Ci pensavo mentre scrivevo la nota
sull’Archivio della Parola dell’Immagine e della Comunicazione Editoriale. Il
Sud, forse con qualche rara eccezione, non potrà mai competere con altre realtà
del Paese. E non parlo dal punto di vista strettamente economico, parlo di
quello culturale. Dove viene realizzato il Piccolo Museo della Poesia? A
Piacenza. Il Fondo Manoscritti degli scrittori? Presso l’Università di Pavia. L’Archivio
della Parola di cui ho detto sopra? Presso l’Università degli Studi di Milano.
E potrei continuare l’elenco all’infinito. Le ragioni vanno ricercate nel senso
di inferiorità di buona parte degli amministratori della Cosa Pubblica rispetto
ai loro colleghi del Centro-Nord; nella completa mancanza di sensibilità di
quanti occupano cariche istituzionali a vari livelli sia pubbliche che private; nel deteriore
provincialismo che li contraddistingue per cui tutto ciò che proviene da fuori è oro colato e ci si fa volentieri colonizzare. E quando imitano, imitano il
peggio. Il buono che c’è e vi nasce quasi sempre viene ostacolato. Va aggiunto
a tali ragioni, la fuga di intere generazioni che al Sud non trovano nulla per
cui valga la pena di restare. E sì che di “milionate” di fondi pubblici ne sono
arrivate a palate dal dopoguerra in poi. E non ultimo, l’attenzione dei giovani
ricercatori riservata quasi esclusivamente a figure del panorama letterario del
Centro-Nord. Migliaia e migliaia di tesi di laurea e di ricerche incentrate
costantemente su poeti e narratori (per rimanere in ambito letterario) ultra
celebri, di cui si parla di continuo sui giornali e su cui esiste già una
bibliografia sterminata. Che senso ha tutto questo? Silenzio assoluto, invece,
su quelli meno noti e che hanno scelto di stare fuori dagli apparati, o li
hanno apertamente avversati, per tante importantissime ragioni. Vi risulta,
tanto per stare nella regione che mi ha dato i natali, che in qualche luogo
della Calabria si raccolgano i manoscritti, le carte, di poeti e
scrittori calabresi viventi? Non vi è traccia non dico di un archivio, ma
neppure di una misera sezione in una stanzetta dove si possa rinvenire che so,
i loro libri migliori, le recensioni a quei libri, pagine manoscritte, foto,
lettere, articoli dei giornali e riviste ai quali hanno collaborato, spezzoni
di filmati, qualche intervista registrata per sentirne la voce, magari fra un
centinaio di anni, se la guerra nucleare o la devastazione ambientale non
avranno nel frattempo annientato ogni cosa. Non parliamo poi delle scuole. Nei
nostri territori insegnanti e studenti ignorano completamente l’esistenza dei
loro letterati. Quasi mai ne adottano un libro da leggere in classe, magari per
apprezzarne se non lo stile e la poetica, almeno il suolo su cui poggiano i
piedi, una forma linguistica, un angolo della loro città. Così come gli
assessori alla cultura. Ed è rarissimo che un bibliotecario, motu proprio,
ne contatti uno per entrare in rapporto, sapere qualcosa del suo lavoro, della
sua ricerca. Il paradosso è che a conoscere un personaggio, una vicenda o uno
scorcio di paesaggio di quei luoghi sono lettori che con tutto questo non hanno
nulla in comune, e tuttavia vi si affezionano.Eppure non facciamo che
riempirci la bocca sul fatto che a rendere importante un luogo è il patrimonio
culturale che può esibire. Ma non è solo il Sud. Se penso al completo oblio a
cui la cittadina di Vigevano ha condannato il suo prezioso scrittore
Mastronardi, non c’è proprio nulla su cui sperare. Un amico poeta ha donato il
suo materiale, compresa la fornitissima biblioteca, a un istituto culturale
della Svizzera italiana. Alla mia domanda sul perché non avesse dato tutto alla
sua città di nascita ha risposto: “Non sanno nemmeno che esisto. Non saprebbero
che farsene”.