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domenica 10 settembre 2023

LE TESI DE IL MANIFESTO
di Franco Astengo
 


Il 9 Settembre 1970, su un numero speciale, Il Manifesto pubblica le Tesi con le quali intende aprire una fase costituente tra tutte le forze rivoluzionarie e proporre una piattaforma per l’unità della sinistra rivoluzionaria. La necessità di un nuovo partito nasce da due spinte: 1) la necessità di staccarsi dall’Unione Sovietica, avviata a formare con gli Usa un unico blocco imperialista; 2) evitare di essere catturati dal riformismo del PCI e del PSIUP pienamente inseriti nel sistema.
Il terreno sul quale il nuovo partito dovrà posizionarsi sarà quello dei nuovi bisogni, dei consumi sociali, della casa e della salute, della scuola, del movimento studentesco, della contestazione femminista dei ruoli, senza dimenticare, ovviamente, il terreno dei bisogni più tradizionali della lotta antimperialista, della pressione sul salario, della riduzione dell’orario di lavoro e dello straordinario, dell’estensione degli organismi elettivi.



Così Leo Essen (Sinistra in rete) ricorda quell’evento politico di cui ricorrono i 53 anni e aggiunge: “In particolare, nella Tesi 72, viene integrato un tema caro a Marcuse e ripreso da un passo dei Grundrisse destinato a diventare arci-famoso, un pensiero-guida. Nel 1967 appare la traduzione italiana de L’Uomo a una dimensione. Il 25 maggio del 1968 Einaudi stampa la 7a edizione. A pagina 55 Marcuse piazza - integralmente - il passo dei Grundrisse: Il fondamento della produzione della ricchezza non è più il lavoro immediato compiuto dell’uomo, né il suo tempo di lavoro, bensì l’appropriazione della sua forza produttiva universale, del suo sviluppo come individuo sociale. Il furto del tempo di lavoro di un uomo, su cui la ricchezza riposa ancora oggi, appare allora come una ben misera base a confronto della base che la grande industria ha creato. Con l’ingresso massiccio della scienza e della tecnologia nella produzione lo sviluppo economico da estensivo diventa intensivo. La fonte decisiva dell’produzione allargata non è il lavoro umano diretto ma il patrimonio sociale delle conoscenze, fino a rendere possibile un’espansione costante della produzione attraverso un uso sempre più efficace del capitale costante dato. Trionfo del lavoro morto sul lavoro vivo. Fine della differenza tra lavoro produttivo e improduttivo. Che cos’è allora il proletariato, se non è più produttore di valore (e plusvalore)?”



Nel corso degli anni a questa domanda non si è riusciti a fornire una risposta convincente. La richiesta avrebbe dovuto essere quella di un prossimo illuminismo: un rapporto più umano con scienza e tecnologia. Un rapporto dettato diversamente da quello di “integrazione” nel processo di rivoluzione passiva. Nel turbinio dei fatti di questi 50 anni è rimasto così sospeso l’interrogativo di fondo: quale politica potrebbe servire come tramite e governo di diffusione di questo nuovo illuminismo e di questo diverso rapporto tra l'agire umano in funzione sociale e l'apparente "neutralità" della relazione tra scienza e tecnologia? Un interrogativo particolare in tempi nei quali appare dominante la tecnica economica per il cui dominio ricompare lo spettro della guerra globale?  La pretesa dell’affermazione piena del marginalismo quale fattore teorico fondamentale su cui si è basata l’offensiva neo-liberista fin dagli anni’80 ha quindi prodotto accompagnandosi al clamoroso sviluppo di una innovazione tecnologica misurata sull’affermazione del virtuale con effetti molto precisi dei quali forse si comincia soltanto adesso a rendersi pienamente conto. La scienza economica è stata intesa come una disciplina autoreferenziale che finisce con l'assorbire ogni tensione conflittuale proveniente dal mondo della politica assumendo integralmente un ruolo di governo fondato sul funzionamento del mercato concepito come istituzione autoregolata. Un’autoregolazione in grado di massimizzare le proprie utilità esclusivamente secondo le curve della domanda e dell’offerta. Insomma: l’economics al posto della policy. È questo il punto che oggettivamente viene sollevato attraverso la riflessione sulla ricerca del “nuovo umano” rispetto alla “relazione secca” scienza/tecnologia. Una vittoria piena, all’apparenza, della riflessione di Heidegger sull’essenza della tecnica. Sul piano politico siamo di fronte alla creazione di una nuova oligarchia, indifferente alla realtà democratica e alle istanze sociali. Come può essere possibile contrastare questa nuova dimensione egemonica, attraverso la quale sul piano concreto si sta cercando di porre quasi “al di fuori dalla storia” milioni di persone considerate semplicemente come oggetti da sfruttare. 



Non sarà sufficiente riproporre la realtà di un’organizzazione politica degli “sfruttati” posta al di fuori e “contro” la realtà dell’unificazione tra economia e politica. L’obiettivo dovrebbe essere quello di riguadagnare tutta intera la dimensione politica dell’economia rovesciando completamente l’impostazione oggi temporalmente prevalente. Così è necessario tornare a introdurre un principio di “contraddizione sistemica”, nel rapporto di tensione tra scienza e tecnologia. Deve riemergere una visione di “distinzione-opposizione” che non riguardi soltanto le finalità, per così dire, “ultime” nella prospettiva di costruzione di una società diversa, ma già nell’immediato con la ricostruzione di un principio di dialettica politica. Una capacità dialettica politica non schiacciata sull'esistente e capace di porci al di fuori dal processo in corso di “rivoluzione passiva”. Anzi, l’espressione di una capacità di dialettica politica che pur nella scansione obiettiva di finalità limitate all’interno di successivi passaggi di transizione, risulti in grado di proporre un diverso, alternativo, edificio sociale. In questi anni le forze della sinistra hanno finito con l’acconciarsi al ribadimento della catastrofe, senza riuscire in qualche modo ad allontanarla: se si pensa che sia ancora possibile, invece, un movimento di liberazione da quella stessa catastrofe che stiamo vivendo allora bisogna porsi, ancora, il tema del guardare in modo diverso al rapporto tra l’uomo e il mondo rispetto a quello stabilito, e apparentemente obbligato, dalla triade sfruttamento-appropriazione-dominazione.