L’Italia
fomenta le guerre. Stiamo
vivendo uno dei periodi più bui dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Teatri di guerra si sono aperti in diverse parti del Pianeta. Mentre il
conflitto in Ucraina interessa direttamente la sicurezza e la stabilità
economica di tutto il continente europeo, il conflitto israelo-palestinese
coinvolge aree strategiche per l'approvvigionamento energetico e altri fronti
di guerra rimangono prossimi al nostro Paese: Nord Africa, Caucaso, Balcani. In quella che è la capitale dell'industria
delle armi, nel porto di Genova i sindacati di base stanno cercando di
rinverdire l'afflato internazionalista che - almeno dalla guerra del Vietnam -
ha sempre animato i portuali genovesi (e segnali analoghi ci arrivano dal
Belgio, dall'Australia, e dalla Spagna) è forse il caso di dare un'occhiata
allo stato dell'industria bellica nel nostro Paese. L’industria
italiana è direttamente interessata alle politiche di guerra con un sempre
maggiore coinvolgimento attivo. L’Italia è il sesto esportatore mondiale di
armi dopo Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Germania. Stando ai dati
governativi ufficiali sui movimenti economici nel campo delle spese militari,
l’Italia ha esportato sistemi bellici nei Paesi coinvolti nei vari conflitti.
Infatti nel 2021 (fonte: economy magazine) ha concluso affari per la vendita di armi
con 92 Paesi, in particolar modo con quelli della Nato (il 52% delle
transazioni), ma non solo. Tra i clienti più importanti dell’Alleanza Atlantica
troviamo gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, la Norvegia, la Turchia,
l’Albania e la Macedonia del Nord. Fra i maggiori partner dell’export del
comparto bellico italiano v’è l’Egitto di Al Sisi (anche se dal 2021 l’aumento
di vendite più significativo registrato è col Qatar) e a seguire Turchia e
Kuwait. Già
dall’inizio della guerra in Ucraina è tornato al centro del dibattito pubblico
il tema della spesa militare e dei proventi delle industrie belliche. In
questo settore
produttivo di morte il nostro paese vanta un ruolo di spicco.
In sostanza, con il conflitto in Europa si è solo contribuito alla produzione
di armi in giro per il mondo e ad incrementare i profitti della fabbrica
bellica. Secondo fonti dell’Università di Padova, il primo Paese destinatario
delle “nostre” forniture di armamenti è l’Egitto, al secondo posto ci sono gli
Stati Uniti, seguiti dal Regno Unito e dal Qatar. Anche le esportazioni
intra-Ue hanno un valore non di poco conto.
L’Africa
settentrionale ed il Medio Oriente raccolgono il 38,57% delle esportazioni
(Egitto in primis);
i Paesi UE e membri europei della NATO il 32,1%; l’America settentrionale,
quindi di fatto gli Stati Uniti, l’11,77%; mentre l’intera Asia solo il 9,48%.
Verso l’Egitto l’industria nazionale esporta armi e munizioni di diversa
tipologia. Nella relazione inviata alla Camera dei deputati si può leggere che
in Egitto arrivino armi di calibro superiore ai 12,7 mm, munizioni, bombe,
siluri, razzi, missili con relativi accessori, esplosivi, navi da guerra,
aeromobili, apparecchiature elettroniche e specializzate per l’addestramento,
software e apparecchiature utili per la produzione stessa di armi. L’esportazione
di armamenti riguarda anche le repubbliche ex sovietiche legate alla Russia di
Putin come il Kazakistan, verso il quale l’Italia ha esportato forniture
militari di piccola taglia. In Kazakistan, infatti, sono arrivate armi
automatiche di calibro uguale o inferiore ai 12,7 mm e relative munizioni.
Vignetta di Beppe Fantin
Importante
per l’industria bellica italiana è anche la cooperazione con gli Stati europei.
Con Regno Unito e Svezia porta avanti il progetto dei sistemi Tempest, e l’European Patrol Corvette per
navi in grado di svolgere missioni tattiche e strategiche. In fase avanzata è
il progetto Eurodrone al
quale partecipa Leonardo e che avrà un motore italiano, il Catalyst turboelica
prodotto da Avio Aero, controllata da GE Aviation. Da notare che il consorzio
missilistico italo-franco-britannico Mbda, di cui Leonardo detiene il 25% di
capitale, è in grado di competere con gli USA. Non a caso lo scorso anno il
consorzio ha superato i 4 miliardi di ricavi e che la filiale italiana nel 2022
ha conseguito 1 miliardo di ricavi. Fra accordi già in essere o in via di
definizione, ci sono anche quelli con: Israele (settore aeronautica,
elettronica della difesa e cybersecurity); Qatar (settore navale e terrestre,
con la possibilità di realizzare piattaforme anfibie SuperAv 8X8 del consorzio
Iveco Defence Vehicles-Oto Melara); Brasile (settore blindati); India (con la
speranza che, archiviate le tensioni degli ultimi anni (vedi caso dei Marò), ci
sia la possibilità di collaborare per produrre elicotteri e siluri). Dal
rapporto del Maeci, (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale) i primi quattro operatori dell’industria bellica italiana sono:
LEONARDO (31,58%), FINCANTIERI (25,27%), IVECO DEFENCE VEHICLES (8,66%) e
CALZONI (5,81%). Queste società da sole rappresentano circa il 71,32% del
valore monetario degli scambi. La
Leonardo S.p.A. (ex Finmeccanica), controllata al 30% dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze, è ai vertici dell’industria bellica italiana.
Leonardo spa è la dodicesima impresa di difesa del mondo ed è la prima
nell’Unione Europea. Del
colosso Leonardo spa fanno parte la Oto Melara, la Agusta Westland, l’Alenia,
Aermacchi, la Selex ES, la Wass. Fra le sue produzioni vi sono: gli elicotteri
T129 e gli A129 Mangusta dell’italiana Agusta Westland; gli aerei ATR72-600
prodotti dall’Alenia Aermacchi. Del listino fa parte un lunghissimo
armamentario di articoli prodotti dalla Oto Melara, Azienda sarda RWM Italia,
IVECO DEFENCE VEHICLES. Inoltre dal rapporto ICAN 2019, la Leonardo spa
risulta impegnata in armamenti nucleari attraverso la joint venture MBDA. In
questo clima sempre più arroventato, dove l’eco della guerra guerreggiata
arriva quotidianamente nelle nostre case, dove i morti fra i civili si contano
a migliaia, è di fondamentale importanza rilanciare una campagna di
riconversione dell’industria bellica nazionale in industria civile e di pace, a
partire dalla Leonardo spa e dalla Fincantieri, facendo crescere la
consapevolezza che l’industria bellica ha bisogno come l’aria delle guerre e
delle distruzioni per fare lucrosi affari.