Sembra sia realtà la frase pronunciata da Cézanne
il quale, parlando di Monet, ebbe a dire: “Non è che un occhio, ma, buon Dio,
che occhio!”. Ed è un occhio altrettanto acuto, penetrante, instancabile,
capace di cogliere anche i dettagli quello di Angelo Gaccione, scrittore,
poeta, saggista, che nel capoluogo meneghino vive da oltre mezzo secolo e al
quale ha dedicato la sua quinta ricerca dal titolo La mia Milano (Meravigli
Edizioni, pagine 224 € 17,00) con prefazione di Oliviero Arzuffi). Una
sessantina i capitoli, un percorso a volo d’uccello corredato qua e là da
alcuni suoi versi lungo strade e viali, dentro chiese ed edifici, davanti a
monumenti e palazzi, nel rintocco delle stagioni e del ritmo quotidiano
scandito dal traffico cittadino, dagli scorci di natura ancora incontaminata,
dai silenzi delle periferie. Tutto per svelarci con sapienza ed entusiasmo
curiosità e aneddoti certo, ma soprattutto per parlarci di sé se è vero che
ogni opera, in fondo, qualcosa dice sempre del suo autore. Gaccione, fecondo
intellettuale, non rinuncia, com’è ben noto, a denunciare altresì brutture,
dimenticanze, incoerenze di una politica urbanistica spesso preda di
speculazione e malaffare: un intellettuale impegnato, dunque, nel rivendicare
ora e sempre il valore del bello contro ogni scempio, alla maniera di Calvino
sul finire degli anni Cinquanta. Nel dedalo di complessi che la città riserva
al viaggiatore accorto c’è Cà Granda, ad esempio, uno dei luoghi più
affascinanti, cornice spesso fonte di ispirazione per molti testi di Gaccione,
e si resterà stupefatti se dalle alte terrazze della Galleria Vittorio Emanuele
si troveranno colonie di gatti liberi di scorrazzare come spiriti indomabili.
Chi l’avrebbe mai detto poi di un Pavarotti pittore? Ce lo rivela il Pavarotti
Milano Restaurant Museum, a metà strada tra un ristorante e un museo, dove il
grande tenore è raffigurato mentre all’opera con tela e pennello si gode un
momento di relax. La capitale economica d’Italia è anche lo splendore e la
decadenza insieme delle cento fontane pubbliche a cui l’autore dedica una
romantica spigolatura: cronaca e ricordo, memoria e attualità, disincanto e
nostalgia di una metropoli cambiata a ritmo vertiginoso fino quasi a snaturare
la propria identità. Arte, spiritualità, cultura, ma anche natura: nella “città
della fretta, generosa e impietosa” che dire delle lucciole della cascina
Linterno, uno spettacolo unico nel suo genere che si deve al paziente e
prezioso lavoro di conservazione dell’habitat ecologico di alcuni illuminati
imprenditori agricoli? Nella caotica piovra fitta di vie, slarghi, corsi e
piazze non è impensabile imbattersi in qualche piccolo animale che sembra
provenire direttamente da qualche fiaba come lo scoiattolo di via Domenichino.
Lungo il crinale della storia il viaggiatore flâneurpotrà capitare in Piazza San Sepolcro dove nacque
il fascismo e dove il Duce arringò i suoi sostenitori nel 1919 per dar vita ai
Fasci di Combattimento o giungere sul Naviglio Grande che fino agli anni
Settanta fu tra i più importanti porti per traffico merci d’Europa. Rinascita e
morte si “incontrano” nella chiesa di Santo Stefano, dove fu battezzato il
Caravaggio e venne ucciso Galeazzo Sforza. Figure di lungo corso come quella di
Tano il barbiere, il cui negozio è un poco anche museo, o i burattinai che qua
e là divertono i bambini agli angoli di qualche strada restituiscono
quell’umanità che stiamo perdendo, così come le lunghe tavolate di buona cucina
e di socializzazione degli inquilini di via Altaguardia, un esempio forse unico
in tutta Milano. E poi la musica, un amore mai spento in Gaccione, la storia
delle giuggiole di Pero e la Biblioteca degli Alberi impreziosiscono questo
singolare Grand Tour meneghino dove ragione e sentimento vivono in perfetta
simbiosi.
[*Su gentile concessione
dell’inserto culturale de “Il Quotidiano del Sud” di domenica 1° ottobre 2023]