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mercoledì 12 luglio 2023

MIGRAZIONE E LAVORO /3
di Giorgio Riolo

 
1. Noi, com’è noto, siamo alle prese con la cosiddetta “Fortezza Europa”. Con i barconi, con la “rotta mediterranea”, con la “rotta balcanica”, con la vergogna del campo dell’isola di Lesbo (problema europeo, non della sola Grecia), con la vergogna del campo di Lipa in Bosnia ecc.
Con la vergogna, solo come esempi ultimi di una lunga serie di naufragi, della strage di migranti affogati al largo di Cutro in Calabria nel febbraio scorso e della strage di migranti affogati al largo del Peloponneso (Grecia) in giugno.
Ma occorre allargare il discorso, occorre allargare l’orizzonte. La migrazione preponderante nel pianeta è quella Sud-Sud. Secondo alcune stime in questi quattro decenni di neoliberismo (i “quaranta gloriosi” per il capitalismo neoliberista) in Asia, Africa e America Latina si sono spostate circa un miliardo di persone. Anche come semplice classica espulsione dalle campagne di manodopera a causa della rovina della “piccola agricoltura famigliare di sussistenza”, in presenza dello agrobusiness (agricoltura altamente meccanizzata e con largo uso di prodotti chimici, monocolture ecc.) e a causa dei cambiamenti climatici ecc.
Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, ricordiamo solo un evento. Nell’agosto 2022 le disastrose piogge monsoniche, dopo tre mesi di caldo torrido e di siccità (temperatura costante sui 40 gradi), in Pakistan hanno causato alluvioni distruttive. 1.000 morti e soprattutto 33 milioni di sfollati, su una popolazione che ammonta a circa 230 milioni. Altra spinta per molti di tentare la via della migrazione.
La conseguenza è la cosiddetta esplosione urbana, con i “quartieri informali”, in realtà una vera “bidonvillizzazione del mondo” (Samir Amin). Molte città nel Sud Globale presentano enormi slums, favelas, bidonvilles ecc. Lagos, Nairobi, Il Cairo, San Paolo, Rio De Janeiro, Città del Messico, Manila, Mumbai, Calcutta, solo per citarne qualcuna. L’invivibilità in queste condizioni (acqua contaminata, mancanza di fogne, disoccupazione, promiscuità ecc.) costringe parte di questi inurbati a tentare la via della migrazione verso il Nord Globale.
 
2. Un solo esempio, come modello a cui fare riferimento. Noi in Europa consideriamo la “rotta mediterranea” e la “rotta balcanica”. Ma un’altra rotta è continuamente attiva e alimentata da esseri umani disperati. Si tratta della “rotta orientale”. L’Etiopia è in rapido sviluppo. Questo sviluppo, come spesso avviene nelle periferie del mondo, investe soprattutto le città. In presenza di grandi investimenti di capitali cinesi, in primo luogo, ma anche di capitali sauditi, per infrastrutture, fabbriche, ferrovie, strade, linee elettriche, telefoniche, internet ecc. Le campagne invece soffrono. Come in generale l’intero Corno d’Africa nel quale non piove da vari anni e che la grande siccità miete vittime in greggi, armenti ed esseri umani a migliaia.
Migliaia di disperati si mettono in cammino per cercare fortuna altrove. Ogni giorno a Obock, nel piccolo stato di Gibuti, circa 2.000 persone con i soliti barconi di fortuna attraversano il Golfo di Aden e giungono nel prospiciente Yemen. Nessuno conta quanti vengono inghiottiti dal mare. Chi scampa alla morte e giunge nello Yemen viene ammassato in veri e propri campi di concentramento, come avviene in Libia, dove sono vessati, maltrattati, abusati. Trafficanti yemeniti li portano in Arabia Saudita dove vengono adoperati come manodopera semischiava a disposizione di imprese e di quegli affaristi sauditi, considerati gentiluomini in Occidente e in Italia per ovvie ragioni di opportunismo economico e geopolitico.
Si tratta di circa 300/400 mila lavoratori etiopi. Periodicamente 100 mila di loro vengono espulsi e rimpatriati in Etiopia. Il loro posto viene preso dai nuovi arrivi di emigrati etiopi e del Corno d’Africa con salari ancora più bassi e con meno diritti. Si può ipotizzare che in realtà vi sia un tacito accordo o un accordo segreto tra Etiopia e Arabia Saudita per questo turpe commercio. Carne umana a fronte di investimenti sauditi. In ciò noi italiani abbiamo una lunga esperienza.
 



Alcuni casi storici come casi di studio.
 
a. Si diceva prima gli Usa. Paese, come Argentina, Brasile, Uruguay ecc., d’immigrazione per eccellenza.
Tra il 1820 e il 1914 45 milioni di europei sono emigrati nelle Americhe. Di questi ben 36 milioni negli Usa. Le ondate delle varie popolazioni ivi immigrate andarono a formare le gerarchie che caratterizzarono in parte la morfologia sociale all’interno del paese. Così avviene in molti paesi. Come è stato nel caso della Germania, nell’esperienza dei migranti italiani con turchi, spagnoli, portoghesi, jugoslavi ecc. tra anni cinquanta e anni settanta.
Negli Usa, le ondate sono state di irlandesi, di tedeschi, di scandinavi dopo il 1848 e, tra fine Ottocento e inizi del Novecento, le ondate di cinesi, di italiani, di emigrati dall’Est europeo, compresi molti ebrei per sfuggire a persecuzioni e ai tristi pogrom, sistematici e sanguinosi.
 
b. Cina. La popolosa Cina è il paese che nella storia ha contribuito maggiormente al fenomeno migratorio. Nella seconda metà dell’Ottocento milioni di contadini poveri, soprattutto della parte meridionale del paese, a causa delle due odiose guerre dell’oppio e della rivolta dei Taiping, sono emigrati in Indocina, in Malesia, in Indonesia, a Singapore e nelle Americhe, Nord e Sud. Da qui le molte e numerose comunità cinesi della diaspora.
Negli Usa, i cinesi, i famosi coolies (sia indiani che cinesi), vennero impiegati come manovali, minatori ecc. per la costruzione di ferrovie, di strade, di infrastrutture in generale, a sostituire i neri-negri dopo l’abolizione della schiavitù.
 
c. Svizzera. In Svizzera il 26% della popolazione è straniera o di origine straniera. Questo paese non può fare a meno di questi stranieri nelle varie attività produttive e del lavoro di numerosi lavoratori transfrontalieri, molti dei quali sono italiani.
Malgrado ciò periodicamente si tengono referendum per limitare la presenza degli stranieri. In questi referendum regolarmente vince il no. Servono questi referendum tuttavia per mantenere una sovrastruttura, una ideologia, una pressione, una ostilità fino al razzismo e alla xenofobia. È un deterrente antropologico, culturale e politico.
Il retroterra è nel segno del “mi servi, ti uso, ti sfrutto, ma non sei gradito”.
 
d. Germania. Sulla emigrazione italiana in Germania si dovrebbe parlare a lungo. Sono tristemente famose le baracche che ospitavano precariamente, tra anni sessanta e settanta, i tanti lavoratori italiani. Le varie ondate di greci, spagnoli, jugoslavi, portoghesi, di turchi, di curdi e dopo il 1989 le varie ondate provenienti dall’Europa dell’Est completano il quadro tedesco.
La Germania ci serve anche come comparazione con l’Italia a proposito di programmazione. L’Italia essendo notoriamente incapace di programmare e di pianificare. Non solo “carattere nazionale”, ma soprattutto carattere peculiare del capitalismo italiota.
Lo aveva anticipato a suo tempo, dal 2010 in avanti, l’ex ministro degli interni della Cdu Thomas De Maiziére, nel governo di Angela Merkel. “La Germania nel prossimo decennio ha bisogno di 10 milioni di lavoratori stranieri, e molti di questi debbono essere qualificati”. L’ingegnere siriano molto preparato e profugo di guerra viene accolto volentieri… Le ragioni sono presto dette:
1. Progressivo e irreversibile calo demografico e invecchiamento della popolazione tedesca. Molto simile al caso italiano.
2. Ampie disponibilità finanziarie e quindi necessità di investimenti e di allargamento della base produttiva. Oggi ciò reso problematico a causa della guerra in corso. Concepita anche come allineamento dell’Europa e rottura della possibile intesa Europa-Russia. Con il ruolo subalterno, nella guerra Usa-Nato-Ucraina-Russia, della Germania e dell’Europa tutta e con il fine conseguito dagli Usa di condizionare l’economia tedesca, compreso l’affaire del gas russo a prezzo molto favorevole per il capitalismo tedesco. Sabotaggio del North Stream compreso. Il concorrente capitalistico tedesco è stato messo in difficoltà dagli Usa.
3. Per tenere relativamente bassi i salari. Questo fine naturalmente taciuto dal ministro. È implicito.