Legnano.Apro io l’incontro a nome dei miei “fratelli di
penna” in quanto legnanese e quindi ospitante. Grazie per aver accettato
l’invito che in particolare Nino e Giuseppe vi hanno rivolto a trascorrere
insieme una giornata di fraternità. Oso questo termine desueto perché di questo
il mondo ha bisogno: moltiplicare i cenacoli, gli spazi di comunità, i luoghi
in cui nessuno giudica nessuno, in cui ci si accoglie per quello che si è, in
cui si costruisce assieme. Un grazie al Comune di Legnano, all’assessore Guido
Bragato che ha accettato di condividere questa iniziativa “al buio”, senza
poter sapere ancora – lo scopriremo e costruiremo insieme oggi – che cosa sarà
la nostra kermesse, e alla responsabile della biblioteca civica della mia
città, dal nome così poetico Selene Buia, che ci ha sostenuto con competenza ed
entusiasmo. Ed eccoci a noi. “Poeta? No, grazie” è stata la provocazione che vi
abbiamo proposto, rispetto alla quale mi piace accogliervi con tre suggestioni.
Ecco la prima: “preferisco cercare poesie che definizione di poesia”. A parlare
è Miograd Pavlovic, poeta serbo. Definire ciò che è poesia, cioè istituire un
canone, è tentativo (e tentazione) del tutto vano. “Cercare poesie” invita
piuttosto ad aprirsi, ad ascoltare, ad accettare ciò che ci viene offerto come
esperienza, comunicazione, evocazione, provocazione, arricchimento. Ecco perché
radunarci qui. Perché cerchiamo poesie e parole e performance che scavino nella
montagna e rivelino metalli rari e radici promettenti. Che non smettano di
accogliere e sollecitare nuove possibilità per un’umanità viandante tra orrore
e speranza.
Proprio
oggi, 21 ottobre, è uno dei due giorni nell’anno in cui è possibile visitare il
Trinity Test Site a Los Alamos, il punto preciso in cui scoppiò la prima bomba
atomica sperimentale e iniziò una nuova era della storia umana. Tra il
“cambiare il mondo” di Patrizia Cavalli e l’”avvelenare i pozzi” di Franco
Fortini il fare poetico gioca il suo potere identificativo ed evocativo nel
porsi, soltanto nel porsi alla lettura e alla declamazione. Ed ecco la seconda
suggestione: “Noi poeti siamo nudi, si vede tutto, perciò dobbiamo preoccuparci
di sembrare decenti.” È
Anna Achmatova che parla. Lo leggo nell’esergo di Paolo Nori, nel suo libro dedicato
alla grande poetessa russa: Vi avverto che vivo per l’ultima volta
(Mondadori, Milano, 2023) e mi chiedo come possano i poeti “sembrare decenti”. Con
il pudore che protegge l’intimità e proteggendola la nutre e la svela quel poco
che basta per essere veri? Costruendo castelli artificiali di parole, giocando
con esse al nascondimento della propria parte più autentica (più “onesta”
direbbe Saba)? Andando alla sorgente della propria creatività e coprendo con le
mani per quanto possibile il libero sgorgare dei versi? Confidando nell’utile
dell’inutile che è la parola che si fa, che genera e generando opera, trasforma?
La poesia genera frutti perché non chiede nulla, crea perché non pretende, apre
perché non cerca un definito, ma si de-finisce e germina possibilità cercando.
Una ricerca incessante che è vagare, errare negli infiniti mondi dell’origine
del tempo e della vita, dove esteriore e interiore formano un unico tessuto e errando
si perviene, inaspettatamente, al luco intimo ed aperto che misteriosamente,
cioè cedendo e ammutolendo, ci affratella.
Emily Dickinson
Si
chiede Armando Pessoa, e questa è la terza suggestione: “Perché è bella l’arte?
Perché è inutile. Perché è brutta la vita? Perché è tutta fini e propositi e intenzioni.
Tutte le sue strade portano da un punto a un altro punto. Magari ci fosse una
strada in un luogo dove nessuno va”. È la poesia questo luogo? Da
noi essere poeti sembra un’avventura minore, marginale, come lo sono le
pubblicazioni poetiche. Eppure c’è tanto bisogno, nei periodi di smarrimento,
di erranza senza meta, di chi “non teme il nulla”. E chi non teme il nulla, per
la grande filosofa spagnola Maria Zambrano, è proprio il poeta.
L'intervento di Penati
Ulisse,
per Mandel’stam, ritorna ad Itaca “colmo di spazio e di tempo”. Ecco la cifra
del poeta: ampliare lo spazio e il tempo, vedere e andare oltre i confini
assodati e confondere la dura sequenza temporale e sintattica. Il poeta è
l’interprete più appassionato della nuova visione dell’universo: dello
spaziotempo come unica entità. Osip Mandel’stam lo tratteggia nella poesia “Un
rivolo di miele dorato e vischioso colava dalla bottiglia” che conclude con
questi versi: “(…) non ci fu che una strepitare/di grevi onde marine lungo tutto,
tutto quel viaggio/e lasciando la nave che aveva fiaccato la vela sui mari/ fece
ritorno Odisseo colmo di tempo e di spazio.” E
l’essere colmo di tempo e di spazio rimanda all’auspicio di Aristotele secondo
cui “per quanto possibile, bisogna sempre farsi immortali”. È
il compito e destino dei poeti, per Emily Dickinson: “Accendere una lampada e
sparire/Questo fanno i poeti/ Ma le scintille che hanno ravvivato/ Durano come
i soli/ Ogni epoca una lente/Che dissemina/ La loro circonferenza”. [Relazione
letta durante la kermesse del 21 ottobre 2023 tenuta a Legnano nella Sala
Previati del Castello Visconteo]