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martedì 21 novembre 2023

POESIA CIVILE E CRITICA DELLA CIVILTÀ
di Gabriella Galzio
 



Appunti per un dibattito
 
Nello spirito di sostegno all’antologia poetica su Piazza Fontana curata da Angelo Gaccione, non si poteva non dare la propria sentita adesione, soprattutto in questa congiuntura politica in cui risalgono dall’ombra figure post-fasciste a occupare le istituzioni - culturali comprese. L’iniziativa ospite alla Biblioteca Chiesa Rossa, all’interno della rassegna di Bookcity, ha però offerto un’occasione di riflessione sull’opportunità di concepire e organizzare ancora oggi “serate tutte al femminile”. Quando negli anni ’80 venne alla ribalta la questione femminile con l’antologia “Donne in poesia”, curata da Maria Pia Quintavalla (1988), quelle donne erano pioniere, confrontate con un mondo maschile compatto e impermeabile; basti pensare alla storica antologia dei poeti italiani del secondo ’900, curata da Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi per i meridiani Mondadori – tra quelle c.d. istituzionali considerate fare testo o “canone” - in cui ancora nel 1996 erano incluse solo 7 donne (su una cinquantina di uomini, per non parlare dello spazio dedicato a ciascun poeta). Ma oggi, dopo mezzo secolo, le “serate tutte al femminile” rischiano di essere un boomerang e di confinare le donne entro riserve indiane, senza aver messo in discussione la presunta universalità della cultura maschile, dunque una cultura di genere che ha estromesso l’altro genere fino al ‘900. Ora, questa svolta non è avvenuta, altrimenti avremmo in parallelo “serate tutte al maschile” o simpatiche “quote celesti” – e il fatto che simili accostamenti ci giungano stranianti, ironici e paradossali ne è la riprova: la coscienza profonda non è cambiata.



Quanto, poi, alla poesia civile, la proiezione maschile (spesso anche introiettata dalle donne) necessiterebbe di un cambio di paradigma: la voce delle donne non può più essere quella di “mater dolorosa” per i morti... per i morti... per i morti... Le donne sono per la nascita con buona pace di Heidegger. E il 94 % dei crimini violenti al mondo (guerre escluse) sono opera di uomini. Così come il 90% del flusso monetario è convogliato in progetti di uomini (guerre in primis). Se ne deduce che tutte le morti menzionate - per guerre, femminicidi, bianche, in mare, per sfruttamento - sono violenze di genere, del genere maschile, e che le donne non ne portano una responsabilità diretta. Ma ne portano una indiretta: di aver lasciato una delega in bianco nelle mani degli uomini, i quali hanno portato il pianeta allo sfascio. A chi ha condotto una gestione fallimentare, rinnovereste l'incarico? È ora di ritirare quella delega e riprendere in mano le redini della casa comune. In quella casa, pacifica ed egualitaria, donne e uomini sarebbero finalmente parte integrante. Ringrazio in ogni caso Angelo Gaccione di avermi lasciata libera di esprimere pubblicamente il mio dissenso come premessa alla lettura di poesia e di ospitare ora questo breve articolo su “Odissea”.



La mia posizione oggi è quella di riservare pari dignità a donne e uomini e di organizzare iniziative miste (50% e 50%), come una madre attenta presterebbe uguale attenzione ai propri figli maschio e femmina. Vorrei anche sgombrare il campo da obiezioni che mi vorrebbero naif: è evidente che quando invito le donne a “prendere in mano le redini della casa comune” non mi riferisco a quelle donne identificate con i paradigmi di dominio patriarcali (le Meloni, le von der Leyen, le Lagarde), e pertanto cooptate dal sistema di potere patriarcale, poiché funzionali quanto e forse più degli uomini. Anche se è vero che grandi passi avanti sono stati fatti quando si è creato un fronte trasversale tra le donne al potere, vedi il reato di stupro come violenza contro la persona (e non più come offesa alla moralità pubblica), oppure il recente invito della regista Cortellesi a Schlein e Meloni a intervenire contro il femminicidio (chissà se darà i suoi frutti…). Ad ogni modo, oltre il dato della mera biologia, quel che conta sono i paradigmi psico-antropologici di cui siamo portatrici/ portatori, per esempio se aderiamo al paradigma cooperativo o a quello competitivo che ci porta dritto dritto alle guerre, perché è certamente un approccio cooperativo alla costruzione della pace che può sottrarci alla guerra. 



In questo senso esiste anche una minoranza di uomini illuminati che possono contribuire a un cambio di paradigma, sempre che abbiano un occhio rivolto al basista che è dentro di loro (vedi pacifisti in piazza e dominanti in famiglia). Altrettanto dovremmo essere allertate/i dall’insofferenza di qualche uomo pur di buone intenzioni verso le “serate tutte al femminile”, che probabilmente è disturbato dal vedere estromessi gli uomini da temi fortemente identitari come la poesia civile o la resistenza. Si può, cioè, essere critici verso le “serate tutte al femminile” da posizioni progressiste o conservatrici, soprattutto se il signore in questione, giunto al tavolo dei relatori per il suo intervento, non si rende conto che si rivolge sistematicamente al suo interlocutore uomo, dando continuamente le spalle all’interlocutrice donna. 


Colin Crouch

A dispetto delle profusioni teoriche a favore delle donne, le modalità patriarcali persistono, passando spesso inosservate attraverso la prassi organizzativa e il linguaggio non verbale, solo che oggi ci si fa più caso.
E proprio perché oggi si comincia a far luce sui paradigmi profondi di una civiltà, la stessa ‘poesia civile’ si amplia oltre la sua portata storica di denuncia della politica nazionale che rischierebbe di attardarsi in una poesia celebrativa chiusa nel ‘900, per abbracciare una più vasta accezione di ‘critica della civiltà’. Oggi che il sistema lobbistico mondiale agisce al di sopra delle nostre teste con decisioni che stravolgono il nostro assetto antropologico (pericolosamente proiettato verso il transumanesimo), una poesia di critica della civiltà è chiamata a trascendere i confini politici nazionali ed estendere i suoi orizzonti alla sociologia e all’antropologia del nuovo globalismo, alle oligarchie colluse e ai fenomeni di post-democrazia come già denunciato vent’anni fa dal politologo britannico Colin Crouch. E a poeti e poete con un piede nell’infinito aion, possiamo chiedere di abbracciare con lo sguardo la complessità della civiltà.