Si aggiungono
altre esemplificazioni, per mostrare come evolvono le radici mediante i
prefissi.
Coniando linquo,
in cui la q corrisponde a χ(passare) dei
greci, assimilabile a λείπω, indicarono
la creatura che lascia/abbandona il grembo, mediante questa perifrasi: si
genera dentro dallo sciogliere il passare della creatura, per cui con de
(dal generare il mancare) dedussero: de-linquo: commetto un fallo,
manco al mio dovere. Da delinquo si generò delictum: delitto,
come morte di un inerme e di un innocente, causata da quel mancare, per cui delinquente
indicò chi compie crimini e in chi li ha compiuti si genera il delitto.
D’altra parte, i greci avevano formulato φόνος: omicidio,
mediante questa perifrasi: è ciò che nasce dentro dal generare il mancare:
uccisione.Poi, fu dedotto: re-linquo: lascio dietro,
abbandono. Per lasciare il grembo, la creatura procede in avanti, anche
facendo tappe, per cui i latini ricavarono il sostantivo neutro relictum:
il resto, la parte rimasta, in quanto pensarono che il passo fatto in
avanti fa presupporre la rimanente parte da percorrere. Dal participio relictus
(abbandonato), gli italici dedussero: derelitto. Poi vollero
definire chi rimane/ciò che rimane: reliquus e i
rimanenti: reliqui, in quanto, in un parto plurigemellare, ci sono
alle spalle i rimanenti. In0ltre, da ciò che rimane si evincono le
reliquie, che ebbero tanti significati, ma il senso di sacralità delle
reliquie fu acquisito dalle ceneri di persona cara. Quindi, dalla radice
liqu, con il deduttivo eo (è ciò che si genera da) fu ricavato liqu-eo:
sono liquido, che, presumibilmente, rimanda al flusso gravidico e/o alla
rottura delle acque. Infine, da questa radice liqu fu dedotto: de-liqu-ium:
assenza (di coscienza), in generale, ma anche transitoria perdita di
coscienza della neo-puerpera per le fatiche del parto. Dall’utilizzo
di radici e dall’uso dei deduttivi da parte dei latini, è evidente lo stretto
legame tra la cultura greca e quella latina, soprattutto a livello di
formazione delle parole. C’è da rimarcare che, oltre all’uso dello stesso
codice dei greci da parte dei latini, questi utilizzarono in modo originale le
radici greche, deducendo, con grande libertà, nuovi significati.
I greci,
quando formularono λέγ, dissero: dallo
sciogliere si genera, per cui, formulando λέγω, pensarono a: dico, nel senso che l’abbozzo del grembo dice,
ma anche scelgo, nel senso che l’ingravidamento determinava dellescelte da parte del
pastore, sia per il maschio sia per la femmina. Da λέγω si ebbe anche: metto insieme, perché il pastore latino pensò che
il gregge sciolto poi viene riunito. Da ἐκλέγω: scelgo, eleggo, si ebbe, in italiano, scελγω(scelgo). Da λέγω furono dedotti διαλέγω: converso
e διάλογος: dialogo, mentre da καταλέγω: espongo minutamente fu dedotto il deverbale: κατάλογος: lista, elenco, registro, catalogo, in
quanto, nel grembo, c’è anche il concetto di elenco, come sequenza di
tutto ciò che manca alla creatura per venire al mondo. I sentimenti
di tristezza profonda e abituale, compresi in elegia, furono dedotti da ἔλεγος: canto triste, melodia triste, ad indicare la melodia
straziante del pastore, con il suo piffero, per la morte da parto della sua
creatura o della sua amata. Mi piace ricordare l’elegia, sicuramente di
maniera, per la morte del passero di Lesbia. Il pastore
latino diede a lego il significato di chi interpreta il segno: legge,
di chi sceglie, di chi raccoglie (mette insieme). Tenendo
presenti questi significati, dedusse: eligo/electum: faccio
una scelta, scelgo, eleggo, per cui da chi èstatoscelto
fu dedotta elezione. Poi, ricavò diligo/dilectum: ho
caro, amo, onoro, in quanto la lettera del prefisso: δεα(per crasi δη): dal
generare il legare e di λεγdallo
sciogliere genera, fece pensare al legame di chi sta insieme (madre e figlio) e all’amore pieno
di tenerezza della madre per la sua creatura. Da diletto altri pensarono
a: prediletto. Poi, il pastore pensò che colui che ha operato quel
legame è stato diligente: preciso, accurato, scrupoloso,
significati che si completano con il contrario: negligente. Con la
perifrasi int-en (in cui la t è una teta),preposta
a lego, il pastore latino formulò: intellego/intellectum: riconosco,
comprendo, in quanto la nuova locuzione contestualizza la lettura del
grembo: quando noto quel segno della crescita, lo riconosco e lo
capisco/comprendo. Quindi, chi ha questa capacità è intelligente e in
chi ha compreso (intellectus) si evince la capacità mentale dell’intelletto,
che è un grosso guaio per chi non ce l’ha, per cui Dante disse: “Noi siam
venuti al loco ov’io t’ho detto/che tu vedrai le genti dolorose/ch’hanno
perduto il ben dell’intelletto”.
I latini,
inoltre, ebbero due verbi molto prossimi per suono: ligoligas/ligatum:
lego e lego legas/legatum: eleggo qualcuno come legato,
mando qualcuno come legato, che, forse, rimanda a: λέγω, mentre per ligo, da cui ligamen, si deve pensare al legame
nel grembo tra madre e figlio. I latini dedussero da λέγω:e-legans elegantis, che è colui che sa fare gli
abbinamenti, legato e delegato, mentre da ligare si
dedussero: relegare, che, espressamente, mostra com’è la creatura legata
nel grembo, collegare, allego, quindi: slego, slogare,
slogatura, verosimilmente: allignare, tralignare. Mi piace
ribadire il processo formativo di collega: compagno, che svolge
la stessa attività, in qualità di legato, di eletto per svolgere la
stessa funzione. Poi, da collega fu dedotto collegium. Dalla radice λεγ, gli italici dedussero: ligio, i latini avevano ricavato reλιγ-io: scrupolo (di poter causare anche involontariamente il male), coscienza,
lealtà, timore degli dei, timore religioso, che sono
sentimenti che attengono alla filosofia del pastore, che ha una sensibilità precristiana:
il timore di Dio per prevenire i mali, ma, soprattutto, il forte senso di
giustizia per poter avere quello che spetta, meglio: quanto ognuno ha
meritato.
Voglio
soffermarmi su alcuni verbi dedotti da mitto, cui i latini diedero
essenzialmente il significato di: mando: il bambino che nasce è il missus
(mandato), poi: messia. Nell’attesa dell’evento-nascita di quella
creatura mandata, si coglie: il promettere. Per quanto riguarda o-metto,
occorre fare delle puntualizzazioni; i greci avevano attribuito a ἐάω (per
contrazione ω), la cui perifrasi si può tradurre: è ciò che
consegue al generare, i seguenti significati cesso, permetto, tralascio.
I latini, premettendo la o a mettere, non intesero dire: tralascio
di mandare, bensì: tralascio tutto in occasione dell’evento nascita, in
quanto mitto (μιγτ): va a
rimanere il generare il tendere, induceva a pensare alla nascita, per cui,
se maiora premunt, è doveroso trascurare anche altro di una certa
importanza. Da qui gli omissis (messi da parte), da qui i peccati di omissione
del cristiano: il non aver fatto (l’aver trascurato) quanto pur dovuto, che è
omologabile a fare il male. Per l’immorale, invece, il non fare ciò che
è bene, non è un atto dovuto. Per l’ipocrita l’importane è non fare il male. I latini
diedero a di-mitto i seguenti significati: allontano (dal punto
di partenza), licenzio (con la nascita), lascio libero, condono
(chi era stato legato, con la nascita, è libero), ripudio, perché il
prefisso di da tradurre: genera il mancare indica anche l’infertilità
della donna, motivo di ripudio (dimittere uxorem).
Ci fu anche:
de-mitto: mando giù, abbasso, mi abbasso, pianto,
conficco, concetti desunti dall’amplesso e dal mettere a
dimora, quindi al legare. Infatti, il prefisso di (alla
greca: δη), qui,si deve tradurre: dal generare il
legare. Pertanto, fu formulato il participio/aggettivo: demissus
(abbassato), da cui i latini ricavarono: umile, modesto, abbattuto,
avvilito. Nel mio dialetto c’è un’espressione che rende lo stato d’animo
di scoramento, di abbattimento, di avvilimento: ied’ addimis’ (è
abbattuto e avvilito). I latini
coniarono la radice uinch, alla greca: ουιγχ (è ciò che si genera da dentro il passare) da cui dedussero: vincio:
avvincere, obbligare, frenare, incatenare,
significati di azioni che si fanno mentre la creatura è legata durante il passare
della gestazione. Da vincio fu dedotto il deverbale: vincolo,
da cui: vincolare, vincolante. Dalla stessa radice, i latini
ricavarono vinco/victum, in quanto il passare della
creatura, a seguito della nascita, rappresenta una vittoria nella lotta del
travaglio. Tante furono le deduzioni da questo verbo, per cui a me piace
indugiare su pro-vinc-ia. I Latini, divenuti conquistatori, coniando
questa parola, intesero dire: a ben pensarci è ciò che costituisco quando vinco,
conquistando dei territori!