... e
sovversivismo delle classi dirigenti. Gramsci raccolse il concetto di rivoluzione passiva, con la
mediazione di un libro di Guido De Ruggiero, dall’uso che ne aveva fatto
Vincenzo Cuoco. L’espressione arrivò a indicare il carattere delle rivoluzioni
borghesi: processi di modernizzazione operati “dall’alto”, con una posizione
“passiva” dei gruppi subalterni.Un concetto quello di
"rivoluzione passiva" che si accompagna a quello di "sovversivismo
delle classi dirigenti": ai crescenti sommovimenti fra i subalterni, la
classe dominante si vede costretta, per mantenere i propri sempre più
impopolari privilegi, a far valere più i rapporti di forza che la decrescente
capacità di egemonia.Nella trasformazione
del sistema politico italiano avvenuto all'inizio degli anni '90 (tema di cui
si parla molto in questi giorni) i rapporti di forza furono fatti valere
attraverso la costruzione di una "Costituzione materiale" (a
Costituzione invariata) i cui tentativi di codifica sono sempre stati respinti
dal voto popolare. I due termini gramsciani appena citati si sono così
intrecciati all'interno di un quadro concettuale che ha considerato la
"governabilità" quale fine esaustivo dell'agire politico. Principiando
dalla frettolosa uscita di scena dei grandi partiti di massa è sorto da lì il
processo di destrutturazione del sistema.Destrutturazione
fondata su due punti ben precisi: la trasformazione progressiva dell'identità
dei partiti politici dall'interclassismo del "catch all party"
(anni'80) all'originale formula del "partito azienda" rapidamente
tramutato in "partito personale": partito "personale" che
ovviamente ha richiesto un radicale mutamento nella comunicazione politica da
orientare nel senso del supporto alla personalizzazione e di conseguenza a un
presidenzialismo "de facto" che ha portato con sél'eterno presente della continua campagna
elettorale e di conseguenza ha alimentato il populismo revanscista che ha
dominato la scena negli ultimi 30 anni di storia italiana.Populismo revanscista trasferitosi anche sul piano
internazionale quasi come "origine" del ritorno all'isolamento
nazionalistico, così facile da far capire ai ceti subalterni costretti nella
"democrazia del pubblico" presto evoluta nella "democrazia
recitativa".