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martedì 21 novembre 2023

CREARE L’ALTERNATIVA
di Franco Astengo


 
All’Italia manca una visione internazionale della politica industriale, vista essenzialmente dal punto di vista dell’innovazione tecnologica e di prodotto, mentre si paga a caro prezzo l’adeguamento dei diversi governi alla politica di finanziarizzazione dell’economia e la subalternità ad un capitalismo che tutto ha in mente meno che la produzione industriale e che nel caso ritenga di occuparsene (vedi FIAT) lo fa semplicemente nell’ottica della negazione dei diritti dei lavoratori e della distruzione della rappresentanza sindacale.
Siamo di fronte ad una situazione di crisi strutturale di un intero modello di sviluppo, acuita dalle condizioni internazionali considerate sia al riguardo delle manovre finanziarie (tanto care al governo Renzi), della tecnologia, degli approvvigionamenti energetici, delle infrastrutture. L’Italia soffre in particolare di questo stato di cose per un motivo molto preciso, non derivante semplicemente dall’accumulo del debito pubblico e dalla scarsa credibilità a livello internazionale: questi due elementi hanno portato, negli ultimi tempi, all’esasperazione di politiche neo-liberiste, molto aggressive sul piano ideologico, che hanno fornito un esito del tutto disastroso come dimostrano tutti gli indicatori economici in nostro possesso, sia in riferimento ai temi di dinamiche economiche interne, sia in riferimento agli elementi fondamentali di vincolo esterno. Esiste un’alternativa? :in questo senso, molto schematicamente, credo debbano essere individuate della priorità di contenuti da esprimere partendo, dal punto di vista politico, da un ruolo di opposizione di tipo “sistemico”. In questo senso appaiono centrali e assolutamente prioritarie le drammatiche vicende legate al progressivo processo di ulteriore de-industrializzazione in atto nel nostro Paese che chiamano a una riflessione attorno alla possibilità di avanzamento di una proposta di politica economica tale da rappresentare un’alternativa, aggregare soggetti, fornire respiro a un’iniziativa “di periodo”. Il concetto di fondo che è necessario portare avanti e rilanciare è quello della programmazione economica, combattendo a fondo l'idea che si tratti di uno strumento superato, buono soltanto – al massimo – a coordinare sfere private fondamentalmente irriducibili.



Una programmazione economica condotta con riferimento alla necessità di “rompere l’Unione Europea” avendo al centro l’idea dell’intervento pubblico in economia attorno ad alcuni fondamentali campi d’intervento:
1) Il territorio. Serve un piano straordinario per il ripristino dell'assetto idro-geologico del territorio che va franando dappertutto, dal Nord al Sud, sulle coste e nell'entroterra. Eguale urgenza ha, ovviamente, il tema della difesa dell'ambiente nel suo complesso, dello smaltimento dei rifiuti, della cementificazione;
2) Le infrastrutture. La situazione delle ferrovie italiane è semplicemente disastrosa, così come quello delle strade e autostrade, in particolare al Sud;
3) Il nodo energetico, non risolvibile, ovviamente, con un ritorno al nucleare;
4) Il finanziamento della ricerca destinata soprattutto verso l’innovazione di processo nell’industria;
5) Il rilancio del settore industriale. La Fiat ha potuto esercitare il suo ricatto (trasferendo tra l’altro in giro per il mondo le sedi finanziarie e del know-how) perché questo Paese è privo, da anni, di politica industriale. Siamo, per varie ragioni, pressoché privi di siderurgia, chimica, agroalimentare, elettromeccanica, elettronica. In questa situazione ormai sono asfittici e sottoposti al processo di delocalizzazione anche quei settori “di nicchia” sui quali si era basato lo sviluppo anni'80- anni'90;
6) Il rientro della programmazione pubblica nel settore bancario, con l’obiettivo principale del credito nella media e piccola industria
7) La messa all’ordine del giorno di forti investimenti sul terreno del rapporto tra pezzi fondamentali della struttura industriale esistente e la difesa dell’ambiente. Un tema emblematizzato, come è giù stato ricordato, non soltanto dalla vicenda dell’ILVA Taranto che, comunque, ha messo in luce anche altri limiti di fondo posti sul piano delle dinamiche nel processo produttivo in settori fondamentali.
Si tralasciano per motivi di economia del discorso, i temi dell’intreccio inedito che si sta realizzando, ormai da qualche anno, tra struttura e sovrastruttura, in particolare nell'informazione: si tratta comunque di un tema assolutamente decisivo nella lotta sociale e politica di oggi. Come può essere possibile avviare un programma di questo tipo nelle condizioni di direzione capitalistica del ciclo globale dentro cui, oggettivamente, ci stiamo troviamo? È necessaria una sinistra che intenda portare avanti un programma di opposizione e di alternativa, senza cadere nella trappola dell'omologazione ai modelli dell’avversario e senza legarsi a settori politici dai quali possono venire soltanto elementi di ulteriore sopraffazione per il movimento operaio. Si ha il dovere di pensare, appunto, nei termini dell'opposizione per l’alternativa, lavorando prima di tutto sul tema della propria autonomia politica, programmatica, organizzativa. Il tutto portato avanti con la lotta operaia dell’affermazione dei diritti negati e della dignità del lavoro, come si sta dimostrando con gli scioperi di questi giorni.