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domenica 1 ottobre 2023

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

 

I prefissi 2

Si aggiungono altre esemplificazioni, per mostrare come evolvono le radici mediante i prefissi.


Coniando linquo, in cui la q corrisponde a χ (passare) dei greci, assimilabile a λείπω, indicarono la creatura che lascia/abbandona il grembo, mediante questa perifrasi: si genera dentro dallo sciogliere il passare della creatura, per cui con de (dal generare il mancare) dedussero: de-linquo: commetto un fallo, manco al mio dovere. Da delinquo si generò delictum: delitto, come morte di un inerme e di un innocente, causata da quel mancare, per cui delinquente indicò chi compie crimini e in chi li ha compiuti si genera il delitto. D’altra parte, i greci avevano formulato φόνος: omicidio, mediante questa perifrasi: è ciò che nasce dentro dal generare il mancare: uccisione. Poi, fu dedotto: re-linquo: lascio dietro, abbandono. Per lasciare il grembo, la creatura procede in avanti, anche facendo tappe, per cui i latini ricavarono il sostantivo neutro relictum: il resto, la parte rimasta, in quanto pensarono che il passo fatto in avanti fa presupporre la rimanente parte da percorrere. Dal participio relictus (abbandonato), gli italici dedussero: derelitto.
Poi vollero definire chi rimane/ciò che rimane: reliquus e i rimanenti: reliqui, in quanto, in un parto plurigemellare, ci sono alle spalle i rimanenti. In0ltre, da ciò che rimane si evincono le reliquie, che ebbero tanti significati, ma il senso di sacralità delle reliquie fu acquisito dalle ceneri di persona cara. Quindi, dalla radice liqu, con il deduttivo eo (è ciò che si genera da) fu ricavato liqu-eo: sono liquido, che, presumibilmente, rimanda al flusso gravidico e/o alla rottura delle acque. Infine, da questa radice liqu fu dedotto: de-liqu-ium: assenza (di coscienza), in generale, ma anche transitoria perdita di coscienza della neo-puerpera per le fatiche del parto.
Dall’utilizzo di radici e dall’uso dei deduttivi da parte dei latini, è evidente lo stretto legame tra la cultura greca e quella latina, soprattutto a livello di formazione delle parole. C’è da rimarcare che, oltre all’uso dello stesso codice dei greci da parte dei latini, questi utilizzarono in modo originale le radici greche, deducendo, con grande libertà, nuovi significati.



I greci, quando formularono λέγ, dissero: dallo sciogliere si genera, per cui, formulando λέγω, pensarono a: dico, nel senso che l’abbozzo del grembo dice, ma anche scelgo, nel senso che l’ingravidamento determinava delle scelte da parte del pastore, sia per il maschio sia per la femmina. Da λέγω si ebbe anche: metto insieme, perché il pastore latino pensò che il gregge sciolto poi viene riunito. Da κλέγω: scelgo, eleggo, si ebbe, in italiano, scελγω (scelgo). Da λέγω furono dedotti διαλέγω: converso e διάλογος: dialogo, mentre da καταλέγω: espongo minutamente fu dedotto il deverbale: κατάλογος: lista, elenco, registro, catalogo, in quanto, nel grembo, c’è anche il concetto di elenco, come sequenza di tutto ciò che manca alla creatura per venire al mondo.
I sentimenti di tristezza profonda e abituale, compresi in elegia, furono dedotti da λεγος: canto triste, melodia triste, ad indicare la melodia straziante del pastore, con il suo piffero, per la morte da parto della sua creatura o della sua amata. Mi piace ricordare l’elegia, sicuramente di maniera, per la morte del passero di Lesbia.
Il pastore latino diede a lego il significato di chi interpreta il segno: legge, di chi sceglie, di chi raccoglie (mette insieme). Tenendo presenti questi significati, dedusse: eligo/electum: faccio una scelta, scelgo, eleggo, per cui da chi è stato scelto fu dedotta elezione. Poi, ricavò diligo/dilectum: ho caro, amo, onoro, in quanto la lettera del prefisso: δεα (per crasi δη): dal generare il legare e di λεγ dallo sciogliere genera, fece pensare al legame di chi sta insieme (madre e figlio) e all’amore pieno di tenerezza della madre per la sua creatura. Da diletto altri pensarono a: prediletto. Poi, il pastore pensò che colui che ha operato quel legame è stato diligente: preciso, accurato, scrupoloso, significati che si completano con il contrario: negligente.
Con la perifrasi int-en (in cui la t è una teta), preposta a lego, il pastore latino formulò: intellego/intellectum: riconosco, comprendo, in quanto la nuova locuzione contestualizza la lettura del grembo: quando noto quel segno della crescita, lo riconosco e lo capisco/comprendo. Quindi, chi ha questa capacità è intelligente e in chi ha compreso (intellectus) si evince la capacità mentale dell’intelletto, che è un grosso guaio per chi non ce l’ha, per cui Dante disse: “Noi siam venuti al loco ov’io t’ho detto/che tu vedrai le genti dolorose/ch’hanno perduto il ben dell’intelletto”. 



I latini, inoltre, ebbero due verbi molto prossimi per suono: ligo ligas/ligatum: lego e lego legas/legatum: eleggo qualcuno come legato, mando qualcuno come legato, che, forse, rimanda a: λέγω, mentre per ligo, da cui ligamen, si deve pensare al legame nel grembo tra madre e figlio. I latini dedussero da λέγω: e-legans elegantis, che è colui che sa fare gli abbinamenti, legato e delegato, mentre da ligare si dedussero: relegare, che, espressamente, mostra com’è la creatura legata nel grembo, collegare, allego, quindi: slego, slogare, slogatura, verosimilmente: allignare, tralignare. Mi piace ribadire il processo formativo di collega: compagno, che svolge la stessa attività, in qualità di legato, di eletto per svolgere la stessa funzione. Poi, da collega fu dedotto collegium.
Dalla radice λεγ, gli italici dedussero: ligio, i latini avevano ricavato reλιγ-io: scrupolo (di poter causare anche involontariamente il male), coscienza, lealtà, timore degli dei, timore religioso, che sono sentimenti che attengono alla filosofia del pastore, che ha una sensibilità precristiana: il timore di Dio per prevenire i mali, ma, soprattutto, il forte senso di giustizia per poter avere quello che spetta, meglio: quanto ognuno ha meritato.



Voglio soffermarmi su alcuni verbi dedotti da mitto, cui i latini diedero essenzialmente il significato di: mando: il bambino che nasce è il missus (mandato), poi: messia. Nell’attesa dell’evento-nascita di quella creatura mandata, si coglie: il promettere. Per quanto riguarda o-metto, occorre fare delle puntualizzazioni; i greci avevano attribuito a άω (per contrazione ω), la cui perifrasi si può tradurre: è ciò che consegue al generare, i seguenti significati cesso, permetto, tralascio. I latini, premettendo la o a mettere, non intesero dire: tralascio di mandare, bensì: tralascio tutto in occasione dell’evento nascita, in quanto mitto (μιγτ): va a rimanere il generare il tendere, induceva a pensare alla nascita, per cui, se maiora premunt, è doveroso trascurare anche altro di una certa importanza. Da qui gli omissis (messi da parte), da qui i peccati di omissione del cristiano: il non aver fatto (l’aver trascurato) quanto pur dovuto, che è omologabile a fare il male. Per l’immorale, invece, il non fare ciò che è bene, non è un atto dovuto. Per l’ipocrita l’importane è non fare il male.
I latini diedero a di-mitto i seguenti significati: allontano (dal punto di partenza), licenzio (con la nascita), lascio libero, condono (chi era stato legato, con la nascita, è libero), ripudio, perché il prefisso di da tradurre: genera il mancare indica anche l’infertilità della donna, motivo di ripudio (dimittere uxorem).



Ci fu anche: de-mitto: mando giù, abbasso, mi abbasso, pianto, conficco, concetti desunti dall’amplesso e dal mettere a dimora, quindi al legare. Infatti, il prefisso di (alla greca: δη), qui, si deve tradurre: dal generare il legare. Pertanto, fu formulato il participio/aggettivo: demissus (abbassato), da cui i latini ricavarono: umile, modesto, abbattuto, avvilito. Nel mio dialetto c’è un’espressione che rende lo stato d’animo di scoramento, di abbattimento, di avvilimento: ied’ addimis’ (è abbattuto e avvilito).
I latini coniarono la radice uinch, alla greca: ουιγχ (è ciò che si genera da dentro il passare) da cui dedussero: vincio: avvincere, obbligare, frenare, incatenare, significati di azioni che si fanno mentre la creatura è legata durante il passare della gestazione. Da vincio fu dedotto il deverbale: vincolo, da cui: vincolare, vincolante. Dalla stessa radice, i latini ricavarono vinco/victum, in quanto il passare della creatura, a seguito della nascita, rappresenta una vittoria nella lotta del travaglio. Tante furono le deduzioni da questo verbo, per cui a me piace indugiare su pro-vinc-ia. I Latini, divenuti conquistatori, coniando questa parola, intesero dire: a ben pensarci è ciò che costituisco quando vinco, conquistando dei territori!