Quello
che è avvenuto a Milano (e in precedenza in tanti altri luoghi d’Italia e del
mondo), è solo un assaggio di quello che la natura ci sta preparando. Per ora
li chiamiamo nubifragi, ma presto saremo costretti ad aggiornare il lessico.
Quello che si prospetta non sarà molto lontano dall’apocalisse. E questo vale
sia per i fenomeni climatici estremi (tempeste, alluvioni, siccità,
desertificazione, innalzamento dei livelli marini, scioglimento dei ghiacciai
con conseguenti carestie di beni primari compreso la disponibilità di acqua da
bere), sia per gli incendi su scala planetaria (volontariamente procurati da
mani criminali, mafie dalle più diverse connotazioni, teppisti ai quali i
governi, le leggi, le istituzioni hanno di fatto assicurato una totale
impunità, con conseguente distruzione delle fonti che ci garantiscono ossigeno
per respirare, biodiversità, impollinatori e così via). Guardando le foto degli
incendi mandatemi dal poeta acrese Francesco Curto per un momento ho provato un
forte dispiacere. Come mi sarebbe piaciuto che in quella città della nostra
giovinezza un tempo così viva e consapevole, politicamente radicale e
coraggiosa avesse potuto solidificarsi e prendere piede una vasta Comune libertaria
di rivoluzionari colti, umani, integerrimi, amanti della loro terra e della
loro memoria! Avremmo potuto impiccare a quegli alberi a cui ogni estate danno
fuoco, andandoli a scovare casa per casa, i miserabili escrementi ai quali mi
rifiuto di conferire altro aggettivo. Peccato.
Comprendo cosa possa sentire un
poeta come Curto tanto radicato alla memoria di quei luoghi e a cui ha dedicato
alcuni dei suoi versi più toccanti. Poi ha preso il sopravvento un sentimento
diverso, cupo, risentito: forse è giusto che l’uomo scompaia dalla faccia della
terra assieme alla sua immensa malvagità, alla sua disgustosa sete di
ricchezza, al suo spregevole egoismo, alla sua vile indifferenza. Che si
inabissi con le ricchezze che ha delittuosamente accumulato, i suoi osceni
simboli di potere, le sue armi sterminatrici, le sue decisioni criminali. E ho
tifato ancora una volta per la natura, per la sua forza annientatrice. “Fai in
fretta”, l’ho esortata, “non indugiare più”.