IL NUOVO
LIBRO POSTUMO DI ALDO BONOMO di Giovanni Bonomo
Anche in
questa raccolta che segue Il balcone fiorito l’Autore guarda con
delusione ad ogni aspetto del visibile, ma si tratta di un pessimismo della
ragione perché mio padre era un uomo, pur nella passione, estremamente
razionale. E l’esperienza del deluso è in qualche modo già segnata da una
posterità, perché è di un uomo postumo alle proprie esperienze. Per questo
abbiamo deciso di pubblicare questa seconda silloge che dà voce ad Aldo Bonomo
poeta, non solo giurista di fama e brillante avvocato. Non inganni il
sottotitolo, l’Autore soleva ripudiare ogni propria creazione con la modestia
dell’artista che ritiene le proprie opere incompiute in un orizzonte chiuso
agli infiniti spazi a cui anelava. Dei disegni e dei ritratti, ritrovati
insieme a queste poesie che risalgono all’anno 2000 ma che sono esercizi di
pittura di anni precedenti, abbiamo scelto per la copertina del libro questo
mio ritratto, di quando avevo otto anni. Abbiamo poi accompagnato alcune poesie
dai corrispondenti ritrovati manoscritti, che mostrano la tipica calligrafia
delle persone geniali, e che io già ben conoscevo per la redazione degli atti e
memorie difensive, che mio padre scriveva su fogli a carta velina. Non era
ancora il tempo della digitalizzazione e della conservazione degli scritti che
ora, sottratti alla deperibile carta, sfidano l’usura del tempo. A mio padre
avevo già dedicato il ritratto che si trova in Internet oltre alla scarna
pagina su Wikipedia, che andrebbe arricchita. “Un uomo giusto con una
dirittura morale severa unita ad una grande umanità tracciò i primi solchi della
legittimazione della televisione privata in Italia” è la frase introduttiva
del ritratto. Anima sensibile letteraria, oltre che speculativa e filosofica,
vedeva il diritto come strumento di riflessione e di ragionamento, con una resa
stilistica, prima che retorica, tale da condurre il lettore (l’assistito, il
giudice e finanche l’avversario) in una lettura scorrevole e avvincente, e alla
fine pienamente convincente della tesi di difesa. Non rari furono i casi di
copia-incolla nelle motivazioni delle sentenze, delle frasi tratte dalle sue
memorie giudiziali e dagli atti del processo. Nella mia lettera aperta del 1°
settembre 2005, il giorno dopo la sua scomparsa, traspare il mio sincero
pentimento di non aver colto e applicato prima i suoi insegnamenti, che ora
sono la strada maestra, non solo per me ma per molti altri giuristi, di uno
stile espositivo e di una capacità di argomentazione più uniche che rare.
Guardandosi allo specchio, queste parole mio padre diceva, in una traduzione
dell’epigramma 54 del poeta greco Pallada fatta scherzosamente per omaggiare la
sua consorte e traduttrice Lorenza Franco dei lirici greci: “Impietoso
specchio, / l’immagine mi rendi / di un rassegnato vecchio, / l’immagine
sdrucita / di chi, mentre t’accendi, / rifugge dalla vita”. Ne esce una
splendida anacreontica che esprime l’epistème del disincanto, o della
delusione, per la finitezza (l’orizzonte chiuso) della nostra esistenza
terrena, con versi che sono destinati invece a diventare eterni. Avrebbe
meritato di vivere più a lungo e meglio, senza sacrificare nell’abnegazione del
lavoro la sua salute per nobili ideali e per meno nobili persone. A me ha
insegnato, con il suo pensiero limpido e cristallino, che la forza della
ragione, e della sana argomentazione senza orpelli, vince sempre. Ma bisogna
riconoscergli anche il merito di essere stato prima di tutto un poeta.