CREARE L’ALTERNATIVA
di Franco Astengo
All’Italia manca una visione internazionale della politica
industriale, vista essenzialmente dal punto di vista dell’innovazione
tecnologica e di prodotto, mentre si paga a caro prezzo l’adeguamento dei diversi
governi alla politica di finanziarizzazione dell’economia e la subalternità ad
un capitalismo che tutto ha in mente meno che la produzione industriale e che
nel caso ritenga di occuparsene (vedi FIAT) lo fa semplicemente nell’ottica
della negazione dei diritti dei lavoratori e della distruzione della
rappresentanza sindacale.
Siamo di fronte ad una situazione di crisi strutturale di un
intero modello di sviluppo, acuita dalle condizioni internazionali considerate
sia al riguardo delle manovre finanziarie (tanto care al governo Renzi), della
tecnologia, degli approvvigionamenti energetici, delle infrastrutture. L’Italia
soffre in particolare di questo stato di cose per un motivo molto preciso, non
derivante semplicemente dall’accumulo del debito pubblico e dalla scarsa
credibilità a livello internazionale: questi due elementi hanno portato, negli
ultimi tempi, all’esasperazione di politiche neo-liberiste, molto aggressive
sul piano ideologico, che hanno fornito un esito del tutto disastroso come dimostrano
tutti gli indicatori economici in nostro possesso, sia in riferimento ai temi
di dinamiche economiche interne, sia in riferimento agli elementi fondamentali
di vincolo esterno. Esiste un’alternativa? :in
questo senso, molto schematicamente, credo debbano essere individuate della
priorità di contenuti da esprimere partendo, dal punto di vista politico, da un
ruolo di opposizione di tipo “sistemico”. In
questo senso appaiono centrali e assolutamente prioritarie le drammatiche
vicende legate al progressivo processo di ulteriore de-industrializzazione in
atto nel nostro Paese che chiamano a una riflessione attorno alla possibilità
di avanzamento di una proposta di politica economica tale da rappresentare
un’alternativa, aggregare soggetti, fornire respiro a un’iniziativa “di
periodo”. Il concetto di fondo che è
necessario portare avanti e rilanciare è quello della programmazione economica,
combattendo a fondo l'idea che si tratti di uno strumento superato, buono
soltanto – al massimo – a coordinare sfere private fondamentalmente
irriducibili.
Una programmazione economica condotta con riferimento alla
necessità di “rompere l’Unione Europea” avendo al centro l’idea dell’intervento
pubblico in economia attorno ad alcuni fondamentali campi d’intervento:
1) Il territorio. Serve un piano straordinario per il
ripristino dell'assetto idro-geologico del territorio che va franando
dappertutto, dal Nord al Sud, sulle coste e nell'entroterra. Eguale urgenza ha,
ovviamente, il tema della difesa dell'ambiente nel suo complesso, dello
smaltimento dei rifiuti, della cementificazione;
2) Le infrastrutture. La situazione delle ferrovie italiane è
semplicemente disastrosa, così come quello delle strade e autostrade, in
particolare al Sud;
3) Il nodo energetico, non risolvibile, ovviamente, con un ritorno
al nucleare;
4) Il finanziamento della ricerca destinata soprattutto verso
l’innovazione di processo nell’industria;
5) Il rilancio del settore industriale. La Fiat ha potuto
esercitare il suo ricatto (trasferendo tra l’altro in giro per il mondo le sedi
finanziarie e del know-how) perché questo Paese è privo, da anni, di politica
industriale. Siamo, per varie ragioni, pressoché privi di siderurgia, chimica,
agroalimentare, elettromeccanica, elettronica. In questa situazione ormai sono
asfittici e sottoposti al processo di delocalizzazione anche quei settori “di
nicchia” sui quali si era basato lo sviluppo anni'80- anni'90;
6) Il rientro della programmazione pubblica nel settore
bancario, con l’obiettivo principale del credito nella media e piccola
industria
7) La messa all’ordine del giorno di forti investimenti sul
terreno del rapporto tra pezzi fondamentali della struttura industriale
esistente e la difesa dell’ambiente. Un tema emblematizzato, come è giù stato
ricordato, non soltanto dalla vicenda dell’ILVA Taranto che, comunque, ha messo
in luce anche altri limiti di fondo posti sul piano delle dinamiche nel
processo produttivo in settori fondamentali.
Si tralasciano per motivi di economia del discorso, i temi dell’intreccio
inedito che si sta realizzando, ormai da qualche anno, tra struttura e
sovrastruttura, in particolare nell'informazione: si tratta comunque di un tema
assolutamente decisivo nella lotta sociale e politica di oggi. Come
può essere possibile avviare un programma di questo tipo nelle condizioni di
direzione capitalistica del ciclo globale dentro cui, oggettivamente, ci stiamo
troviamo? È necessaria una sinistra che
intenda portare avanti un programma di opposizione e di alternativa, senza
cadere nella trappola dell'omologazione ai modelli dell’avversario e senza
legarsi a settori politici dai quali possono venire soltanto elementi di
ulteriore sopraffazione per il movimento operaio. Si ha il dovere di pensare, appunto, nei termini
dell'opposizione per l’alternativa, lavorando prima di tutto sul tema della
propria autonomia politica, programmatica, organizzativa. Il tutto portato avanti con la lotta operaia
dell’affermazione dei diritti negati e della dignità del lavoro, come si sta
dimostrando con gli scioperi di questi giorni.