Mentre
Israele continua i bombardamenti su Gaza preparando l’invasione via terra, non
prima di aver fiancheggiato la popolazione locale, resa allo stremo senza più
scorte di acqua e viveri, il dibattito politico italiano si impregna sempre più
di retorica. Un dibattito che invece di esporre concetti procede su preconcetti,
perpetrando logiche da tifoseria calcistica, volte a creare schieramenti. La
contrapposizione serve a difendere la nostra incapacità di comprendere la
natura del conflitto. Se oggi si arriva a giustificare il bombardamento di
donne e bambini a Gaza mettendo avanti il diritto di Israele di difendersi
rispetto a quello dei civili palestinesi di vivere, si finisce inevitabilmente
per mettere carnefici e vittime sullo stesso piano. Allo stesso modo cambiando
il punto da dove si osserva non si può non comprendere le motivazioni che hanno
spinto una popolazione vittima per decenni di crimini internazionali nel dare
ad Hamas un mandato incondizionato di difesa. Centinaia di giovani liberi,
benestanti, ex militari (in Israele il servizio di leva è obbligatorio per
uomini e donne) hanno deciso di festeggiare a ridosso della più grande prigione
a cielo aperto. Come possiamo biasimare il sentimento di rivalsa dei genitori
dei 1400 bambini morti a Gaza negli ultimi anni e allo stesso tempo
giustificare la voglia di vendetta del popolo Israeliano.
Civili palestinesi
Nel
dibattito vengono utilizzate delle semplificazioni che non sono utili a
comprendere le motivazioni del conflitto, tanto meno le ragioni che sono ben
altra cosa. Indubbiamente Israele è una democrazia, mentre Hamas è a capo di un
movimento non eletto e non democratico, ma questo ancor di più rende il popolo
israeliano complice della politica del suo governo, mentre scagiona di fatto la
popolazione palestinese che non è responsabile delle azioni di Hamas. Bombardare
oggi Gaza è come bombardare una qualsiasi regione italiana collusa con la
mafia. Siamo certi che la mafia sia radicata nel tessuto sociale del territorio,
come lo è Hamas a Gaza, ma le organizzazioni criminali prosperano dove lo stato
è debole. Anche chi convive con la mafia ne è vittima. Affamare una popolazione
per decenni non può che creare risentimenti ed un bisogno di aggrapparsi all’unico
braccio che viene teso, anche se spesso insanguinato. Coperti
dalle bombe su Gaza in queste ore i coloni israeliani sono usciti dai loro
avamposti, illegali per il diritto internazionale, attaccando palestinesi
inermi, nella più piena omertà della comunità internazionale che si è scordata
della Cisgiordania nella narrazione del conflitto. Una Cisgiordania che è
rimasta a guardare aspettandosi il dolore che sarebbe scaturito dalla risposta
israeliana. Se l’attentato di Hamas è stato possibile è solo perché il 60%
dell’esercito in quel momento era qui, nel tentativo di oppressione e
occupazione di una terra che per diritto appartiene ai palestinesi.
Civili israeliani
Per
poter analizzare il conflitto e non l’attentato, parlare solamente dell’offesa
e della risposta sottraendoli dal contesto geografico, storico e politico in
cui siamo, non è una visione lungimirante. Corrisponde a navigare a vista in un
mare in tempesta. Bisogna perciò cambiare paradigma. Se le operazioni militari
di Israele fossero volte a difendere la sua esistenza e non alla pura vendetta
ed occupazione di nuovo territorio dovremmo cercare di analizzarne le
conseguenze. Come detto, l’attentato di Hamas è figlio della politica di
Israele. Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di togliere la benzina che
alimenta il fuoco e non di fornire nuove reclute e nuovi fondamentalismi da cui
dover difenderci. Dopo i bombardamenti americani per eradicare l’ISIS dal medio
oriente si è creata una instabilità politica nell’area, maggiore di quella che
abbiamo trovato quando siamo arrivati. Ne sono l’esempio l’Afghanistan dei talebani,
l’Iraq, la Libia. Senza contare che i regimi sub-fascisti alla guida di quegli
stati erano sempre alimentati dall’occidente. Come Hamas è stato in passato
finanziata da Israele per indebolire il dialogo di Pace con l’OLP di Arafat.
Dunque, non esistono due fazioni ma complessi interessi di tipo economico e molteplici
fronti aperti nel mondo, per mantenere un sistema geopolitico che ci vede
dominanti. Ci vede ballare dietro una recinzione con filo spinato mentre
dall’altra parte cresce la rabbia nella popolazione per l’immagine di un mondo
agognato che non gli spetta e di cui subiscono solo le esternalità. Per questo
chi è al governo cerca di minimizzare e riportare il tutto a “o noi, o loro”. Ed
ecco che “loro” diventano i migranti che vengono a rubarci il lavoro, diventa
ogni forma di diversità. Ogni fatalità è buona per strumentalizzare l’opinione
pubblica e continuare l’accentramento di potere nelle mani di pochi. Ma in
questo spazio non c’è un posto per i palestinesi di Gaza che non hanno la
possibilità di scegliere. Noi siamo liberi di votare, siamo liberi di
viaggiare, loro sono prigionieri di un conflitto che non hanno scelto.
Civili israeliani
Dovremmo
cogliere questo momento nefasto della nostra storia per trarre qualche
insegnamento, non si può parlare di pace se non si cercano di comprendere le
ragioni di tutte le parti senza schierarsi. La comunità internazionale addita Hamas
come responsabile del fallimento dei colloqui per il mancato riconoscimento
dello stato di Israele, ma d’altro canto Netanyahu non ha mai riconosciuto il
diritto del popolo palestinese di esistere. Non ci sono buoni o cattivi.
Bisogna ritornare ad essere umani ed auspicarsi una de-escalation militare
dell’area. La violenza genera sempre violenza. Questo potrebbe e dovrebbe
essere un nuovo banco di prova nel tentativo di cambiare il paradigma militare
della risoluzione del conflitto, che ha già fallito ovunque lo si sia proposto.
La comunità internazionale dovrebbe imporre dei corpi civili di pace. Civili
tra i civili, che aiutino a fare da ponte tra due popoli e non costruire muri
che inevitabilmente alimentano pregiudizi e discriminazione. L’unica via della
pace è l’integrazione, altrimenti non esiste difesa militare che regga, non c’è
muro che tenga, l’alternativa è lo sterminio dell’altra parte. Ma noi non
possiamo permettere che ciò avvenga e che come per il conflitto in Ucraina gli
interlocutori diventino altre potenze che fanno parte del gioco, vedi la
Turchia già colpevole dei sui crimini. La pace si fa sul territorio eradicando
l’odio non nei saloni del potere da dove in questo momento si stanno
commettendo ulteriori crimini di guerra. Gli stati hanno perso ogni tipo di
credibilità, cerchiamo di diventare i prossimi interlocutori del dialogo, non
permettendo che altri civili vengano uccisi.