L’ATTACCO AL DIRITTO DI SCIOPERO di Franco Astengo
“I sindacati confermano lo sciopero dei treni di 24 ore e Salvini li precetta,
dimezzandone la durata: l’astensione, che comincia alle 3, dovrà concludersi
alle 15”.
Questa la notizia di ieri 13 luglio riguardo dell'annunciato sciopero dei
ferrovieri. Ecco la replica del sindacato: «La
precettazione è un’iniziativa vergognosa, sbagliata e illegittima»,
protesta il segretario generale Stefano
Malorgio, che non nasconde i timori di una iniziativa analoga
del ministero dei Trasporti per lo sciopero del settore aereo di sabato.«Ci
aspettiamo la riduzione o persino un annullamento», spiega, aggiungendo che
il sindacato valuta il ricorso al Tar, anche per evitare che lo stesso
trattamento venga adottato a fronte di altri scioperi. Di
fatto ci troviamo di fronte a un nuovo attacco al diritto di sciopero sferrato
nell’ambito dell’azione di un governo di destra che riprende un antico tema di
limitazione della libertà dei lavoratori e dell’espressione di dissenso. È necessario
ricordare come la prima fase della ricostruzione del Paese nel periodo
post-bellico (dopo che il fascismo aveva vietato lo sciopero e che il primo
vero segnale della sua caduta fosse arrivato il 1° marzo del 1944 con lo
sciopero contro la guerra delle grandi fabbriche del Nord) fosse stato segnato
da una fortissima conflittualità sociale con il costante intervento repressivo
da parte dei governi centristi: operaie e operai, contadine e contadini in quel
periodo lasciarono una lunga striscia di sangue nella lotta per il salario, l’orario,
i diritti fondamentali, la difesa del posto del lavoro e della democrazia (in
quel periodo sono da ricordare anche grandi scioperi politici: in occasione
dell’attentato a Togliatti, contro la NATO, la legge elettorale maggioritaria
definita “Legge Truffa”, fino al tragico luglio ’60). Il
lungo ’68- ’69 italiano registrò ancora sia l’innalzamento di livello della
conflittualità sociale e la repressione governativa: un punto fu segnato con l’approvazione
nel 1970 dello Statuto dei Lavoratori su iniziativa del Partito Socialista
arrivato al governo con il centro-sinistra e particolarmente del ministro
Brodolini e del giurista Gino Giugni. La regolamentazione del diritto di
sciopero nei servizi essenziali, in applicazione dell’articolo 40 della
Costituzione, avvenne nel 1990 come punto di mediazione di un’altra lunga fase
di scontro nel corso della quale i governi succedutisi nel tempo avevano
impostato la loro azione per limitare al massimo il diritto di sciopero: un’azione
frutto dell’iniziativa neo-liberista degli anni ’80 coincidente con l’avvento
della presidenza Reagan negli USA e della presidenza Thatcher in Gran Bretagna
(con relativa repressione dello sciopero dei minatori). In
Italia si sono così verificati tre interventi legislativi: quello della legge
146/90, 83/2000, D.L. 146/2015. Nei servizi
essenziali l’esercizio del diritto di sciopero è consentito unicamente (art. 2,
co.1)nel rispetto delle seguenti condizioni:
a)
organizzazione e adozione di misure dirette a consentire l’erogazione delle
prestazioni indispensabili per garantire le finalità della legge 146/90.
b)
osservanza di un preavviso minimo non inferiore a 10 giorni, al fine
di predisporre l’erogazione di prestazioni indispensabili e per attivare
tentativi di composizione dei conflitti.
c)
obbligo di fornire informazioni alle utenze circa lo sciopero da
parte delle amministrazioni o aziende erogatrici di servizi pubblici
essenziali, almeno 5 giorni prima dell’inizio dello sciopero.
d)
esperimento di un tentativo di conciliazione, vincolante e obbligatorio per
le parti.
Tutte
clausole già fortemente vincolanti e nell’occasione largamente esperite da
parte delle organizzazioni sindacali; non tenute in conto dall’ordinanza di
precettazione che in questo modo rappresenta un punto di rottura pericoloso
nell’ambito del quadro più generale di attacco alla Costituzione che sembra
proprio significare il punto distintivo dell’operato di questo governo.