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giovedì 20 luglio 2023

L’EDUCAZIONE LINGUISTICA   
di Nicola Santagada 


 
Tutti concordano sulla necessità di privilegiare, nella scuola, l’educazione linguistica, in quanto strumento indispensabile per l’apprendimento e per la comunicazione. La lingua che si apprende è quella materna, che si compone di parole e di elementari strutturazioni sintattiche. Se la madre userà un lessico appropriato, contestualizzato e ben strutturato dal punto di vista sintattico si creeranno le premesse per dotare non solo di strumenti comunicativi il bambino, ma anche di strumenti di apprendimento. La lingua si apprende per imitazione, indicando, inizialmente, ciò che cade sotto i sensi.
Id est, ciò è diventa l’approccio ideale per l’acquisizione di parole, che non solo formano il vocabolario di ognuno, ma sono strumento di ulteriore conoscenza. Conosciuto il cane, osservando i suoi comportamenti, anche da solo, il bambino desume una serie di conoscenze, in quanto la parola è lievito di conoscenza.
Quindi, il modo giusto per imparare è osservare il reale, avvalendosi dei sensi. Dice, giustamente, San Tommaso: “nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”. Non si acquisirà il concetto di bruciare, se uno non si brucia.
Nell’età anteriore all’adolescenza, prevale la conoscenza del concreto, per cui bisogna presentare prima il superbo e, poi, la superbia, prima l’altero, successivamente, l’alterigia; dall’arrogante si perviene all’arroganza, dal presuntuoso alla presunzione.
Anche quando si indicano parole di per sé astratte, come: simbolo, sema (da cui: semantica), signum/segno bisogna avere la capacità del creatore di parole di indicare sempre un concreto, che, in questo caso, l’id est è il grembo materno. Quel grembo ha acquisito la forza espressiva del gesto comunicativo, che, di per sé, significa. Pertanto, non ci sono parole difficili e parole facili, c’è la parola da suggerire nel giusto contesto. Allora, la famiglia e la scuola dell’infanzia giocano una funzione molto importante per l’apprendimento della cosiddetta lingua materna.



Un bambino di 18 mesi non solo decodifica un messaggio, ma riesce a produrre messaggi, ad organizzare una sintassi comunicativa. Questo è sicuramente possibile se il piccolo percepisce intorno a sé sicurezza affettiva.
Con la lingua materna si trasmette tutta la cultura stratificata nel corso dei secoli da parte di un popolo. Infatti, la lingua materna dà identità culturale e, quindi, fornisce uno strumento indispensabile, per definire io sono.
Superata la fase del concreto, si costruirà, con consapevolezza, l’astratto che è l’essenza della logica. Un ragazzo, di qualsiasi ordine scolastico, che non riesce a riconoscere le cosiddette parti del discorso, difetta di strumenti cognitivi, così come difetta di strumenti logici chi non distingue un verbo attivo da un verbo passivo. La lingua italiana si avvale di tre grandiosi innesti culturali: greco, latino, italico, che comprende, quest’ultimo, quanto lievitato dalla cultura classica e da quella cristiana. Rinunciare al greco e al latino significa rinunciare alla nostra identità culturale, così come rinunciare alla lingua materna. La parola, che è memoria storica, deve parlare e deve essere colta nel suo divenire. La parola, però, vale, soprattutto, per il significato che ha acquisito, hic et nunc, conservando, però, tutte le stratificazioni letterarie.
Allora dovremo studiare tutti il latino e il greco? No, decisamente!
Gli insegnanti di lingua italiana, di storia, di filosofia dovrebbero possedere le lingue classiche, per conservare ed incrementare il patrimonio culturale, che può divenire, come continuum, solo se questa memoria non s’interrompe.
Ottimi sussidi per tutti gli studenti potrebbero essere i vocabolari etimologici, che devono aiutare gli alunni a cogliere il significato nel suo germinare. Su questa strada si sono fatti ottimi passi in avanti, anche se, talvolta, pur di attribuire un antenato illustre, si risale al suono e non al significato.