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lunedì 2 ottobre 2023

L’ETERNA BELLEZZA DELLE MARCHE
di Federico Migliorati

Pesaro. Palazzo Ducale
 
La variabilità del paesaggio, la terra natale di Raffaello, Bramante e Leopardi, gli inestimabili tesori artistici conservati in alcune delle più belle città italiane, il flusso turistico che le posiziona in testa alla classifica delle regioni sono tutti elementi che fanno delle Marche un piccolo scrigno di cultura e di buon vivere. Ho toccato con mano tutto ciò quando, a più riprese negli scorsi anni, durante i periodi estivi, le ho scelte come meta di vacanze. Come dimenticare l’elegante centro storico di Jesi con lo splendido teatro dedicato a Pergolesi, figlio illustre della città, o la Rocca di Gradara dove Dante ambientò il V dell’Inferno per non parlare della rinascimentale Urbino ove amo perdermi tra le sue vie strette e di fronte all’imponente mole del Palazzo Ducale o ancora la gentile grazia della malatestiana Fano? E l’anno prossimo ci sarà l’occasione per ammirare una Pesaro vestita a festa per il ruolo di Capitale Italiana della Cultura. 


Jesi. Monumento a Pergolesi

Le Marche, regione “al plurale”, sono insomma un crogiuolo di identità, tradizioni e accenti differenti che formano un mosaico composito e attraente in ogni stagione dell’anno. Lo si scopre anche dal bel volume fotografico che Minerva Editore ha dato recentemente alle stampe: Viaggio nelle Marche (192 pagine, 20 euro), con testi di Angelo Ferracuti e Tullio Pericoli, è inserito nella collana “I luoghi dei sentimenti” di cui avevo già letto e recensito, dei 15 volumi sinora editi, quelli dedicati a Napoli e Cervo. Autore delle fotografie è Lorenzo Capellini, ultraottantenne instancabile professionista del settore che seguita a macinare chilometri e chilometri in lungo e in largo per l’Italia con lo scopo di mettere in risalto luoghi, personaggi, scorci paesaggistici del Bel Paese e il cui archivio fotografico, tra l’altro, è stato acquisito dalla Biennale di Venezia. 


Scorcio di Urbino

L’incontro tra i tre è a Rosara, sopra Ascoli Piceno, buen retiro estivo ormai da tempo dello stesso Pericoli, piccolo e scenografico borgo collinare da cui lo sguardo si perde verso l’infinito: una chiacchiera via l’altra tra il disegnatore e lo scrittore-reporter, due universi che si incrociano dando vita a un dialogo intenso e ricco di spunti da cogliere al volo. Come nel caso dell’invito a visitare il monte Sibilla, sulla catena dei Sibillini, luogo magico e reale insieme “dove storie, leggende e natura si fondono in modo straordinario”, ben descritto nel testo già apparso per Adelphi nel 2019 e ripreso dall’editore Minerva nel volume in oggetto. È sul paesaggio in rapporto con l’orizzonte che si focalizza l’attenzione di Pericoli, il paesaggio che rimarrà sempre nella nostra mente, uno e molteplice, scomposto in più parti: “Un’aura di esso continuerà a contenerci e a proteggerci”. Tra le sue tante passioni si annovera anche la pittura: in lui essa assume una funzione maieutica, gli consente cioè di recuperare alla memoria, di far fuoruscire la verità nascosta, ma anche di “tendere” verso mondi lontani o inavvicinabili. Scrive ancora Pericoli: “Nei miei dipinti incontro e riconosco i miei sogni, i miei colori e le mie forme, e ad essi affido i ruoli di una rappresentazione dove cerco di mettere in scena qualcosa che prima non c’era”. 



Visione e incanto, proprio come ciò che sprigionano le Marche, ben evidenziato dagli scatti di Capellini (delizioso il ritratto di una lunga e proficua esperienza professionale dedicatogli da Ferracuti) che ha colto con acribia realtà urbane, ambienti naturali e luoghi turistici offrendo un caleidoscopio variegato e multiforme di territori: passiamo così da Fermo, “austera e con postura vescovile”, ad Ascoli Piceno, “misteriosamente chiusa, cuore antico del Paese”, cerniera di separazione tra lo Stato Pontificio a nord e il Regno di Napoli a sud il cui travertino si fa ammirare in quella Piazza del Popolo ch’è forse una delle più belle d’Italia; da Grottammare e Numana a Macerata sino alla Recanati leopardiana. Mi piace concludere questo breve excursus nel Centro Italia con una confessione di Capellini, una delle tre “anime” del libro: L’occhio del fotografo e come quello del pittore che gode della forma, della struttura, della luce. Le gambe devono essere a disposizione di una curiosità insaziabile, ma non indiscreta: una presenza lieve che disegna con la luce un’immagine che solo lui, il fotografo, in quel momento vede: vedere, non guardare. Vedere cose che altri non vedono o che non sanno vedere. La mano, l’indice della mano, hanno il grande privilegio di fermare quell’attimo irripetibile”. L’attimo di bellezza che anche stavolta, grazie alla penna di Ferracuti e Pericoli, è stato possibile fissare e donare al lettore con candore e profondità.