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mercoledì 12 luglio 2023

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada


Le vestigia /1


Proseguendo sulle considerazioni linguistiche denominate: “L’estasi”, bisogna ricordare che le radici: στα/στη giunsero nel Lazio, dove abitava un popolo molto concreto e spicciativo, che subito formulò un verbo (regolare?) della prima coniugazione: στα-ω (per crasi: sto) stas, στηti, σταθ-um, stare.
Non solo i latini, ma anche gli italici, utilizzarono queste radici.
Probabilmente il significato da dare a stas (alla greca: σταθ/στας) dovrebbe essere: lega il tendere dal crescere, per cui il significato letterale di σταθ-us: stato, che si riferisce a chi è già stato, dovrebbe essere: ha legato il tendere dal crescere colui che è nato (mancato).
Quindi, i latini formularono il participio presente: stans stantis (alla greca: στανς στανθις): stante, colui che sta, da cui: stanza, stanziare (non solo nel senso di mettere nella stanza, ma anche di prestabilire una somma per la  realizzazione della costruzione del grembo: fare uno stanziamento), stanziale, stantio, con l’accento sulla i; mentre, in dialetto, si ebbe: u stant’ della porta, che poggia sugli stipiti con funzione di architrave, poi: stamberga, astante (il grembo sta davanti), distante/distanza, consto: mi è evidente (quel grembo pronunciato è di tutta evidenza), constato/constatazione, co(n)stante/ costanza, nel senso che quella creatura è non solo determinata, ostinata, pervicace, che non demorde, ma, con passo regolare e continuo, raggiunge l’obiettivo prefissato. Fu coniato: insto: sono imminente, sono vicino, persisto, sollecito, prego (in prossimità del parto ci si affidava alle divinità), quindi: instans: imminente, pressante, poi, i(n)stans come sostantivo: il presente, da cui, probabilmente: istante, ancora: instantia: imminenza, prossimità, presenza, ma anche: domanda o preghiera insistente.
Poi, resto anche come permanere; gli italici formularono: il resto, nel senso di quanto resta del percorso e del tempo prestabiliti; in dialetto: ti do il resto significa: ti do la parte mancante/residua. In dialetto, inoltre, con il prefisso greco para fu dedotto: parastare, che è da collegare al perdurare in grembo, oltre il tempo stabilito: stare lì senza nulla fare.



Poi, praesto as, praeστηti, praeστηtum (praestitum), praestare: sono al di sopra, supero, primeggio, sto davanti per, sono mallevadore. C’è, inoltre, da ricordare che i latini coniarono anche l’avverbio praesto, a cui nell’espressione esse praesto attribuirono i significati: essere presente, essere pronto, essere a disposizione, donde il modo di dire: si presta e, forse, anche fare un prestito. Nel mio dialetto: fare un prestito si dice: amprust’/m’amprust’, che dovrebbe collegarsi a: πρόσθεν: avanti, innanzi, che è ciò che si fa alla presenza di terzi. Quando, non c’era un documento scritto, il prestito si faceva davanti a, che poteva fungere anche da mallevadore. D’altra parte, in latino, il significato convenzionale di prae è: davanti, sto davanti. Comunque, πρόσθεν rimanda non solo a: davanti, ma anche a bisogno momentaneo, in quanto la perifrasi può rendersi così: fa lo scorrere l’ho il mancare da dentro il crescere.
Solo per curiosità, ricordo che l’avverbio della lingua italiana: presto è da collegare al verbo πρήθω: brucio.
Quindi, da praestare si dedusse praestator: garante, ma anche: prestante, da cui praestantia: preminenza, superiorità, eccellenza, ma, poi, dalla struttura della gestante: la prestanza fisica. Si rammenta che praestator dovrebbe essere scritto praestathor, in quanto th è da collegare a θ, con il significato di: crescere.
Fu dedotto obsto (è ciò che consegue dal protendersi contro): sto davanti/contro, contrasto, impedisco da cui in italiano: ostante, nonostante, il nullaosta, ostativo, ostacolo e ostacolare.
Poi, fu elaborato, dalla radice στη, il verbo obstino, che è ciò che si evince da quella creatura che sta a spingere sempre e comunque, ma che vuole raggiungere, ad ogni costo: obstinata mente, quello che si è prefissato.
Il pastore italico aggiunse: quando sta per nascere la creatura, io sono desto, mentre quello latino aveva detto che era vigile, al punto che, nella notte, in attesa, vegliava.
Il pastore e l’agricoltore latini avevano elaborato il verbo destino: mi prefiggo, stabilisco, fisso, ho ferma intenzione, ragionando così: tutte le volte che mi necessita un bene, stabilisco di ricorrere allo stare, mentre, oggi, indica ciò che riservo per la realizzazione di quanto mi sono prefissato. Gli italici, inoltre, dedussero il destino, per i latini fato, ad indicare quello che si evince da quello stare: sono stabiliti e sono immodificabili il tempo e le sequenze, a causa delle leggi ferree che sono proprie dei processi di natura.
C’è da dire che sto, in latino, ebbe anche il significato costare: stare centum talentis/magno pretio (πραεθιυμ), in quanto lo stare, prefigurando anche una costruzione, ha un costo, per cui gli italici, con il prefisso co resero più evidente la modifica di significato. Anche la costa, come litorale, fu dedotta dalla radice sta, come luogo da cui legano il tendere le imbarcazioni. La parola costola fu dedotta da costa. Inoltre, anche il verbo stentare e gli stenti della lingua italiana sono da collegare a στη, nel significato originario di tardare (stenta a venire) e di vivere di stenti. Verosimilmente la t di ent corrisponde a theta (crescere).
Ancora, a voler provocare, perché non pensare che l’inglese step non sia un dedotto di στη?
In italiano, fu, inoltre, elaborato, ar-re-stare, che, verosimilmente, va contestualizzato nella fase prodromica al travaglio, quando la creatura è nella stasi totale, del tutto immobile.
 Gli italici, da due radici greche: σα e στα (dove σα significa: genera il mancare, da cui l’aggettivo σάος: salvo, che è colui, che, superando il travaglio, come legare, manca, nascendo, mentre in italiano fu dedotto il verbo so), ricavarono: sosta e sostare, cosa che fa una persona, come la creatura, che prende fiato, a seguito di un cammino faticoso, come: avanzare, spingendo continuamente.
Questo concetto fu reso, nel mio dialetto, con abentare (alla greca ent è da scrivere: ενθ), che contestualizza la stessa situazione: genera l’andare da dentro il crescere: devo prendere fiato per riposarmi.
D’altra parte, i latini avevano coniato: substare: sto sotto; inoltre, sotto/sub fu dedotto da questa perifrasi: va dall’ho il mancare, per cui, nella creatura che manca, nel senso che è in formazione, si evince il legame con la madre, che, nutrendola, dà substantia: essenza, materia, cibo, esistenza, realtà da res; tale sostanza era stata denominata dai greci: (usia) οσία, che discende da: οσα: colei che è, cioè: la madre che nutre la creatura, per cui la sostanza, come cibo/materia, viene fornita dalla madre. Inoltre, in latino, da substans furono dedotti gli aggetti sostanziale e substantivus, nel senso di: indipendente, che ha un’esistenza propria.
I latini, inoltre, mediante un calco, avevano dedotto il participio perfetto: stat(h)us: colui che è stato, da cui gli italici: sono stato (nel grembo), mentre in dialetto: agg’ stat’: quando ho avuto lo stare. Da chi è stato si evince la stat-io, quindi: stazionare, stazionamento. Statio, inoltre, significò anche: ufficio dei funzionari di Stato nelle provincie, da cui, poi, probabilmente, il significato di Stato. Quindi, statua, statuario, statura. Poi, dal participio status fu dedotto il sostantivo: status status: posa, posizione, atteggiamento, condizione (anche sociale), condizione stabile. Ancora: stabile e stabilità. Poi, da chi è stato nel grembo, si evince: statuo/statutum: faccio stare, innalzo, stabilisco, tutti atti che attengono al grembo.