Un giorno mi trovavo ad
attraversare il solito incrocio nella densa folla, densa come sempre e come mai
e, alle mie calcagna avevo… no, non avevo stavolta né una mountain bike, né una biciclettina, né un carrello e neanche uno skate, no: una ruota da circo, avevo,
con una bambina in sella… Per evitare di cadere, oh, sommo rispetto del
passante! essa si faceva reggere la mano da mammina,
che gliela teneva alta, come conducendola all’altare, la candida sua creatura! Come si può dedurre da questo ulteriore fatterello,
l’idiozia non ha bisogno per forza di tante ruote, avanza persino su una ruota
sola, e la nostra pelle non è mai al sicuro. La società è un inesausto,
frenetico laboratorio, dove si sperimenta di continuo come spostare il limite
in tutte le cose! Dove si cerca continuamente di capire quanto è in grado
l’uomo di sopportare, di ingollare, di mandar giù! Dove si vede continuamente
come spezzare i tabù, come far cadere una barriera dietro l’altra, una difesa
dietro l’altra… per lasciarlo, infine, l’uomo… nudo… e… finalmente folle, nella
sua nudità! Idiozia, sadismo e noia, oh, quanto potenti siete voi divenuti in
questo mondo impotente, come lo sapete tenere in pugno, reggere e tiranneggiare
per benino!
Il giorno dopo, ho avuto un colloquio con la polizia. Non
che sia andata a cercarla io, la polizia, cosa in sé troppo frustrante, visto
che si nasconde chissà dove: mi ci sono imbattuta per caso sulla piazza situata
al solito incrocio, dove essa fa le sue ridicole e sporadiche apparizioni per spaventare
i passeri (i ciclisti), che poi, dopo qualche giorno, riaffluiscono più
ringalluzziti che mai. Per cavalleria, mi sono rivolta alla donna nella coppia:
“Scusi, vorrei farle una domanda: vorrei sapere se è permesso attraversare un
incrocio in sella a una ruota da circo…”. “Come ha detto, per favore?”, risponde lei con viso
pallido e ingrato. (Anche la polizia è lenta di comprendonio.) Reprimendo l’insofferenza: “Le ho chiesto se è permesso
attraversare un incrocio in sella a una ruota da circo…”. “Ripeta ancora una volta, per favore...”. Alzando rispettosamente la voce: “M’interesserebbe sapere
se è permesso andare sui marciapiedi o attraversare un incrocio in sella a una
ruota, come ho visto fare ieri a una bambina a questo incrocio… lì vede, in
quel punto…”. Alla terza possibilità, la poliziotta afferra. Come i
cittadini normali, ricordate? ne ho già scritto. Anche lei, scendendo dal settimo cielo, è arrivata a
toccar terra. Ora sciorina con fredda prosopopea, distogliendo lo
sguardo: “È vietato a tutti i cicli andare sui marciapiedi…”. “Davvero? Anche a quelli piccoli?”. “Anche a quelli…”. “Ah, molte grazie, buona giornata ancora…”, auguro con la
pupilla vagamente affisa sullo sfondo, dove i tradizionali ciclisti stanno, come
sempre, volteggiando… Mi scappello e me ne vo. Ora sono certa dei miei diritti, ora posso tirare un
sospiro di sollievo, so che la polizia sta dalla mia… Ora guardo il mondo con altri occhi…
Il giorno seguente, stavamo passeggiando come due
filosofi di Atene sotto casa. Eravamo, veramente, così immersi nella nostra
elevata conversazione e così grati al tiepido sole che ci permetteva quella spensieratezza
e quell’abbandono che, quando, a un tratto, ci siamo visti venire incontro a
rotta di collo un forsennato ciclista di dieci anni circa, una delle tante età
critiche dei ciclisti, lo shock è stato anche più forte. Bastardo mandato in terra per fare uscir dalla grazia di
Dio!, ho bestemmiato dentro di me. E gli ho fatto largo e vistoso segno di
ridurre la velocità. Come d’abitudine, il bonzo, col capo assicurato nel casco
variegato, neanche lontanamente ad accontentarmi s’è provato, bensì imperterrito
la sua insana corsa ha continuato. Vuoi per ottusità, vuoi per arroganza, vuoi per autismo… Va’
a saperlo. E però, intanto che girata lo seguivo con lo sguardo, mi
si para dinanzi una faccia di scimmia dallo sguardo allucinato e altro orrendo
casco, mi spavento: la madre. Mountain bike tra
le gambe, mi fissa interrogativa con aria di dibattito sul ciglio. “È un pericolo pubblico, suo figlio,” comincio. “Gli
faccia moderare la velocità!” “Ma i bambini
devono potersi sfogare!”, ribatte lei come le avessero pigiato un bottone sulla
nuca. Tremo per l’indignazione: quante volte ho già udito questa
frase abietta! E, mentre lei, fatto il suo servizio, si sta
allontanando, le getto dietro, a precipizio: “In ogni caso è vietato anche a
lei andare in bicicletta sul marciapiede!”. Non so se mi risponda e non m’importa. La morale è questa, tuttavia: proprio di grande aiuto, la
polizia.