Milano ha avuto il suo Pasquino, non celebre come quello romano e che
può addirittura vantare una piazza intestata a suo nome, pur tuttavia, ha
lasciato presenza di sé come si può ancora vedere, se non ci si fa distrarre
dal flusso ossessivo che affolla i portici di Corso Vittorio Emanuele
stracarico di negozi alla moda, e si levano gli occhi all’altezza del numero 13
dove la statua avvolta da una toga romana fa bella mostra di sé. Subito sotto
ai suoi piedi una scritta in lingua latina recita: “Carere debet omni vitio qui
in alterum dicere paratus est”. Tradotta ammonisce che deve essere privo di
ogni vizio colui che si accinge a criticare la condotta di un altro. Il
Pasquino milanese il nome lo ha mutuato dalla parola latina Carere che
apre la scritta, per quelle incredibili alchimie popolari, quelle storpiature
ironiche della sua accesa fantasia. E così Carere è stato trasformato in
un vero e proprio nome: Carera, al quale con l’aggiunta del sostantivo
dialettale scior (signore), ha dato vita allo scior Carera, il
signor Carera. Ma attenzione a quello scior, va letto rigidamente sciur,
altrimenti i pochi milanesi sopravvissuti e che ancora parlano la lingua
meneghina potrebbero adontarsene. Questo altorilievo di marmo, pare databile al
terzo secolo, è stato battezzato anche omm de preja (uomo di pietra); e
difatti, un’altra iscrizione del piedistallo, appena sotto la prima, ci
informa: “Statua virile romana detta omm de preja o scior Carera.
Un tempo in via S. Pietro all’Orto. Durante il dominio austriaco fu per Milano
quello che per Roma era la statua di Pasquino”. Ed ecco tutti gli elementi a
nostra disposizione: per un lungo periodo la statua si trovava in via San
Pietro all’Orto e vi si attaccavano, come per la statua “parlante” di Pasquino
al Parione, ogni sorta di scritti: satire, epigrammi, versi salaci, invettive e
quant’altro. Se il Pasquino romano fustigava il corrotto potere papale, lo
scior Carera milanese fustigava i dominatori austriaci. La storia della sua
collocazione è lunga e articolata e nel tempo si è tentato di dargli una
identità attendibile, ma senza successo. Si pensò persino a Marco Tullio
Cicerone (ma la testa è posticcia e non di epoca romana, e poi i lineamenti non
corrispondono a quelli del politico ed oratore), il piccolo scrigno posto ai
suoi piedi ha fatto pensare invece ad un magistrato. Ad ogni modo nel 1832
la statua fu sistemata in una posizione molto elevata per evitare che si
mettessero ai suoi piedi gli scritti irriverenti come avveniva per quella di
Pasquino a Roma. La tradizione sostiene che nel 1848 vi fu affisso il manifesto
dello sciopero del fumo per protestare contro la tassa imposta dagli austriaci,
protesta che poi culminò con l’insurrezione delle Cinque Giornate. Non è
escluso che qualcuno dei patrioti ci abbia fatto davvero un pensierino; e
quanto agli aspetti irriverenti ecco come ci si rivolgeva all’Arciduca Eugenio de
Beauharnais: arciduca 6 -1- 0, cioè sei uno zero. Questi versi furono
scritti invece in occasione della visita dell’Imperatore asburgico: Verona
città giuliva, l’applaude quando arriva. Milano che sa l’arte, l’applaude
quando parte. Le altre città che pensan ben, l’hann in del c* quando parte e
quando vien. Nel 1950 con il riassetto urbano del
corso Vittorio Emanuele, la statua fu collocata nel luogo dove si trova
tuttora.