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lunedì 25 settembre 2023

LA SOVRANITÀ INDISPENSABILE
di Franco Continolo


D
eepak Tripathi è un PhD, un ricercatore all’inizio della carriera accademica, britannico che con diligenza ripercorre la storia del concetto di sovranità. Il difetto principale del suo saggio, oltre a quello di non mettere in discussione la NATO, è di aderire al punto di vista mainstream che non distingue tra sovranità e potere: con il rifiuto del potere assoluto si finisce così per giustificare la sovranità limitata. In realtà, come si è detto altre volte, la sovranità o c’è o non c’è – tertium non datur. Il motivo è che la sovranità è la condizione per l’esercizio della responsabilità di governo – senza sovranità, ossia quando si debba rispondere a qualcun altro, o quando non si capisca bene chi comandi, si è degli irresponsabili. Sebbene più antico della dottrina della divisione dei poteri – Montesquieu pubblica De l’Esprit des Lois nel 1748 – il concetto moderno di sovranità, nato con la Pace di Vestfalia, 1648, è stato meno oggetto delle riflessioni dei filosofi, legato com’era alla separazione tra potere politico e religioso. Sono stati gli americani, o Tocqueville nell’osservarne i costumi – qui Tripathi non è chiaro – a teorizzare il principio che la sovranità appartiene al popolo. Tocqueville era infatti impressionato dalla vitalità e dall’autonomia delle comunità locali negli Stati Uniti del primo Ottocento. Fra l’altro, ciò spiega perché il termine populismo abbia avuto negli Stati Uniti un significato meno negativo che in Europa, dove è sinonimo di demagogia, almeno finché non è arrivato Trump. È immaginabile che sempre agli americani si debba l’introduzione del concetto di sovranità e del principio di non ingerenza nella Carta delle Nazioni Unite. Come sappiamo, con la morte di Roosevelt, gli Stati Uniti hanno subito imboccato la direzione opposta, e per questo non è così azzardato pensare che il motivo per cui nella costituzione di un paese occupato come l’Italia, il concetto di sovranità deducibile dagli articoli 1 e 11 sia così vago, sia l’influenza dell’occupante (che negli stessi mesi in cui si elaborava la Costituzione imponeva il “regime change”, ovvero la fine del governo di unità nazionale). Va in proposito ricordato che il “rules based order” è un sistema in cui i governi si sottopongono alle regole americane, ossia diventano irresponsabili. Ciò ci porta alla domanda: ma allora essere sovrani vuol dire non accettare nessun vincolo esterno? Evidentemente no; la convivenza richiede che si facciano accordi e si medino interessi opposti per salvaguardare la pace mondiale. Il problema è che questi accordi, che questi trattati non possono essere definitivi: ogni governo, vecchio o nuovo, deve avere la facoltà di recedere se le condizioni pattuite si rivelino insoddisfacenti o contrarie ai propri interessi. Il caso della NATO, dove nessuno se ne va, pur di fronte a un cambio di natura – da alleanza difensiva a offensiva – e dove, grazie al folle art. 5, si è stati chiamati ad andare in Afghanistan con il pretesto di un attacco terroristico, rivelatosi a tutti gli effetti frutto di un diabolico complotto interno, è tipico di un trattato limitativo della sovranità nazionale, quindi da ripudiare. La NATO è anche il motivo per cui nessuno oggi se ne va da una UE che è diventata un’organizzazione guerrafondaia. Eppure la libertà di andarsene dall’UE è fuori discussione, come ha dimostrato Brexit. Ma lì, dal punto di vista americano, i motivi erano più futili, e non c’era la guerra. Decisivo per il successo di Brexit è stato l’appoggio di un Corbin giustamente indignato per il trattamento della Grecia, ma con le idee altrettanto confuse sull’ordine internazionale. Diventata incerta, in particolare dopo la Grecia, la convenienza economica dell’appartenenza all’UE, e diventata inaccettabile la sua posizione sulla guerra, la permanenza in essa ha senso solo per dare più peso alla battaglia per lo scioglimento della NATO, priorità assoluta per un’Europa che voglia riprendere in mano il proprio destino, ed essere fattore di ordine e di pace.