Pagine

martedì 17 ottobre 2023

I CIVILI SUBISCONO
di Stefano Bonanni
 

Civili palestinesi

Mentre Israele continua i bombardamenti su Gaza preparando l’invasione via terra, non prima di aver fiancheggiato la popolazione locale, resa allo stremo senza più scorte di acqua e viveri, il dibattito politico italiano si impregna sempre più di retorica. Un dibattito che invece di esporre concetti procede su preconcetti, perpetrando logiche da tifoseria calcistica, volte a creare schieramenti. La contrapposizione serve a difendere la nostra incapacità di comprendere la natura del conflitto. Se oggi si arriva a giustificare il bombardamento di donne e bambini a Gaza mettendo avanti il diritto di Israele di difendersi rispetto a quello dei civili palestinesi di vivere, si finisce inevitabilmente per mettere carnefici e vittime sullo stesso piano. Allo stesso modo cambiando il punto da dove si osserva non si può non comprendere le motivazioni che hanno spinto una popolazione vittima per decenni di crimini internazionali nel dare ad Hamas un mandato incondizionato di difesa. Centinaia di giovani liberi, benestanti, ex militari (in Israele il servizio di leva è obbligatorio per uomini e donne) hanno deciso di festeggiare a ridosso della più grande prigione a cielo aperto. Come possiamo biasimare il sentimento di rivalsa dei genitori dei 1400 bambini morti a Gaza negli ultimi anni e allo stesso tempo giustificare la voglia di vendetta del popolo Israeliano.


Civili palestinesi

Nel dibattito vengono utilizzate delle semplificazioni che non sono utili a comprendere le motivazioni del conflitto, tanto meno le ragioni che sono ben altra cosa. Indubbiamente Israele è una democrazia, mentre Hamas è a capo di un movimento non eletto e non democratico, ma questo ancor di più rende il popolo israeliano complice della politica del suo governo, mentre scagiona di fatto la popolazione palestinese che non è responsabile delle azioni di Hamas. Bombardare oggi Gaza è come bombardare una qualsiasi regione italiana collusa con la mafia. Siamo certi che la mafia sia radicata nel tessuto sociale del territorio, come lo è Hamas a Gaza, ma le organizzazioni criminali prosperano dove lo stato è debole. Anche chi convive con la mafia ne è vittima. Affamare una popolazione per decenni non può che creare risentimenti ed un bisogno di aggrapparsi all’unico braccio che viene teso, anche se spesso insanguinato.
Coperti dalle bombe su Gaza in queste ore i coloni israeliani sono usciti dai loro avamposti, illegali per il diritto internazionale, attaccando palestinesi inermi, nella più piena omertà della comunità internazionale che si è scordata della Cisgiordania nella narrazione del conflitto. Una Cisgiordania che è rimasta a guardare aspettandosi il dolore che sarebbe scaturito dalla risposta israeliana. Se l’attentato di Hamas è stato possibile è solo perché il 60% dell’esercito in quel momento era qui, nel tentativo di oppressione e occupazione di una terra che per diritto appartiene ai palestinesi.


Civili israeliani

Per poter analizzare il conflitto e non l’attentato, parlare solamente dell’offesa e della risposta sottraendoli dal contesto geografico, storico e politico in cui siamo, non è una visione lungimirante. Corrisponde a navigare a vista in un mare in tempesta. Bisogna perciò cambiare paradigma. Se le operazioni militari di Israele fossero volte a difendere la sua esistenza e non alla pura vendetta ed occupazione di nuovo territorio dovremmo cercare di analizzarne le conseguenze. Come detto, l’attentato di Hamas è figlio della politica di Israele. Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di togliere la benzina che alimenta il fuoco e non di fornire nuove reclute e nuovi fondamentalismi da cui dover difenderci. Dopo i bombardamenti americani per eradicare l’ISIS dal medio oriente si è creata una instabilità politica nell’area, maggiore di quella che abbiamo trovato quando siamo arrivati. Ne sono l’esempio l’Afghanistan dei talebani, l’Iraq, la Libia. Senza contare che i regimi sub-fascisti alla guida di quegli stati erano sempre alimentati dall’occidente. Come Hamas è stato in passato finanziata da Israele per indebolire il dialogo di Pace con l’OLP di Arafat. Dunque, non esistono due fazioni ma complessi interessi di tipo economico e molteplici fronti aperti nel mondo, per mantenere un sistema geopolitico che ci vede dominanti. Ci vede ballare dietro una recinzione con filo spinato mentre dall’altra parte cresce la rabbia nella popolazione per l’immagine di un mondo agognato che non gli spetta e di cui subiscono solo le esternalità. Per questo chi è al governo cerca di minimizzare e riportare il tutto a “o noi, o loro”. Ed ecco che “loro” diventano i migranti che vengono a rubarci il lavoro, diventa ogni forma di diversità. Ogni fatalità è buona per strumentalizzare l’opinione pubblica e continuare l’accentramento di potere nelle mani di pochi. Ma in questo spazio non c’è un posto per i palestinesi di Gaza che non hanno la possibilità di scegliere. Noi siamo liberi di votare, siamo liberi di viaggiare, loro sono prigionieri di un conflitto che non hanno scelto.


Civili israeliani

Dovremmo cogliere questo momento nefasto della nostra storia per trarre qualche insegnamento, non si può parlare di pace se non si cercano di comprendere le ragioni di tutte le parti senza schierarsi. La comunità internazionale addita Hamas come responsabile del fallimento dei colloqui per il mancato riconoscimento dello stato di Israele, ma d’altro canto Netanyahu non ha mai riconosciuto il diritto del popolo palestinese di esistere. Non ci sono buoni o cattivi. Bisogna ritornare ad essere umani ed auspicarsi una de-escalation militare dell’area. La violenza genera sempre violenza. Questo potrebbe e dovrebbe essere un nuovo banco di prova nel tentativo di cambiare il paradigma militare della risoluzione del conflitto, che ha già fallito ovunque lo si sia proposto. La comunità internazionale dovrebbe imporre dei corpi civili di pace. Civili tra i civili, che aiutino a fare da ponte tra due popoli e non costruire muri che inevitabilmente alimentano pregiudizi e discriminazione. L’unica via della pace è l’integrazione, altrimenti non esiste difesa militare che regga, non c’è muro che tenga, l’alternativa è lo sterminio dell’altra parte. Ma noi non possiamo permettere che ciò avvenga e che come per il conflitto in Ucraina gli interlocutori diventino altre potenze che fanno parte del gioco, vedi la Turchia già colpevole dei sui crimini. La pace si fa sul territorio eradicando l’odio non nei saloni del potere da dove in questo momento si stanno commettendo ulteriori crimini di guerra. Gli stati hanno perso ogni tipo di credibilità, cerchiamo di diventare i prossimi interlocutori del dialogo, non permettendo che altri civili vengano uccisi.