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domenica 3 settembre 2023

UNA ESTATE A SUD
di Zaccaria Gallo

Zaccaria Gallo

Ha l’andatura asciutta l’estate. Quando l’aridità dà fuoco, getta luci e ombre, satura di salsedine il mio Sud e ha il rosso profumo delle angurie.
Ѐ l’estate di Rocco Scotellaro, dell’“incessante stridio di cicale ubriache di caldo”. Noi restiamo in città e andiamo a prendere il fresco ai giardini pubblici, con i piccioni che sbandano, gli uomini assopiti sulle panchine e le belle ragazze ben attrezzate per non soffrire il caldo. Il sole al tramonto, accenna, accenna alla dolce nostalgia delle partenze, a tutto ciò che finisce e ricomincia e lascia spazio alla luna che dopo essere apparsa straordinariamente grande e rossa, rimane sospesa in cielo, come un mappamondo sopra un gigantesco ulivo, vecchio patriarca dei nostri campi.
In una piazza della città, a semiluna, sospese in file parallele e regolari, ecco una serie di lampadine accese, di quelle che si vedevano una volta nei circhi e nei Luna Park e che rimandano a certe sequenze cinematografiche felliniane: ci rammentano che in estate si vivono le notti cosmiche della natura e delle erbe: la notte di San Giovanni e quella di mezza estate.
“Di’ pazzo folletto, che avvien stanotte nello stregato bosco?” dice Oberon ne Il sogno di una notte di mezza estate. Amori, streghe, incantesimi, elfi incarnano lo spirito della natura in un grande intreccio fra natura e magia. E adesso quando, come il migliore amico, l’estate sta per andar via, mi piace ricordare che nel territorio in cui ho sempre vissuto proprio in questa stagione si possono andare a riscoprire luoghi in cui è possibile ritrovare il senso di una esistenza attorniata da bellezza e silenzi. Esemplare è il piccolo borgo di Montaltino, che prende nome da una antica masseria, raffigurata nell’ “atlante delle locazioni” del 1686, “location De Salpi”, territorio di Barletta.


Barletta

Attualmente, attorno, sono state annesse, nel tempo, altre costruzioni adibite a residenza, stalle, depositi e una cappella, acquisendo, in tal modo, le premesse per configurarsi come piccolo nucleo urbano. Oggi ci vivono circa sessanta abitanti. Guardando attentamente si scopre che è stata stazione di posta lungo la strada che portava da Barletta a Grumo Appula in prossimità del Tratturo Regio, quella grande via della
transumanza dei pastori che scendevano dall’Abruzzo in Puglia con le loro greggi. Con il finire della transumanza, qui è possibile vedere come il popolo agricolo abbia trasformato la tenuta in oliveti, vigneti e mandorleti. D’estate bisogna andarci e magari assistere al rito della preparazione e confezionamento della salsa di pomodoro fresco. Un’autentica catena industriale familiare in cui, donne, uomini, giovani, vecchi, zii e zie, nonni e nonne, ognuno con il suo compito, sceglie i pomodori, li lava, accende il fuoco, li mette a bollire in grandi pentole, prepara decine e decine di bottiglie di vetro, passa il pomodoro bollito nelle macchinette che li trasformano in sanguedisalsa, imbottiglia e avvolge poi le bottiglie in coperte di lana e le mette a dormire. Quando arriva la sera, dopo cena c’è sempre qualcuno che con la chitarra o la fisarmonica manda canzoni alle stelle.


Terlizzi

Non molto distante, c’è il Santuario di Santa Maria di Sovereto, piccola frazione di Terlizzi, tempio realizzato al fine di custodire la leggendaria icona della Madonna Nera, scoperta da un pastore in una cavità. Arrivarci significa entrare nel medievale e affascinante scenario di un borgo, composto da pochi edifici in pietra, abitati da una decina di anime, e sorto più di mille anni fa. Un silenzio sacro ci attende, dal momento in cui, dopo aver lasciato l’auto poco lontano, ci incamminiamo lungo l’unica strada per arrivare all’arco di pietra che immette sulla piazzetta dov’è la chiesetta, la cui prima attestazione storica risale a una bolla del 1131, a conferma della giurisdizione del vescovo di Giovinazzo su Suberito, antico nome del posto. Al di sopra della soglia d’ingresso vi è una finestrella quadrilobata e uno stemma, resto di un grifone.
L’ambiente interno, a croce latina, è costituito da un’unica navata e due cappelle laterali. Ma noi che siamo arrivati sin qui sappiamo di cercare altro. Chi ci ha accompagnato altre volte, ha sempre stimolato la nostra curiosità e fantasia: nonostante sia un ambiente tutto sommato comune ad altri edifici simili, custodisce un segreto. Sul pavimento grandi lastre di pietra sono lapidi risalenti alla fine del XIII secolo. Sono tutte incise con il profilo di alcuni uomini, attorno al quale si delinea un’iscrizione funebre composta da lettere semigotiche. Vi riposano antichi cavalieri giovanniti, crociati provenienti dalla Terra Santa, che questo luogo hanno certamente frequentato, anche per la presenza di vecchie strutture ospedaliere. Una croce greca, una scacchiera, un quadrato ottonario sono sulla sinistra dell’altare. Enigmatici.
L’ambiente interno, a croce latina, è costituito da un’unica navata e due cappelle laterali. Ma noi che siamo arrivati sin qui sappiamo di cercare altro. Chi ci ha accompagnato altre volte, ha sempre stimolato la nostra curiosità e fantasia: nonostante sia un ambiente tutto sommato comune ad altri edifici simili, custodisce un segreto. Sul pavimento grandi lastre di pietra sono lapidi risalenti alla fine del XIII secolo. Sono tutte incise con il profilo di alcuni uomini, attorno al quale si delinea un’iscrizione funebre composta da lettere semigotiche. Vi riposano antichi cavalieri giovanniti, crociati provenienti dalla Terra Santa, che questo luogo hanno certamente frequentato, anche per la presenza di vecchie strutture ospedaliere. Una croce greca, una scacchiera, un quadrato ottonario sono sulla sinistra dell’altare. Enigmatici.


Santa Maria di Sovereto
A
Le meraviglie del luogo non finiscono qui. Al centro della navata, notiamo sul pavimento una lastra in pietra raffigurante un albero con tre radici e un foro, accanto alla quale si trova una grata in ferro battuto. È quella che nasconde l’angolo più importante di tutto il santuario: la grotta del ritrovamento.
All’interno di questo ipogeo venne rinvenuta secoli fa l’icona della Madonna Nera. La leggenda narra di un pastorello che, portando il suo gregge al pascolo si accorse della mancanza di una pecora. Dopo una ricerca tra la fitta vegetazione rinvenne l’animale incastrato con la zampa in una fossa. Nel tentativo di liberarlo notò però una luce arrivare da un anfratto e, una volta sceso, scoprì nella cavità sotterranea un dipinto: quello della Madonna Nera col bambino. Chi aveva realizzato quel quadro? Probabilmente monaci di origine greca vissuti in Puglia tra il X e l’XI secolo. E qui, tutti sono convinti della presenza a Sovereto anche dei Templari. Infatti una delle lastre di pietra del pavimento nasconderebbe l’omphalos, dove convergono le forze del cosmo; luogo sacro, da sempre custodito, appunto, dai Cavalieri del Tempio.


Molfetta

In questa torrida estate, continua la nostra ricerca di un luogo in cui ritemprare le forze di un corpo messo a dura prova dal caldo e ci spostiamo allora nell’agro tra Bitonto, Giovinazzo e Molfetta per raggiungere un altro borgo disperso in una foresta di ulivi: questa volta un borgo dell’Ottocento, chiamato Sette Torri. La contrada adagiata su una dolce collina fu fondata da benestanti in fuga dalle pestilenze. Oggi è autentico rifugio per allontanarsi dalla “civiltà”. Il cuore del borgo è situato in una piazzetta dove quasi sempre non si vede anima viva e la quiete regna sovrana e dove due immagini rimangono scolpite nel nostro immaginario: una piccolissima chiesetta arricchita alla sommità da un campanile a vela e un corridoio laterale sormontato da un pergolato d’uva sotto il quale è possibile sostare in meditazione su panchine di pietra


La Regia Domus

Dalla piazzetta si dirama un’unica strada fiancheggiata da sette ville (che danno il nome alla contrada) di cui l’ultima bellissima in stile liberty è chiamata “Regia domus”. Qui un tempo venivano portati persino i bambini malati di pertosse, in modo da far respirare loro l’aria salubre e ora è un posto dove il tempo sembra essersi veramente fermato. Naturalmente c’è anche il mare. 


Bisceglie al tramonto

A Bisceglie, percorrendo il sentiero delle falesie si arriva alle Grotte di Ripalta, di origine cretacea (circa 135 milioni di anni fa), alcune delle quali accessibili solo dal mare. La forza erosiva dell’acqua, per millenni ha scavato, ai piedi della roccia alta, delle cavità che, collassandosi, col tempo hanno prodotto grandi massi, trasformandoli poi in bellissimi ciottoli rotondi dalle
tonalità di fondo bianco-avorio, sfumature gialle o rosse ed una granulosità omogenea o con venature ad andamento rettilineo o serpeggiante. Meravigliosa metamorfosi naturale, al servizio della bellezza e di noi uomini affannati e prostrati dalle alte temperature, che dopo un bagno in acque cristalline, troviamo su quelle pietre un riposo sereno, lontanissimo anni luce dai lidi affollati presenti più in là nel territorio. Vicinissimo è anche un porticciolo naturale, la Cala Pantano, molto suggestivo, dove attraccano piccole barche di pescatori. Ebbene anche qui c’è un mistero diventato poi leggenda popolare. Da tempo, alcuni visitatori hanno riferito di essersi imbattuti in una creatura mostruosa, di dimensioni gigantesche, ricoperto di squame e dotato di grandi ali e lo hanno denominato “Il Mostro del Pantano”. Se ne occupò anche la “Domenica del Corriere”, ma nessuno, fino ad oggi è riuscito a svelare la natura di questo essere né a confermarne l’esistenza. L’unica cosa certa che abbiamo è che, a un paio di chilometri, sempre sulla costa verso sud, c’è un’oasi naturale, Torre Calderina, dove sostano gli uccelli di passo. È uno di loro?


Castel del Monte

E infine, in questa estate si può salire, passando sulle Murge, e raggiungere Castel del Monte. Terra e colline, pietre ed erbe, che salgono o scendono, abbracciano le rocce, si fanno sfiorare da un vento radente, freddo d’inverno, da steppa, ma che sotto il sole accecante estivo incombente fa anelare al fresco del Castello e della sua pineta che dominano dall’alto. Terra che si adatta continuamente allo sguardo, che risuona di canti di cicale e del frullo delle ali dei falchi nascosti tra le pieghe delle cortecce di querce antiche e solitarie. Qui i pastori da sempre hanno insegnato a vivere con poca acqua, poco cibo, tanta umiltà. Da questi luoghi si può ricevere il dono del silenzio per ascoltarsi e ascoltare e riportare nella memoria gli incontri possibili: le distese di grano e di papaveri, le masserie, i pagliai, le grotte, il cinghiale i ramarri e i serpenti che fanno all’amore e i pastori con i loro cani e il cacio che ti vendono nelle loro case bianche. Nelle sere d’estate dall’alto del Castello il nostro sguardo lo lasciamo perdere nello sconfinato panorama di campagne, colline, mare e città. Si trova giustissimo il nome di Belvedere di Puglia che è stato attribuito a questa enigmatica corona di pietra. Mi piace pensare ai risvegli estivi di Federico II (se mai c’è stato in questa dimora) salutato dalle allodole e dall’odore della nepetella. Solo una domanda mi sale spontanea e mi turba alla fine di questo viaggio immaginario e, ahimè, mi riporta alla realtà. Questo castello è stato anche prigione? Luogo di pena e di dolore? Perché una estate benedetta per noi, dopo tutto quello che abbiamo cercato e visto, può diventare una estate maledetta. Quella che si vive nelle nostre carceri oggi. Due detenute, come tanti altri, si sono date la morte nei giorni scorsi, alle Vallette di Torino. Due tragedie che sono intollerabili in un paese che si professa civile e democratico e che non ha nel suo Codice Penale la pena di morte per chi commette anche reati gravi. Susan John si è lasciata morire di fame dopo diciotto giorni di rifiuto di cibo e acqua e l’altra si è impiccata in cella. E non si sono potute salvare! I tanti castelli reclusori, che sono i nostri istituti di pena, sono luoghi, per molti esseri umani, violenti e senza speranza. La Costituzione invece ci ricorda che: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Si possono accettare le parole di chi afferma che per spiegare i suicidi bisogna accettare l’idea che questi atti sono solo legati a «ragioni imperscrutabili e che non esiste un mistero più insondabile nella mente umana come quando decide di adottare soluzioni cosi estreme? E che in questi casi non c’è sorveglianza che tenga? E che il suicidio delle due donne è paragonabile né più né meno a quello di due gerarchi nazisti dopo il processo di Norimberga? No, non credo affatto che una calda estate come quella che abbiamo vissuto possa concludersi con questo episodio e con queste parole. Credo invece che ci sia molto da lavorare in autunno e in inverno per cercare di dare un senso a questa nostra cara e povera società italiana.