Ha
l’andatura asciutta l’estate. Quando l’aridità dà fuoco, getta luci e ombre,
satura di salsedine il mio Sud e ha il rosso profumo delle angurie. Ѐ l’estate di Rocco Scotellaro, dell’“incessante stridio di cicale ubriache di caldo”. Noi restiamo in
città e andiamo a prendere il fresco ai giardini pubblici, con i piccioni che
sbandano, gli uomini assopiti sulle panchine e le belle ragazze ben attrezzate
per non soffrire il caldo. Il sole al tramonto, accenna, accenna alla dolce
nostalgia delle partenze, a tutto ciò che finisce e ricomincia e lascia spazio
alla luna che dopo essere apparsa straordinariamente grande e rossa, rimane
sospesa in cielo, come un mappamondo sopra un gigantesco ulivo, vecchio
patriarca dei nostri campi. In
una piazza della città, a semiluna, sospese in file parallele e regolari, ecco una
serie di lampadine accese, di quelle che si vedevano una volta nei circhi e nei
Luna Park e che rimandano a certe sequenze cinematografiche felliniane: ci rammentano
che in estate si vivono le notti cosmiche della natura e delle erbe: la notte
di San Giovanni e quella di mezza estate. “Di’ pazzo folletto, che
avvien stanotte nello stregato bosco?” dice Oberon ne Il sogno di una notte
di mezza estate. Amori, streghe, incantesimi, elfi incarnano lo spirito
della natura in un grande intreccio fra natura e magia. E
adesso quando, come il migliore amico, l’estate sta per andar via, mi piace ricordare
che nel territorio in cui ho sempre vissuto proprio in questa stagione si
possono andare a riscoprire luoghi in cui è possibile ritrovare il senso di una
esistenza attorniata da bellezza e silenzi. Esemplare è
il piccolo borgo di Montaltino, che prende nome da una antica masseria, raffigurata
nell’ “atlante delle locazioni” del 1686, “location De Salpi”, territorio diBarletta.
Barletta
Attualmente, attorno, sono state
annesse, nel tempo, altrecostruzioni adibite a residenza,
stalle, depositi e una cappella, acquisendo, in tal modo, le premesse per
configurarsi come piccolo nucleo urbano. Oggi ci vivono circa sessanta
abitanti. Guardando attentamente si scopre che è stata stazione di posta lungo
la strada che portava da Barletta a Grumo Appula in prossimità del Tratturo
Regio, quella grande via della transumanza dei pastori che scendevano
dall’Abruzzo in Puglia con le loro greggi. Con il finire della transumanza, qui
è possibile vedere come il popolo agricolo abbia trasformato la tenuta in
oliveti, vigneti e mandorleti. D’estate bisogna andarci e magari assistere al
rito della preparazione e confezionamento della salsa di pomodoro fresco.
Un’autentica catena industriale familiare in cui, donne, uomini, giovani,
vecchi, zii e zie, nonni e nonne, ognuno con il suo compito, sceglie i pomodori,
li lava, accende il fuoco, li mette a bollire in grandi pentole, prepara decine
e decine di bottiglie di vetro, passa il pomodoro bollito nelle macchinette che
li trasformano in sanguedisalsa, imbottiglia e avvolge poi le bottiglie in coperte
di lana e le mette a dormire. Quando arriva la sera, dopo cena c’è sempre
qualcuno che con la chitarra o la fisarmonica manda canzoni alle stelle.
Terlizzi
Non molto distante, c’è il Santuario
di Santa Maria di Sovereto, piccola frazione
di Terlizzi, tempio realizzato al fine di custodire la leggendaria icona
della Madonna Nera, scoperta da un pastore in una cavità. Arrivarci significa
entrare nel medievale e affascinante scenario di un borgo, composto da pochi
edifici in pietra, abitati da una decina di anime, e sorto più di mille anni
fa. Un silenzio sacro ci attende, dal momento in cui, dopo aver lasciato l’auto
poco lontano, ci incamminiamo lungo l’unica strada per arrivare all’arco di
pietra che immette sulla piazzetta dov’è la chiesetta, la cui prima
attestazione storica risale a una bolla del 1131, a conferma della
giurisdizione del vescovo di
Giovinazzo su Suberito, antico nome del posto.Al di sopra della soglia d’ingresso vi è
una finestrella quadrilobata e uno stemma, resto di un grifone.
L’ambiente interno, a croce latina, è costituito da un’unica navata e due cappelle
laterali. Ma noi che siamo arrivati sin qui sappiamo di cercare altro. Chi ci
ha accompagnato altre volte, ha sempre stimolato la nostra curiosità e
fantasia: nonostante sia un ambiente tutto sommato comune ad altri edifici
simili, custodisce un segreto. Sul pavimentograndi lastre di pietra sono lapidi risalenti alla fine del XIII secolo. Sono
tutte incise con il profilo di alcuni uomini, attorno al quale si delinea un’iscrizione funebre composta da lettere semigotiche. Vi riposano antichi
cavalieri giovanniti, crociati provenienti dalla Terra Santa, che questo luogo
hanno certamente frequentato, anche per la presenza di vecchie strutture
ospedaliere. Una croce greca, una scacchiera, un quadrato ottonario sono sulla
sinistra dell’altare. Enigmatici.
L’ambiente interno, a croce latina, è costituito da un’unica navata e due cappelle
laterali. Ma noi che siamo arrivati sin qui sappiamo di cercare altro. Chi ci
ha accompagnato altre volte, ha sempre stimolato la nostra curiosità e
fantasia: nonostante sia un ambiente tutto sommato comune ad altri edifici
simili, custodisce un segreto. Sul pavimentograndi lastre di pietra sono lapidi risalenti alla fine del XIII secolo. Sono
tutte incise con il profilo di alcuni uomini, attorno al quale si delinea un’iscrizione funebre composta da lettere semigotiche. Vi riposano antichi
cavalieri giovanniti, crociati provenienti dalla Terra Santa, che questo luogo
hanno certamente frequentato, anche per la presenza di vecchie strutture
ospedaliere. Una croce greca, una scacchiera, un quadrato ottonario sono sulla
sinistra dell’altare. Enigmatici.
Santa Maria di Sovereto
A Le meraviglie del luogo
non finiscono qui. Al centro della navata, notiamo sul pavimento una lastra in
pietra raffigurante un albero con
tre radici e un foro, accanto alla quale si
trova una grata in ferro
battuto. È quella che nasconde
l’angolo più importante di tutto il santuario: la grotta del ritrovamento. All’interno di questo ipogeo venne rinvenuta
secoli fa l’icona della Madonna Nera. La leggenda narra di un pastorello che,
portando il suo gregge al pascolo si accorse della mancanza di una pecora. Dopo
una ricerca tra la fitta vegetazione rinvenne l’animale incastrato con la zampa
in una fossa. Nel tentativo di liberarlo notò però una luce arrivare da un
anfratto e, una volta sceso, scoprì nella cavità sotterranea un dipinto: quello della Madonna Nera col bambino. Chi aveva realizzato quel quadro?
Probabilmente monaci di origine greca vissuti in Puglia tra il X e l’XI secolo. E qui, tutti sono convinti della
presenza a Sovereto anche dei Templari. Infatti una delle lastre di pietra del
pavimento nasconderebbe l’omphalos, dove convergono le forze del cosmo; luogo
sacro, da sempre custodito, appunto, dai Cavalieri del Tempio.
Molfetta
In questa torrida estate, continua la
nostra ricerca di un luogo in cui ritemprare le forze di un corpo messo a dura
prova dal caldo e ci spostiamo allora nell’agro tra Bitonto, Giovinazzo e
Molfetta per raggiungere un altro borgo disperso in una foresta di ulivi:
questa volta un borgo dell’Ottocento, chiamato Sette Torri. La contrada
adagiata su una dolce collina fu fondata da benestanti in fuga dalle
pestilenze. Oggi è autentico rifugio per allontanarsi dalla “civiltà”.Il cuore del borgo è situato in una piazzetta
dove quasi sempre non si vede anima viva e la quiete regna sovrana e dove due
immagini rimangono scolpite nel nostro immaginario: una piccolissima chiesetta
arricchita alla sommità da un campanile a vela e un corridoio laterale
sormontato da un pergolato d’uva sotto il quale è possibile sostare in
meditazione su panchine di pietra.
La Regia Domus
Dalla piazzetta si dirama un’unica strada fiancheggiata da sette
ville (che danno il nome alla contrada) di cui l’ultima bellissima in stile
liberty è chiamata “Regia domus”. Qui un tempo venivano portati persino i
bambini malati di pertosse, in modo da far respirare loro l’aria salubre e ora
èun
posto dove il tempo sembra essersi veramente fermato. Naturalmente
c’è anche il mare.
Bisceglie al tramonto
A Bisceglie, percorrendo il sentiero delle falesie si arriva
alle Grotte di Ripalta, di origine cretacea (circa 135 milioni di anni fa),
alcune delle quali accessibili solo dal mare. La forza erosiva dell’acqua, per
millenni ha scavato, ai piedi della roccia alta, delle cavità che,
collassandosi, col tempo hanno prodotto grandi massi, trasformandoli poi in
bellissimi ciottoli rotondi dalle tonalità
di fondo bianco-avorio, sfumature gialle o rosse ed una granulosità omogenea o
con venature ad andamento rettilineo o serpeggiante. Meravigliosa metamorfosi naturale, al servizio della bellezza e
di noi uomini affannati e prostrati dalle alte temperature, che dopo un bagno
in acque cristalline, troviamo su quelle pietre un riposo sereno, lontanissimo
anni luce dai lidi affollati presenti più in là nel territorio. Vicinissimo è
anche un porticciolo naturale, la Cala Pantano, molto suggestivo, dove
attraccano piccole barche di pescatori. Ebbene anche qui c’è un mistero diventato
poi leggenda popolare. Da tempo, alcuni visitatori hanno riferito di essersi
imbattuti in una creatura mostruosa, di dimensioni gigantesche, ricoperto di
squame e dotato di grandi ali e lo hanno denominato “Il Mostro del Pantano”. Se
ne occupò anche la “Domenica del Corriere”, ma nessuno, fino ad oggi è riuscito
a svelare la natura di questo essere né a confermarne l’esistenza. L’unica cosa
certa che abbiamo è che, a un paio di chilometri, sempre sulla costa verso sud,
c’è un’oasi naturale, Torre Calderina, dove sostano gli uccelli di passo. È uno
di loro?
Castel del Monte
E infine, in questa estate si può
salire, passando sulle Murge, e raggiungere Castel del Monte. Terra e colline, pietre ed
erbe, che salgono o scendono, abbracciano le rocce, si fanno sfiorare da un
vento radente, freddo d’inverno, da steppa, ma che sotto il sole accecante
estivo incombente fa anelare al fresco del Castello e della sua pineta che
dominano dall’alto. Terra che si adatta continuamente allo sguardo, che risuona
di canti di cicale e del frullo delle ali dei falchi nascosti tra le pieghe
delle cortecce di querce antiche e solitarie. Qui i pastori da sempre hanno
insegnato a vivere con poca acqua, poco cibo, tanta umiltà. Da questi luoghi si
può ricevere il dono del silenzio per ascoltarsi e ascoltare e riportare nella
memoria gli incontri possibili: le distese di grano e di papaveri, le masserie,
i pagliai, le grotte, il cinghiale i ramarri e i serpenti che fanno all’amore e
i pastori con i loro cani e il cacio che ti vendono nelle loro case bianche.
Nelle sere d’estate dall’alto del Castello il nostro sguardo lo lasciamo
perdere nello sconfinato panorama di campagne, colline, mare e città. Si trova
giustissimo il nome di Belvedere di Puglia che è stato attribuito a questa
enigmatica corona di pietra. Mi piace pensare ai risvegli estivi di Federico II
(se mai c’è stato in questa dimora) salutato dalle allodole e dall’odore della
nepetella. Solo una domanda mi sale spontanea e mi
turba alla fine di questo viaggio immaginario e, ahimè, mi riporta alla realtà.
Questo castello è stato anche prigione? Luogo di pena e di dolore? Perché una
estate benedetta per noi, dopo tutto quello che abbiamo cercato e visto, può
diventare una estate maledetta. Quella che si vive nelle nostre carceri oggi.
Due detenute, come tanti altri, si sono date la morte nei giorni scorsi, alle
Vallette di Torino. Due tragedie che sono intollerabili in un paese che si
professa civile e democratico e che non ha nel suo Codice Penale la pena di morte
per chi commette anche reati gravi. Susan John si è lasciata morire di fame
dopo diciotto giorni di rifiuto di cibo e acqua e l’altra si è impiccata in
cella. E non si sono potute salvare! I tanti castelli reclusori, che sono i
nostri istituti di pena, sono luoghi, per molti esseri umani, violenti e senza
speranza. La Costituzione invece ci ricorda
che: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Si possono
accettare le parole di chi afferma che per spiegare i suicidi bisogna
accettare l’idea che questi atti sono solo legati a «ragioni imperscrutabili e
che non esiste un mistero più insondabile nella mente umana come quando decide
di adottare soluzioni cosi estreme? E che in questi casi non c’è sorveglianza
che tenga? E che il suicidio delle due donne è paragonabile né più né meno a
quello di due gerarchi nazisti dopo il processo di Norimberga? No, non credo
affatto che una calda estate come quella che abbiamo vissuto possa concludersi
con questo episodio e con queste parole. Credo invece che ci sia molto da
lavorare in autunno e in inverno per cercare di dare un senso a questa nostra
cara e povera società italiana.