POESIACIVILEE CRITICA DELLA CIVILTÀ di Gabriella Galzio
Appunti per un dibattito Nello spirito di sostegno all’antologia
poetica su Piazza Fontana curata da Angelo Gaccione, non si poteva non dare la
propria sentita adesione, soprattutto in questa congiuntura politica in cui
risalgono dall’ombra figure post-fasciste a occupare le istituzioni - culturali
comprese. L’iniziativa ospite alla Biblioteca Chiesa Rossa, all’interno della
rassegna di Bookcity, ha però offerto un’occasione di riflessione sull’opportunità
di concepire e organizzare ancora oggi “serate tutte al femminile”. Quando
negli anni ’80 venne alla ribalta la questione femminile con l’antologia “Donne
in poesia”, curata da Maria Pia Quintavalla (1988), quelle donne erano
pioniere, confrontate con un mondo maschile compatto e impermeabile; basti
pensare alla storica antologia dei poeti italiani del secondo ’900, curata da
Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi per i meridiani Mondadori – tra quelle c.d.
istituzionali considerate fare testo o “canone” - in cui ancora nel 1996 erano
incluse solo 7 donne (su una cinquantina di uomini, per non parlare dello
spazio dedicato a ciascun poeta). Ma oggi, dopo mezzo secolo, le “serate tutte
al femminile” rischiano di essere un boomerang e di confinare le donne entro
riserve indiane, senza aver messo in discussione la presunta universalità della
cultura maschile, dunque una cultura di genere che ha estromesso l’altro genere
fino al ‘900. Ora, questa svolta non è avvenuta, altrimenti avremmo in
parallelo “serate tutte al maschile” o simpatiche “quote celesti” – e il fatto
che simili accostamenti ci giungano stranianti, ironici e paradossali ne è la
riprova: la coscienza profonda non è cambiata.
Quanto, poi, alla poesia civile, la proiezione maschile (spesso anche
introiettata dalle donne) necessiterebbe di un cambio di paradigma: la voce
delle donne non può più essere quella di “mater dolorosa”
per i morti... per i morti... per i morti... Le donne sono per la nascita con
buona pace di Heidegger. E il 94 % dei crimini violenti al mondo (guerre
escluse) sono opera di uomini. Così come il 90% del flusso monetario è
convogliato in progetti di uomini (guerre in primis). Se ne deduce
che tutte le morti menzionate - per guerre, femminicidi, bianche, in
mare, per sfruttamento - sono violenze di genere, del genere maschile, e che le
donne non ne portano una responsabilità diretta. Ma ne portano una indiretta:
di aver lasciato una delega in bianco nelle mani degli uomini, i
quali hanno portato il pianeta allo sfascio. A chi ha condotto una
gestione fallimentare, rinnovereste l'incarico? È ora di ritirare quella delega
e riprendere in mano le redini della casa comune. In quella casa, pacifica ed
egualitaria, donne e uomini sarebbero finalmente parte integrante. Ringrazio in
ogni caso Angelo Gaccione di avermi lasciata libera di esprimere pubblicamente
il mio dissenso come premessa alla lettura di poesia e di ospitare ora questo
breve articolo su “Odissea”.
La mia posizione oggi è quella di riservare pari
dignità a donne e uomini e di organizzare iniziative miste (50% e 50%), come
una madre attenta presterebbe uguale attenzione ai propri figli maschio e
femmina. Vorrei anche sgombrare il campo da obiezioni che mi vorrebbero naif: è
evidente che quando invito le donne a “prendere in mano le redini della casa
comune” non mi riferisco a quelle donne identificate con i paradigmi di
dominio patriarcali (le Meloni, le von der Leyen, le Lagarde), e pertanto
cooptate dal sistema di potere patriarcale, poiché funzionali quanto e forse
più degli uomini. Anche se è vero che grandi passi avanti sono stati fatti
quando si è creato un fronte trasversale tra le donne al potere, vedi il reato
di stupro come violenza contro la persona (e non più come offesa alla moralità
pubblica), oppure il recente invito della regista Cortellesi a Schlein e Meloni
a intervenire contro il femminicidio (chissà se darà i suoi frutti…). Ad ogni
modo, oltre il dato della mera biologia, quel che conta sono i paradigmi psico-antropologici
di cui siamo portatrici/ portatori, per esempio se aderiamo al paradigma cooperativo
o a quello competitivo che ci porta dritto dritto alle guerre, perché è
certamente un approccio cooperativo alla costruzione della pace che può sottrarci
alla guerra.
In questo senso esiste anche una minoranza di uomini illuminati
che possono contribuire a un cambio di paradigma, sempre che abbiano un occhio
rivolto al basista che è dentro di loro (vedi pacifisti in piazza e dominanti
in famiglia). Altrettanto dovremmo essere allertate/i dall’insofferenza di
qualche uomo pur di buone intenzioni verso le “serate tutte al femminile”, che
probabilmente è disturbato dal vedere estromessi gli uomini da temi fortemente
identitari come la poesia civile o la resistenza. Si può, cioè, essere critici
verso le “serate tutte al femminile” da posizioni progressiste o conservatrici,
soprattutto se il signore in questione, giunto al tavolo dei relatori per il
suo intervento, non si rende conto che si rivolge sistematicamente al suo
interlocutore uomo, dando continuamente le spalle all’interlocutrice donna.
Colin Crouch
A
dispetto delle profusioni teoriche a favore delle donne, le modalità
patriarcali persistono, passando spesso inosservate attraverso la prassi
organizzativa e il linguaggio non verbale, solo che oggi ci si fa più caso.
E proprio perché oggi si comincia a far luce sui paradigmi profondi di una
civiltà, la stessa ‘poesia civile’ si amplia oltre la sua portata storica di denuncia
della politica nazionale che rischierebbe di attardarsi in una poesia
celebrativa chiusa nel ‘900, per abbracciare una più vasta accezione di ‘critica
della civiltà’. Oggi che il sistema lobbistico mondiale agisce al di sopra
delle nostre teste con decisioni che stravolgono il nostro assetto
antropologico (pericolosamente proiettato verso il transumanesimo), una poesia
di critica della civiltà è chiamata a trascendere i confini politici nazionali
ed estendere i suoi orizzonti alla sociologia e all’antropologia del nuovo
globalismo, alle oligarchie colluse e ai fenomeni di post-democrazia come già
denunciato vent’anni fa dal politologo britannico Colin Crouch. E a poeti e
poete con un piede nell’infinito aion, possiamo chiedere di abbracciare
con lo sguardo la complessità della civiltà.