Siedo
su di una panchina. Sera d’estate il sole è appena tramontato e ha lasciato una
traccia di sé: in un cielo diventato turchino come uno smalto araldico, strie di
rosso, rosa, magenta. Dopo giornata di lettura e scrittura ho sentito il bisogno
di lasciarmi baudelairianamente andare a guardare quello che accade attorno a
me. Raggiungo il Parco Baden Powell, appena inaugurato. Bè, vedete, l’apertura
di un parco o di un giardino è un evento sempre da salutare con gioia e pensare
che, in questo momento Molfetta, ha nel suo cementificato corpo due polmoni (come
è giusto che debba essere) uno a destra a sud e l’altro a nord a sinistra, è
confortante per uno come me che ama gli alberi, l’erba, i fiori, le panchine,
proprio come questa sulla quale sono seduto. Le grida felici dei bambini che saltano,
corrono, si inseguono, ridono, trillano come i passeri che ora si accingono a
raggiungere i nidi anche loro per darsi meritato riposo, mi danno un leggero
senso d’ebbrezza, misto a nostalgia, quando un po’ ripenso alla mia infanzia (consumata
per strada o sul selciato della Villa Comunale - ahimé quante sbucciature sulle
ginocchia!) e a quella dei miei, allora, piccoli tre figli.
Questi bambini qui stasera
cadono, ma non si fanno nulla, perché un capitombolo sull’erba, al massimo, può
macchiare di verde i pantaloncini o procurare un estremamente transitorio
doloretto. E più in là, sotto quella macchia d’ombra più discreta, che una
vecchia acacia sa come produrre, due giovani, presumo diciassettenni, o giù di
lì, sembrano assolutamente perduti in un mondo di sorrisi e teneri sguardi. Posso
chiudere gli occhi e ringraziarmi da me per aver scelto questo posto. Ecco,
però, che improvvisa una nube, portata da un vento vertiginoso, spazza dalla
mente quelle immagini di serenità e pace. Come una specie di telegiornale della
memoria, altre immagini si susseguono in rapida, implacabile successione. Bambini,
forse cento, perché non se ne saprà mai il numero preciso, chiusi nella stiva
di un peschereccio lasciati morire in fondo al mare, dopo aver navigato per giorni, sotto il sole,
senza cibo né acqua, al largo delle coste greche. Bambini come Manuel
Proietti morto a Casal Palocco,
periferia di Roma per una sfida tesa a impressionare e catturare l’attenzione di giovani visitatori del web e
aumentare i guadagni della pubblicità.Bambini come Kata, la piccola peruviana di 5 anni scomparsa il 10 giugno
dall'ex hotel Astor di Firenze.E la diciassettenne Michelle Caruso uccisa a Roma e lasciata in un carrello della
spesa, chiusa in un sacco nero di plastica, vicino alla spazzatura, con una
crudeltà unita alla assenza totale di umanità. Da chi? Da un altro
diciassettenne come lei?
Matteo Di Pietro, Vito Loiacono, Marco Ciaffaroni e Leonardo
Golinelli, i 4 giovani youtuber sul canale social contavano 600 mila iscritti e
dicevano: " Ci piace spendere per far divertire voi! Tutto quello che
facciamo si basa su di voi; più supporto ci date più contenuti costosi e
divertenti porteremo, tra sfide, challenge e scherzi di ogni tipo cercheremo di
strapparvi una risata in ogni momento". Per divertire noi? In quale
giardino o parco di questo mondo è nata e cresciuta questa erba maligna? Dove
erano i genitori di Matteo Di Pietro quando il figlio ha preso il Suv
Lamborghini? Il padre a baciare la sua Ferrari, davanti a suo figlio? E tutti
quei followers che complici li andavano a visitare? La responsabilità della
morte di Manuel è solo di chi guidava quella macchina impazzita? Poi, quanta
indifferenza c’è in noi verso la periferia del nostro Paese?Il sangue di Michelle non è il sangue di
tutte le periferie abbandonate del mondo? Abbandonate da chi? Come quel
peschereccio, stracarico di persone, che con incuria e leggerezza una guardia
costiera pensava di poter trainare con un cavo, come fosse un guinzaglio al
collare di un cane. I cavi si rompono e quando cadono in mare oltre 750
persone, cos’è una roulette russa il salvataggio di alcuni? E gli altri? E i
bambini?Già,
i bambini. Che entrano nel portone di casa e scompaiono nel nulla. C’è chi
crede nell’esistenza dei buchi spazio- temporali, quelli che comunicano con
altri mondi, se ci si dovesse cadere dentro. C’è chi crede invece che esistano
gli orchi, ma quelli veri e non riusciamo a dire quello che pensiamo possa
essere avvenuto alla piccola Kata.
Erbe buone ed erbe maligne, in questo gran parco d’un mondo sempre più
privo di giardiniere. Riapro gli occhi. Sono ancora qui, su
questa panchina. Si sono accesi i lampioni e i bambini non ci sono più. Al loro
posto un alberello di melograno, protende verso di me i suoi fiori vermigli. Non
ci sono più neanche i due fidanzatini. Su una magnolia due grandi fiori bianchi
si apprestano a salutare la luna, indifferente, che sta sorgendo su questo
parco, su questa erba buona.Un gruppo di ragazzi e ragazze, con le divise da scout si allontanano
scherzando tra loro. Forse ricordano i giorni passati in Romagna a spalare il
fango.