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domenica 22 ottobre 2023

DALLA PARTE DEI POPOLI   
di Girolamo Dell’Olio



Palestina e Israele. Un’altra tappa.
 
Firenze. Lo racconto oggi, perché troppo dolore ieri, di fronte a quell’ospedale-rifugio massacrato. Che quanto è importante capire chi è stato? E se è successo ‘per errore’? Non è forse già un crimine che se ne siano create le condizioni? Torno a ieri. Il primo e l’ultimo episodio, due persone particolarmente belle: una sorta di cornice di significati. Da questa donna, uno sguardo di apprezzamento. Le porgo il volantino.
‘L’ho preso l’altro giorno!’
Ah! fa piacere reincontrare già qualcuno!
Lei è Sima.
‘Middle East?’, azzardo, considerando la sfumatura della carnagione.
‘Iran!’
‘Whai is it like, now, in Iran?
Mi viene istintivo, ricorrere all’inglese. Come una forma di protezione: non dev’esser facile vivere la condizione di donna iraniana.
E infatti: ‘Don’t ask me!’
Ma Sima è determinata, almeno quanto consapevole.
Apprezza il messaggio che porto. Condivide che ‘one is worse than the other’. Accident’a i ’mmeglio! come si dice da noi.
Da sette anni è in Italia, e il fatto di aver partecipato alle proteste contro gli ayatollah le preclude la possibilità di tornare. Parla del fuoco che arde in quel quadrante del mondo. Utilizza più di una volta la parola ‘fire’. Ma lo fa con un tono mite, maturo. E poi, questo immenso regalo: ‘Ti stimo davvero, sai? L’altro giorno ho parlato di te a mio marito, e gli dicevo: lui prova a fare qualcosa per la pace, a lasciare un qualche segno, a, come posso dire…?’
‘Sì, credo che ognuno, anche individualmente, può dare un contributo, anche minimo’
‘Giusto’, fa lei. ‘Ognuno deve fare qualcosa! Dobbiamo cominciare a pensare che possiamo, che davvero possiamo, cambiare le sorti del mondo! E credo che tu lo stia facendo!’
‘Mentre venivo qui, Sima, sai cosa pensavo? Poco fa ho sentito alla radio che il governo di Israele forse si sta ricredendo, su quell’attacco di terra a Gaza. E mi son detto: lì dentro, magari, c’è anche la mia briciolina di azione…!’
Alla fine le preannuncio che stasera scriverò di lei, perché conoscerla è stato un privilegio. E lei mi autorizza, determinata, a scrivere anche il suo vero nome. Perché è una donna mite e forte. Ma non l’ho fatto, e se mi legge mi perdonerà: i tempi che viviamo sono oscuri, vige la menzogna, non sappiamo quanto può essere sopportata la verità. E allora le persone vere conviene tutelarle!



Il prossimo, un bel ragazzo, arriva in monopattino e mi si pianta deciso davanti. È italianissimo. Fiorentino. Anzi no. Ma lo scopro solo alla fine.
‘È un tentativo di far riflettere, se ce la facciamo, su questi pazzi.’
‘Quali sono i pazzi?’
‘Di qua e di là. L’importante è non cascare nella trappa del tifo’
‘Per Israele’
‘Esatto, prima di tutto per il governo di Israele. Però anche la reazione non è così che si dovrebbe fare, mi pare: alla fine è un autogol, no?’
‘Sì, è vero, però bisogna mettersi nei panni di chi vive quella realtà’
Infatti. Agendo così da tel Aviv stanno allevando un’altra generazionealtro che jihadisti verranno fuori da questi massacri! Ho guardato oggi i bambini in televisione fra le macerie fumanti di Gaza bombardata. Fa impressione vedere che quei bambini non si impressionano affatto. Si muovono fra quelle rovine come in un paesaggio normale. Come potranno crescere?
‘Ci son nati!’
‘E da quell’altra parte immaginano di risolvere ammazzando duecento o trecento ‘terroristi’’
‘Vedi, ci sono delle situazioni in cui né io né te sappiamo cosa c’è dietro alle quinte. Spesso si mettono d’accordo, dietro alle quinte, e fanno teatrino. Delle domande me le faccio, sai? e dico: una potenza militare come quella israeliana, supertecnologica, poteva non essersi accorta che…?’
‘Già, il famoso Mossad…’
‘E i media ti infilano quello che vogliono. Ma poi c’è chi usa il cervello e dice: forse non devo abboccare.’
‘Infatti.’
‘È come quando si va in tribunale. Si devono ascoltare tutte e due le parti!’
‘E a volte conviene andare anche dietro alle parti, e al giochino delle parti… alla fine, hai visto? chi ha avuto subito le azioni schizzate in su, in Borsa? Galileo! Armi, armi, armi!’
‘Esatto.’
Saluta: ‘È stato un piacere!’
‘Anche per me, davvero! Come ti chiami?’
‘Issam.’
‘Di dove sei?’
‘Marocco.’
‘Non scriverò il tuo vero nome per riservatezza, ma dirò che ho incontrato un ottimo marocchino!’
‘Grazie!’


Il prossimo, ha capito tutto. Tranne la soluzione, forse.
Parla italiano con accento americano. Si definisce ‘cittadino del mondo’.
Lui è per la soluzione finale. generalizzata.
‘Io, sono andato dappertutto, nel mondo. E lo so bene: c’è da ammazzare il 99 per cento dei politici!’


Siamo daccapo
‘Prego, ìnglisc?’
‘Ebreo!’
‘Italiano’
‘Sì. E no alle guerre!’
‘Nessuna!’
‘Né di qua né di là.’
‘Nessuna!’
 
Due transiti 
Un taxi si muove con la cautela che occorre in mezzo a un picco di folla.
Al finestrino, gli occhietti vispi di due bambini che mi interrogano. ‘Eccolo a voi, il volantino’. Fieri, lo afferrano con gusto: si sentono giustamente importanti.
 
Elegante, disinvolta, mi scorre accanto un’assessora candidata sindaca. La stessa che qualche giorno fa mi ha visto manifestare sotto la Prefettura che segnalavo quel dettaglio, minore, di un progettuccio miliardario partito senza piano di emergenza: i due supertunnel TAV sotto Firenze. Come allora, non mi degna di una domanda, di una verifica. Come si conviene alla categoria, appunto: i politici. Dieci metri sopra il vile popolo. Del resto, sembra non si sia fatta mancare, l’altro giorno, la nobile occasione della serata pro- governo Netanyahu celebrata in piazza Duomo sabato scorso presenti massime autorità locali. Che più di una testata generosa ha titolato “Centinaia in piazza per Israele”, anche se erano poco più numerosi delle forze dell’ordine in divisa e in borghese.
 
*
‘Mio figlio è là quindi…’
‘Dove, in Israele o in Palestina?’
‘In Cisgiordania, a Betlemme. Per uno stage di lavoro-studio. E adesso non è potuto rientrare’.
Bisogna stare attenti. Del resto, mi dicono, lì son bloccati comunque, come movimenti. Devono chiedere il permesso per tutto’
‘Sì, ogni passo. Lui è laureato in relazioni internazionali, e sta facendo un master in ‘sicurezza nei luoghi postbellici’, solo che ora sono diventati bellici! Per adesso, là tutto apparentemente tranquillo. Anche se sono spariti i turisti. Però bisogna capire la situazione come si evolve!’
‘Hmmm… Questi sono i nostri indirizzi. Semmai gli dica di scriverci, perché ci interessa capire meglio’
‘… com’è la situazione’
‘Preciso! E stasera qui farò un resoconto di quello che mi è capitato il pomeriggio. E lui potrà leggere che ho incontrato la mamma, se vuole!’
 
‘Posso?’
‘Certo: ecco! Italiano or ìnglisc?’
‘Ithalaino!’
‘Fiorentino, eh? Anch’io.’
‘No, stavo leggendo, a me l’unica cosa che mi dà fastidio è vedere le bandiere della pace! C’è un’ipocrisia allucinante! Le dico la verità: io non porto né una bandiera né l’altra.’
‘Infatti. Non bisogna cascarci in quella trappola.’
‘Son perfettamente d’accordo. Grazie mille, e buon proseguimento.’
 
*
All’incrocio con via Tornabuoni è Matteo a mostrare consenso.
‘Chi è Idra?’
‘Un’associazione ecologista. TAV, rigassificatori… E te, cosa fai?’
‘Lavoro e studio.’
‘Dove?’
‘Qui a Firenze: a Scienze politiche.’
‘Ah, bene: c’è bisogno di ragazzi svegli! I peggio sono, posso dirtelo? Gli americani, gli asiatici e i giovani. Generalizzo, certo, e un po’ scherzo e esagero. Ma credimi: li osservo da un pezzo. I turisti americani non passeggiano: corrono, marciano, arrancano. Devono ‘fare’ Firenze. Gli asiatici, non uno che ti ferma, ti chiede, ti interpella. Al massimo, per sapere dov’è la Galleria dell’Accademia. E i tuoi coetanei? Non gliene può fregà de meno. Vivono nella loro bolla.’
‘Eh, sì, ma perché, è anche un po’ il ‘loro’ gioco, eh!, quello di…  fra droga, telefoni e tutto, ‘un ci vol nulla a fotterti… ci hai distrazioni da tutte le parti.’
 

Ed eccomi all’ultimo episodio
Sima era una donna iraniana. Andrew, è un ragazzo israeliano. Fisicamente, mi ricorda quel giovane studente ebreo in quella casa di Berkeley, Fulton Street, di cui sono stato ospite per alcune settimane la prima volta che ho visitato gli States, primi anni Settanta. In quella casa, una bella insalata russa di giovani e adulti, e avventizi come me, perché ancora piaceva vivere insieme e mescolare sogni e esperienze. Quegli americani… ah, se li adoravo! Di lui ricordo l’approccio visionario, la vivacità intellettuale, la complessità da filosofo errante. Mi torna in mente quell’altro amico ebreo, cecoslovacco, fiorentino d’adozione, meraviglioso artista burattinaio: mi faceva schiantare quando raccontava che, diversamente dagli altri popoli della terra, se metti insieme a discutere due ebrei riesci a ottenere tranquillamente tre punti di vista diversi! E davvero questo popolo ha prodotto in così tanti luoghi dell’arte e dello spirito genialità altissime.
Andrew fa servizio civile nelle ambulanze in Cisgiordania. Ha l’approccio del giornalista d’inchiesta. Mi sottopone a un fuoco di fila di domande, di appunti, di eccezioni. Lo fa con la passione di chi ci sente. Mi fa un quarto grado anche di storia, e scopro che tante nozioni le ho ancora incerte, per dindirindina! Difende fermamente la necessita di sradicare Hamas, e che questa è la priorità delle priorità. Sottinteso, ma non lo ammette, costi quel che costi. Chiaramente, la vediamo in modo diverso. Ma io gli ribadisco: ‘Amico caro, lo vedi che queste sono domande? Non sono certezze. Sono domande. Se pensi davvero che far fuori delle persone fisiche basti a far fuori una sofferenza sociale, una mortificazione economica, un oltraggio giuridico, che posso dirti, se non che… conviene forse rifletterci?’
Non c’è verso, mi menziona tutta una serie di casi di cui ha esperienza diretta che smentiscono le condizioni che provo a rammentargli, sulla base delle cose che ho appreso. E lo dice da ragazzo che opera nel volontariato. Come me.
Però, alla fine, come ieri, rispunta la domanda che tradisce un’inquietudine:  ‘Ma te, cosa faresti al posto di Israele?’
Mi fa fare forse un piccolo passo avanti rispetto a quello che avevo proposto l’altro ieri alla ragazza newyorkese. Mi viene naturale. ‘Vedi, gli dico, prima di tutto fermare la macchina delle armi. Non è qualcosa che ci assomiglia, che ci appartiene, che ci eleva. Io credo che noi dovremmo riunire le forze, le idee e le conoscenze di quelli che, come te e come me, operano dal basso, nella società, immuni da schieramenti e senza bandierine. Noi dovremmo fare forse una grande conferenza internazionale, magari permanente, delle associazioni di buona volontà. E da lì far scaturire le soluzioni per i popoli. Diciamo dai popoli ai popoli. Saltando questi governi poco edificanti!’
 

Oggi, ripensandoci, un mio caro amico, del quale ho la massima stima per la bontà d’animo e l’acume intellettuale, ho cercato di coinvolgerlo, e chi lo sa se ce la farò, visto che frequenta ambienti associativi importanti, non quei livelli che Idra non potrà mai a raggiungere. Gliel’ho buttata lì: che si dia da fare perché nasca a Firenze, nella città del fiore, un’iniziativa associativa di base internazionale no-partisan. Noi, nel nostro piccolissimo, ci siamo. Forse una cosa del genre potrebbe aiutare sia la società israeliana sia quella palestinese a scrollarsi di dosso certi cliché che ormai sono dati per assodati, certi riflessi che sono diventati patologicamente ‘normali’. Mi torna in mente quello che mi raccontava l’altro giorno un caro amico, cultore di Diritto, e mentre me lo raccontava pensavo che sarebbe stato utile svilupparlo. E allora gli ho chiesto di scrivermelo. E lui, che con me ha tanta pazienza, l’ha fatto. Riguarda in questo caso il lato-Israele della faccenda, e può dare una chiave di lettura di questi ultimi terribili eventi, a partire dal 7 ottobre. È un’analisi un po’ spietata, ma meritevole di riflessione, mi pare.
La propongo a chi legge
A suo avviso la situazione in cui si svolgono questi fatti “implica che, legalmente ed empiricamente, al vertice della scala di valori dello stato di Israele non ci siano i diritti umani bensì la sicurezza, Ciò legittima l’uso della forza e la deroga ai diritti umani; e la sua pratica di governo è coerente. In ordine a ciò è Israele stesso che riconosce il diritto della forza rispetto alla forza del diritto. Legittimando pertanto anche i palestinesi (e chiunque altro) all'esercizio della forza. che è chiamata terrorismo assai impropriamente, giacché si giudica un'azione con un sistema di riferimento (la democrazia) che non vale più proprio per la summenzionata gerarchia di valori che pone al vertice, sopra i diritti umani, la sicurezza e l’uso della forza per raggiungerla. Dunque anche le azioni 'terroristiche' sono incommensurabilmente giudicabili col sistema di valori 'democrazia': se non c'è questo, anche il terrorismo non è più tale”.
Sì, lo so, sono conclusioni forti. Ma vogliamo affrontare quel nucleo di verità che, magari, c’è dentro?
 
Un altro amico, niente meno che da Piombino, mi ha girato questo video. Anche questo propongo, al posto della solita foto.
https://www.facebook.com/riccardo.banchi/videos/306517448784391