con la paura. In un mondo in cui i poveri sono oppressi, i prepotenti trionfano, i miti sono disprezzati, occorre realizzare relazioni pulite e dolci, non sporche di premi, castighi, obblighi, non seduttive né sdolcinate, ma relazioni in cui ci siano nuovi incontri, nuovi riti, nuovi ritmi. Per questo noi non saremo mai istituzione, perché ogni istituzione chiede i suoi servi, include ed esclude, e per far questo usa il premio e il castigo e il sapere. Tutte cose che provocano la paura di non essere premiato, di essere castigato, di non sapere. Noi non costruiremo una organizzazione, noi siamo e saremo solo un investimento di desideri, di liberazione dalla paura. Il costo di tutto ciò è il pensare, lavorare, muoversi da minoranza, con tutto quello che significa di impotenza e di libertà. Di noi non deve rimanere nulla al di fuori di avere un tempo e per un tempo camminato assieme ricercando libertà e liberazione. Questo patto fra uomini e donne che si riuniscono per dignità e non per odio, decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo. Nessuno educa nessuno. Gli uomini si educano fra loro nella costruzione di un mondo di libertà.