La
rilettura di una poesia di Silvio Aman compresa nella raccolta Garten, e
precisamente i versi del testo “L’antiquaria”, mi hanno risvegliato una serie
di pensieri intorno ad un argomento, o forse sarebbe più giusto chiamare stato
d’animo, su cui ho più volte e in diverse occasioni indugiato con la mente fra
me e me. Sappiamo che tutti, o un certo numero di oggetti, vanno dispersi o
completamente eliminati assieme ad una vita che si spegne. Diversi di quelli
che vediamo nelle botteghe degli antiquari, dotati di qualche pregio e ambiti
dal mercato, vi sono giunti attraverso vie e modi fra i più vari. Si tratta di
“cose che vanno e vengono/cose che lui voleva/e l’altro ha perso, un tempo”
come dicono i versi di Aman. Chi le possedeva, quelle cose, non c’è più e
chissà da quante mani e case sono passate prima di giungere là dove le troviamo
esposte e messe in vendita. Chi se ne è privato ha avuto le sue buone ragioni:
vantaggio di un sicuro guadagno, mancanza di spazio per custodirle, perché le
sente estranee o non ne apprezza lo stile e la fattura. Chissà. Chi le compra a
sua volta è mosso da motivazioni e sentimenti altrettanto complessi. Quel che è
certo è che sono destinate a finire in case estranee, in case i cui proprietari
non avevano alcun legame con coloro ai quali erano in principio appartenute.
Facevo queste riflessioni mentre tenevo tra le mani il libro del poeta Aman e
fissavo la semplice e sobria cristalliera di mia madre. Un bene (bene
per me, intendo dire)che alla sua morte avevo fatto restaurare e
portare da me a Milano. Conserva una sua bellezza questo manufatto, fatto
davvero a mano da un falegname d’altri tempi; e una sua memoria racchiusa in
una piccola storia che io conosco per averla più volte sentita dalla voce di
mia madre. È una storia che ho tenuto per me, e se alla mia morte andrà
disperso questo bene o dovesse finire in una bottega di antiquario, non se ne
ricaverà che una misera cifra. Chi ne verrà in possesso di quella storia non
saprà nulla. Tali sono gli oggetti che passano da una mano all’altra: perdono
l’anima che racchiudono e restano muti. E forse non si trovano nemmeno bene
nelle case che li ospitano.