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venerdì 14 luglio 2023

L’ATTACCO AL DIRITTO DI SCIOPERO
di Franco Astengo



I sindacati confermano lo sciopero dei treni di 24 ore e Salvini li precetta, dimezzandone la durata: l’astensione, che comincia alle 3, dovrà concludersi alle 15”. Questa la notizia di ieri 13 luglio riguardo dell'annunciato sciopero dei ferrovieri. Ecco la replica del sindacato: «La precettazione è un’iniziativa vergognosa, sbagliata e illegittima», protesta il segretario generale Stefano Malorgio, che non nasconde i timori di una iniziativa analoga del ministero dei Trasporti per lo sciopero del settore aereo di sabato. «Ci aspettiamo la riduzione o persino un annullamento», spiega, aggiungendo che il sindacato valuta il ricorso al Tar, anche per evitare che lo stesso trattamento venga adottato a fronte di altri scioperi.
Di fatto ci troviamo di fronte a un nuovo attacco al diritto di sciopero sferrato nell’ambito dell’azione di un governo di destra che riprende un antico tema di limitazione della libertà dei lavoratori e dell’espressione di dissenso. È necessario ricordare come la prima fase della ricostruzione del Paese nel periodo post-bellico (dopo che il fascismo aveva vietato lo sciopero e che il primo vero segnale della sua caduta fosse arrivato il 1° marzo del 1944 con lo sciopero contro la guerra delle grandi fabbriche del Nord) fosse stato segnato da una fortissima conflittualità sociale con il costante intervento repressivo da parte dei governi centristi: operaie e operai, contadine e contadini in quel periodo lasciarono una lunga striscia di sangue nella lotta per il salario, l’orario, i diritti fondamentali, la difesa del posto del lavoro e della democrazia (in quel periodo sono da ricordare anche grandi scioperi politici: in occasione dell’attentato a Togliatti, contro la NATO, la legge elettorale maggioritaria definita “Legge Truffa”, fino al tragico luglio ’60).
Il lungo ’68- ’69 italiano registrò ancora sia l’innalzamento di livello della conflittualità sociale e la repressione governativa: un punto fu segnato con l’approvazione nel 1970 dello Statuto dei Lavoratori su iniziativa del Partito Socialista arrivato al governo con il centro-sinistra e particolarmente del ministro Brodolini e del giurista Gino Giugni. La regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi essenziali, in applicazione dell’articolo 40 della Costituzione, avvenne nel 1990 come punto di mediazione di un’altra lunga fase di scontro nel corso della quale i governi succedutisi nel tempo avevano impostato la loro azione per limitare al massimo il diritto di sciopero: un’azione frutto dell’iniziativa neo-liberista degli anni ’80 coincidente con l’avvento della presidenza Reagan negli USA e della presidenza Thatcher in Gran Bretagna (con relativa repressione dello sciopero dei minatori).
In Italia si sono così verificati tre interventi legislativi: quello della legge 146/90, 83/2000, D.L. 146/2015. Nei servizi essenziali l’esercizio del diritto di sciopero è consentito unicamente (art. 2, co. 1) nel rispetto delle seguenti condizioni:



a) organizzazione e adozione di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili per garantire le finalità della legge 146/90.


b) osservanza di un preavviso minimo non inferiore a 10 giorni, al fine di predisporre l’erogazione di prestazioni indispensabili e per attivare tentativi di composizione dei conflitti.


c) obbligo di fornire informazioni alle utenze circa lo sciopero da parte delle amministrazioni o aziende erogatrici di servizi pubblici essenziali, almeno 5 giorni prima dell’inizio dello sciopero.


d) esperimento di un tentativo di conciliazione, vincolante e obbligatorio per le parti.


Tutte clausole già fortemente vincolanti e nell’occasione largamente esperite da parte delle organizzazioni sindacali; non tenute in conto dall’ordinanza di precettazione che in questo modo rappresenta un punto di rottura pericoloso nell’ambito del quadro più generale di attacco alla Costituzione che sembra proprio significare il punto distintivo dell’operato di questo governo.