Pagine

venerdì 6 ottobre 2023

LA MILANO DI GACCIONE
di Federico Migliorati


 
Sembra sia realtà la frase pronunciata da Cézanne il quale, parlando di Monet, ebbe a dire: “Non è che un occhio, ma, buon Dio, che occhio!”. Ed è un occhio altrettanto acuto, penetrante, instancabile, capace di cogliere anche i dettagli quello di Angelo Gaccione, scrittore, poeta, saggista, che nel capoluogo meneghino vive da oltre mezzo secolo e al quale ha dedicato la sua quinta ricerca dal titolo La mia Milano (Meravigli Edizioni, pagine 224 € 17,00) con prefazione di Oliviero Arzuffi). Una sessantina i capitoli, un percorso a volo d’uccello corredato qua e là da alcuni suoi versi lungo strade e viali, dentro chiese ed edifici, davanti a monumenti e palazzi, nel rintocco delle stagioni e del ritmo quotidiano scandito dal traffico cittadino, dagli scorci di natura ancora incontaminata, dai silenzi delle periferie. Tutto per svelarci con sapienza ed entusiasmo curiosità e aneddoti certo, ma soprattutto per parlarci di sé se è vero che ogni opera, in fondo, qualcosa dice sempre del suo autore. Gaccione, fecondo intellettuale, non rinuncia, com’è ben noto, a denunciare altresì brutture, dimenticanze, incoerenze di una politica urbanistica spesso preda di speculazione e malaffare: un intellettuale impegnato, dunque, nel rivendicare ora e sempre il valore del bello contro ogni scempio, alla maniera di Calvino sul finire degli anni Cinquanta. Nel dedalo di complessi che la città riserva al viaggiatore accorto c’è Cà Granda, ad esempio, uno dei luoghi più affascinanti, cornice spesso fonte di ispirazione per molti testi di Gaccione, e si resterà stupefatti se dalle alte terrazze della Galleria Vittorio Emanuele si troveranno colonie di gatti liberi di scorrazzare come spiriti indomabili. Chi l’avrebbe mai detto poi di un Pavarotti pittore? Ce lo rivela il Pavarotti Milano Restaurant Museum, a metà strada tra un ristorante e un museo, dove il grande tenore è raffigurato mentre all’opera con tela e pennello si gode un momento di relax. La capitale economica d’Italia è anche lo splendore e la decadenza insieme delle cento fontane pubbliche a cui l’autore dedica una romantica spigolatura: cronaca e ricordo, memoria e attualità, disincanto e nostalgia di una metropoli cambiata a ritmo vertiginoso fino quasi a snaturare la propria identità. Arte, spiritualità, cultura, ma anche natura: nella “città della fretta, generosa e impietosa” che dire delle lucciole della cascina Linterno, uno spettacolo unico nel suo genere che si deve al paziente e prezioso lavoro di conservazione dell’habitat ecologico di alcuni illuminati imprenditori agricoli? Nella caotica piovra fitta di vie, slarghi, corsi e piazze non è impensabile imbattersi in qualche piccolo animale che sembra provenire direttamente da qualche fiaba come lo scoiattolo di via Domenichino. Lungo il crinale della storia il viaggiatore flâneur potrà capitare in Piazza San Sepolcro dove nacque il fascismo e dove il Duce arringò i suoi sostenitori nel 1919 per dar vita ai Fasci di Combattimento o giungere sul Naviglio Grande che fino agli anni Settanta fu tra i più importanti porti per traffico merci d’Europa. Rinascita e morte si “incontrano” nella chiesa di Santo Stefano, dove fu battezzato il Caravaggio e venne ucciso Galeazzo Sforza. Figure di lungo corso come quella di Tano il barbiere, il cui negozio è un poco anche museo, o i burattinai che qua e là divertono i bambini agli angoli di qualche strada restituiscono quell’umanità che stiamo perdendo, così come le lunghe tavolate di buona cucina e di socializzazione degli inquilini di via Altaguardia, un esempio forse unico in tutta Milano. E poi la musica, un amore mai spento in Gaccione, la storia delle giuggiole di Pero e la Biblioteca degli Alberi impreziosiscono questo singolare Grand Tour meneghino dove ragione e sentimento vivono in perfetta simbiosi.


[*Su gentile concessione dell’inserto culturale de “Il Quotidiano del Sud” di domenica 1° ottobre 2023]