Palestina
e Israele. Un’altra tappa. Firenze. Lo racconto oggi, perché
troppo dolore ieri, di fronte a quell’ospedale-rifugio massacrato. Che quanto è
importante capire chi è stato? E se è successo ‘per errore’? Non è forse già un
crimine che se ne siano create le condizioni? Torno a ieri. Il primo e l’ultimo
episodio, due persone particolarmente belle: una sorta di cornice di
significati. Da questa donna, uno sguardo di apprezzamento. Le porgo il
volantino. ‘L’ho
preso l’altro giorno!’ Ah!
fa piacere reincontrare già qualcuno! Lei
è Sima. ‘Middle
East?’, azzardo, considerando la sfumatura della carnagione. ‘Iran!’ ‘Whai is it like, now, in Iran? Mi
viene istintivo, ricorrere all’inglese. Come una forma di protezione: non
dev’esser facile vivere la condizione di donna iraniana. E
infatti: ‘Don’t ask me!’ Ma
Sima è determinata, almeno quanto consapevole. Apprezza
il messaggio che porto. Condivide che ‘one is
worse than the other’. Accident’a
i ’mmeglio! come si dice da noi. Da
sette anni è in Italia, e il fatto di aver partecipato alle proteste contro gli
ayatollah le preclude la possibilità di tornare. Parla del fuoco che arde in
quel quadrante del mondo. Utilizza più di una volta la parola ‘fire’. Ma lo fa
con un tono mite, maturo. E poi, questo immenso regalo: ‘Ti stimo davvero, sai?
L’altro giorno ho parlato di te a mio marito, e gli dicevo: lui prova a fare qualcosa
per la pace, a lasciare un qualche segno, a, come posso dire…?’ ‘Sì,
credo che ognuno, anche individualmente, può dare un contributo, anche minimo’ ‘Giusto’,
fa lei. ‘Ognuno deve fare qualcosa! Dobbiamo cominciare a pensare che possiamo,
che davvero possiamo, cambiare le sorti del mondo! E credo che tu lo stia
facendo!’ ‘Mentre
venivo qui, Sima, sai cosa pensavo? Poco fa ho sentito alla radio che il
governo di Israele forse si sta ricredendo, su quell’attacco di terra a Gaza. E
mi son detto: lì dentro, magari, c’è anche la mia briciolina di azione…!’ Alla
fine le preannuncio che stasera scriverò di lei, perché conoscerla è stato un
privilegio. E lei mi autorizza, determinata, a scrivere anche il suo vero nome.
Perché è una donna mite e forte. Ma non l’ho fatto, e se mi legge mi perdonerà:
i tempi che viviamo sono oscuri, vige la menzogna, non sappiamo quanto può
essere sopportata la verità. E allora le persone vere conviene tutelarle!
Il
prossimo, un bel ragazzo, arriva in monopattino e mi si pianta deciso davanti. È
italianissimo. Fiorentino. Anzi no. Ma lo scopro solo alla fine. ‘È
un tentativo di far riflettere, se ce la facciamo, su questi pazzi.’ ‘Quali
sono i pazzi?’ ‘Di
qua e di là. L’importante è non cascare nella trappa del tifo’ ‘Per
Israele’ ‘Esatto,
prima di tutto per il governo di Israele. Però anche la reazione non è così che
si dovrebbe fare, mi pare: alla fine è un autogol, no?’ ‘Sì,
è vero, però bisogna mettersi nei panni di chi vive quella realtà’ ‘Infatti. Agendo così da tel Aviv
stanno allevando un’altra generazione… altro che jihadisti verranno fuori da questi massacri! Ho guardato oggi ibambini in televisione fra le macerie fumanti di Gaza bombardata. Fa impressione vedere che quei
bambini non si impressionano affatto. Si muovono fra quelle rovine come in un paesaggio normale. Come potranno crescere?’ ‘Ci
son nati!’ ‘E
da quell’altra parte immaginano di risolvere ammazzando duecento o trecento
‘terroristi’’ ‘Vedi,
ci sono delle situazioni in cui né io né te sappiamo cosa c’è dietro alle
quinte. Spesso si mettono d’accordo, dietro alle quinte, e fanno teatrino.
Delle domande me le faccio, sai? e dico: una potenza militare come quella
israeliana, supertecnologica, poteva non essersi accorta che…?’ ‘Già,
il famoso Mossad…’ ‘E
i media ti infilano quello che vogliono. Ma poi c’è chi usa il cervello e dice:
forse non devo abboccare.’ ‘Infatti.’ ‘È
come quando si va in tribunale. Si devono ascoltare tutte e due le parti!’ ‘E
a volte conviene andare anche dietro alle parti, e al giochino delle parti…
alla fine, hai visto? chi ha avuto subito le azioni schizzate in su, in Borsa?
Galileo! Armi, armi, armi!’ ‘Esatto.’ Saluta:
‘È stato un piacere!’ ‘Anche
per me, davvero! Come ti chiami?’ ‘Issam.’ ‘Di
dove sei?’ ‘Marocco.’ ‘Non
scriverò il tuo vero nome per riservatezza, ma dirò che ho incontrato un ottimo
marocchino!’ ‘Grazie!’
Il
prossimo, ha capito tutto. Tranne la soluzione, forse. Parla
italiano con accento americano. Si definisce ‘cittadino del mondo’. Lui
è per la soluzione finale. generalizzata. ‘Io,
sono andato dappertutto, nel mondo. E lo so bene: c’è da ammazzare il 99 per
cento dei politici!’
Siamo
daccapo ‘Prego,
ìnglisc?’ ‘Ebreo!’ ‘Italiano’ ‘Sì.
E no alle guerre!’ ‘Nessuna!’ ‘Né
di qua né di là.’ ‘Nessuna!’ Due
transiti Un
taxi si muove con la cautela che occorre in mezzo a un picco di folla. Al
finestrino, gli occhietti vispi di due bambini che mi interrogano. ‘Eccolo a
voi, il volantino’. Fieri, lo afferrano con gusto: si sentono giustamente
importanti. Elegante,
disinvolta, mi scorre accanto un’assessora candidata sindaca. La stessa che
qualche giorno fa mi ha visto manifestare sotto la Prefettura che segnalavo
quel dettaglio, minore, di un progettuccio miliardario partito senza piano di
emergenza: i due supertunnel TAV sotto Firenze. Come allora, non mi degna di
una domanda, di una verifica. Come si conviene alla categoria, appunto: i
politici. Dieci metri sopra il vile popolo. Del resto, sembra non si sia fatta
mancare, l’altro giorno, la nobile occasione della serata pro- governo Netanyahu
celebrata in piazza Duomo sabato scorso presenti massime autorità locali. Che
più di una testata generosa ha titolato “Centinaia in piazza per Israele”,
anche se erano poco più numerosi delle forze dell’ordine in divisa e in
borghese. * ‘Mio
figlio è là quindi…’ ‘Dove,
in Israele o in Palestina?’ ‘In
Cisgiordania, a Betlemme. Per uno stage di lavoro-studio. E adesso non è potuto
rientrare’. Bisogna
stare attenti. Del resto, mi dicono, lì son bloccati comunque, come movimenti.
Devono chiedere il permesso per tutto’ ‘Sì,
ogni passo. Lui è laureato in relazioni internazionali, e sta facendo un master
in ‘sicurezza nei luoghi postbellici’, solo che ora sono diventati bellici! Per
adesso, là tutto apparentemente tranquillo. Anche se sono spariti i turisti.
Però bisogna capire la situazione come si evolve!’ ‘Hmmm…
Questi sono i nostri indirizzi. Semmai gli dica di scriverci, perché ci
interessa capire meglio’ ‘…
com’è la situazione’ ‘Preciso!
E stasera qui farò un resoconto di quello che mi è capitato il pomeriggio. E
lui potrà leggere che ho incontrato la mamma, se vuole!’
‘Posso?’ ‘Certo:
ecco! Italiano or ìnglisc?’ ‘Ithalaino!’ ‘Fiorentino,
eh? Anch’io.’ ‘No,
stavo leggendo, a me l’unica cosa che mi dà fastidio è vedere le bandiere della
pace! C’è un’ipocrisia allucinante! Le dico la verità: io non porto né una
bandiera né l’altra.’ ‘Infatti.
Non bisogna cascarci in quella trappola.’ ‘Son
perfettamente d’accordo. Grazie mille, e buon proseguimento.’ * All’incrocio
con via Tornabuoni è Matteo a mostrare consenso. ‘Chi
è Idra?’ ‘Un’associazione
ecologista. TAV, rigassificatori… E te, cosa fai?’ ‘Lavoro
e studio.’ ‘Dove?’ ‘Qui
a Firenze: a Scienze politiche.’ ‘Ah,
bene: c’è bisogno di ragazzi svegli! I peggio sono, posso dirtelo? Gli americani,
gli asiatici e i giovani. Generalizzo, certo, e un po’ scherzo e esagero. Ma
credimi: li osservo da un pezzo. I turisti americani non passeggiano: corrono,
marciano, arrancano. Devono ‘fare’ Firenze. Gli asiatici, non uno che ti ferma,
ti chiede, ti interpella. Al massimo, per sapere dov’è la Galleria dell’Accademia.
E i tuoi coetanei? Non gliene può fregà de meno. Vivono nella loro bolla.’ ‘Eh,
sì, ma perché, è anche un po’ il ‘loro’ gioco, eh!, quello di…fra droga, telefoni e tutto, ‘un ci vol nulla
a fotterti… ci hai distrazioni da tutte le parti.’
Ed
eccomi all’ultimo episodio Sima
era una donna iraniana. Andrew, è un ragazzo israeliano. Fisicamente, mi
ricorda quel giovane studente ebreo in quella casa di Berkeley, Fulton Street, di
cui sono stato ospite per alcune settimane la prima volta che ho visitato gli
States, primi anni Settanta. In quella casa, una bella insalata russa di
giovani e adulti, e avventizi come me, perché ancora piaceva vivere insieme e
mescolare sogni e esperienze. Quegli americani… ah, se li adoravo! Di lui
ricordo l’approccio visionario, la vivacità intellettuale, la complessità da
filosofo errante. Mi torna in mente quell’altro amico ebreo, cecoslovacco,
fiorentino d’adozione, meraviglioso artista burattinaio: mi faceva schiantare
quando raccontava che, diversamente dagli altri popoli della terra, se metti
insieme a discutere due ebrei riesci a ottenere tranquillamente tre punti di
vista diversi! E davvero questo popolo ha prodotto in così tanti luoghi
dell’arte e dello spirito genialità altissime. Andrew
fa servizio civile nelle ambulanze in Cisgiordania. Ha l’approccio del giornalista
d’inchiesta. Mi sottopone a un fuoco di fila di domande, di appunti, di
eccezioni. Lo fa con la passione di chi ci sente. Mi fa un quarto grado anche
di storia, e scopro che tante nozioni le ho ancora incerte, per dindirindina!
Difende fermamente la necessita di sradicare Hamas, e che questa è la priorità
delle priorità. Sottinteso, ma non lo ammette, costi quel che costi. Chiaramente,
la vediamo in modo diverso. Ma io gli ribadisco: ‘Amico caro, lo vedi che
queste sono domande? Non sono certezze. Sono domande. Se pensi davvero che far
fuori delle persone fisiche basti a far fuori una sofferenza sociale, una
mortificazione economica, un oltraggio giuridico, che posso dirti, se non che…
conviene forse rifletterci?’ Non
c’è verso, mi menziona tutta una serie di casi di cui ha esperienza diretta che
smentiscono le condizioni che provo a rammentargli, sulla base delle cose che
ho appreso. E lo dice da ragazzo che opera nel volontariato. Come me. Però,
alla fine, come ieri, rispunta la domanda che tradisce un’inquietudine:‘Ma te, cosa faresti al posto di Israele?’ Mi
fa fare forse un piccolo passo avanti rispetto a quello che avevo proposto
l’altro ieri alla ragazza newyorkese. Mi viene naturale. ‘Vedi, gli dico, prima
di tutto fermare la macchina delle armi. Non è qualcosa che ci assomiglia, che
ci appartiene, che ci eleva. Io credo che noi dovremmo riunire le forze, le
idee e le conoscenze di quelli che, come te e come me, operano dal basso, nella
società, immuni da schieramenti e senza bandierine. Noi dovremmo fare forse una
grande conferenza internazionale, magari permanente, delle associazioni di
buona volontà. E da lì far scaturire le soluzioni per i popoli. Diciamo dai
popoli ai popoli. Saltando questi governi poco edificanti!’
Oggi,
ripensandoci, un mio caro amico, del quale ho la massima stima per la bontà
d’animo e l’acume intellettuale, ho cercato di coinvolgerlo, e chi lo sa se ce
la farò, visto che frequenta ambienti associativi importanti, non quei livelli
che Idra non potrà mai a raggiungere. Gliel’ho buttata lì: che si dia da fare
perché nasca a Firenze, nella città del fiore, un’iniziativa associativa di
base internazionale no-partisan. Noi, nel nostro piccolissimo, ci siamo. Forse
una cosa del genre potrebbe aiutare sia la società israeliana sia quella
palestinese a scrollarsi di dosso certi cliché che ormai sono dati per
assodati, certi riflessi che sono diventati patologicamente ‘normali’. Mi torna
in mente quello che mi raccontava l’altro giorno un caro amico, cultore di
Diritto, e mentre me lo raccontava pensavo che sarebbe stato utile svilupparlo.
E allora gli ho chiesto di scrivermelo. E lui, che con me ha tanta pazienza,
l’ha fatto. Riguarda in questo caso il lato-Israele della faccenda, e può dare
una chiave di lettura di questi ultimi terribili eventi, a partire dal 7
ottobre. È un’analisi un po’ spietata, ma meritevole di riflessione, mi pare. La
propongo a chi legge A
suo avviso la situazione in cui si svolgono questi
fatti “implica che, legalmente ed empiricamente, al vertice della scala di
valori dello stato di Israele non ci siano i diritti umani bensì la sicurezza,
Ciò legittima l’uso della forza e la deroga ai diritti umani; e la sua pratica
di governo è coerente. In ordine a ciò è Israele stesso che riconosce il
diritto della forza rispetto alla forza del diritto. Legittimando pertanto
anche i palestinesi (e chiunque altro) all'esercizio della forza. che è
chiamata terrorismo assai impropriamente, giacché si giudica un'azione con un
sistema di riferimento (la democrazia) che non vale più proprio per la
summenzionata gerarchia di valori che pone al vertice, sopra i diritti umani,
la sicurezza e l’uso della forza per raggiungerla. Dunque anche le azioni
'terroristiche' sono incommensurabilmente giudicabili col sistema di valori
'democrazia': se non c'è questo, anche il terrorismo non è più tale”. Sì,
lo so, sono conclusioni forti. Ma vogliamo affrontare quel nucleo di verità
che, magari, c’è dentro? Un
altro amico, niente meno che da Piombino, mi ha girato questo video. Anche
questo propongo, al posto della solita foto. https://www.facebook.com/riccardo.banchi/videos/306517448784391