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martedì 15 agosto 2023

FERRAGOSTO DI LUCI E OMBRE
di Angelo Gaccione

 


Quand’ero ragazzo e sentivo che ci si scambiava gli auguri per Ferragosto rimanevo sempre molto perplesso. Non ne capivo la ragione. Molto più tardi compresi che la ricorrenza era stata collegata dalla chiesa cattolica all’Assunzione, ed infatti, nella mia città ci si recava nel quartiere storico di Padìa per rendere omaggio alla santa nell’omonima chiesa, e ad assistere sulla piazzetta Azzinnari alla festa tutta laica a base di canzonette moderne e di intrattenimento. Con la diffusione dell’automobile anche fra i ceti popolari, Ferragosto diventò il rito della scampagnata mangereccia. Si preparavano succulente pietanze e si partiva per salire in Sila. I più ardimentosi partivano in piena notte per accaparrarsi il posto migliore dove arrostire salsicce e carni alla brace, stare all’ombra, avere a portata di mano l’acqua fresca di quel meraviglioso altopiano folto di pinete. La mia città si svuotava e i cocomeri, alcuni raggiungevano i 25 chili, erano un trionfo di colori su tutti i tavolati di fortuna o sulle stuoie e le coperte stese sopra i prati. Feriae Augusti, cioè la festa in onore di Augusto di cui il mese prendeva il nome, lo diventò più tardi, quando i miei studi e l’interesse per l’etimologia si irrobustirono. La storia ci ricorda che i festeggiamenti riguardavano ogni parte dell’Impero e si gli animali, addobbati di fiori, prendevano parte a corse o a sfilate. Una buona pratica perché almeno in quei giorni uomini e animali gravati dalle fatiche, potevano riposare e avere il giusto riconoscimento della loro importanza e utilità. In origine la festa si celebrava ai primi del mese e come si vede aveva un carattere preminentemente pagano e laico. Fu molto più tardi che la Chiesa ne spostò la data e la fece coincidere con l’Assunzione di Maria. Durante l’età rinascimentale nello Stato Pontificio fu resa addirittura obbligatoria e gli auguri che i contadini e i lavoranti formulavano ai loro padroni ottenendone una piccola ricompensa, mutarono significato. Gli auguri avevano ora un carattere religioso e gli onori tributati alla madre del Cristo con processioni, candele e altri riti. Le gite fuoriporta o i viaggi di una certa distanza dai propri luoghi furono promossi in epoca fascista. Strumento di consenso politico come lo era stato in epoca augustea, e strumento di consenso sotto il fascismo, Ferragosto dava alle classi popolari l’opportunità di vedere luoghi mai visti prima e conoscere città, mari, laghi, montagne. Ci si muoveva con treni a tariffe scontate e spesso in maniera collettiva grazie alle varie associazioni, soprattutto dopolavoristiche, che il regime favoriva. Del Ferragosto, e della sua atmosfera, hanno parlato cinema e letteratura, e si potrebbe farne una robusta campionatura. Da Alberto Moravia con il suo racconto Scherzi di Ferragosto fino a Carlo Cassola col suo romanzo apocalittico Ferragosto di morte, e via via proseguendo con il giallista Renato Olivieri con il suo Maledetto Ferragosto, con Raffaele Crovi e il suo Ladro di Ferragosto, con Ferragosto addio! di Luca Ricci e chiudendo con Feria d’agosto dello scrittore piemontese Cesare Pavese. Ma che cosa è rimasto ora del Ferragosto della mia adolescenza? Nulla. Città desolatamente svuotate, tristi e infuocate da un lato; prese d’assalto da orde di turisti dall’altra e sporcate, rese rumorose, a volte sfregiate nei loro patrimoni, speculativamente care e fuori controllo nelle località marine e rivierasche. Giorno più caro in assoluto, privilegio da ricchi. E con tante solitudini di anziani, malati e poveri. Abbandonati come i cani sulle autostrade, considerati un inutile peso, uno scarto.