Diario
civile. Carlo,
è un bel pezzo avanti. Fra il dire e il fare, ha scelto il fare. Mi racconta di
Genova, due venerdì fa. In sei sono venuti da Firenze a dar mano ai portuali. I
portuali! Una categoria che non ha fatto mancare voce e braccia, in questi
anni! Ricordo Trieste quando seduti per terra in religiosa protesta tipicamente
nonviolenta hanno sopportato - da forze del (dis)ordine fin troppo
zelanti - la graziosa benedizione degli idranti. Difendevano il diritto a
disporre liberamente del proprio corpo. Difendevano il diritto a non farsi
visitare da sostanze sconosciute, ancora oggi coperte da segreto militare. Era
solo due anni fa. Ricordo Pisa, quando altri portuali, aeroportuali questi, si
rifiutarono di caricare armi e
munizioni dirette in Ucraina,
generosamente donate ai massacri da una Repubblica irriconoscibile, con danno
erariale e costituzionale, senza interpellare il popolo. Era solo un anno e
mezzo fa. E Carlo, dunque, il 10 novembre era a Genova, a interrompere insieme
a quei portuali un altro allegro traffico di strumenti di morte, il trasporto
di armi da parte di Zim Integrated Shipping Services (Zim), la compagnia
marittima israeliana che - leggiamo - si è messa a disposizione per trasportare
armi verso il nuovo teatro di massacri del Vicino Oriente. Gli ho chiesto di
mandarmi qualche foto.
Ho
incontrato Carlo lì, oggi pomeriggio, davanti a Palazzo Vecchio, dove manifestavo
con la scusa (sì, perché è davvero una scusa, vista la premura che dimostra
quel consesso) della seduta del Gran Consiglio comunale di Firenze. Dal
quale nessuna voce si è levata - che io sappia - a sostegno della lettera
pubblica inviata nove giorni fa al signor sindaco, e per opportuna conoscenza a
tutti i gruppi consiliari. Men che meno sono arrivati riscontri dal ‘primo
cittadino’. Al cospetto del quale, si sa, il cittadino semplice non può davvero
pretendere buona educazione istituzionale: c’è ben altro di cui occuparsi in
Sala Clemente VII! Lo confermano alcune voci ‘interne’ al Palazzo che quegli
ambienti conoscono: e per chi lo scrive a colori sui cartelli, in educata forma
di domanda, simpatizzano. ‘Una letterina al sindaco. Che naturalmente non
risponde, giustamente: siamo ad altri livelli’, suggerisco. ‘Sta di molto dietro
ma… ad altre bischerate!’, sintetizza questa simpatica signora in vena di
confidenza. Passano
ogni tanto, riconoscibili dal portamento superbo, dall’abbigliamento ricercato,
dal picchiettio dei tacchi, uomini e donne del Palazzo. Possibilmente concentrati
a consultare il loro aggeggio smart, sovranamente indifferenti al contorno
plebeo che li circonda. Due volte, anche, una candidata sindaco. Ma con loro,
l’abbiamo detto, non c’è storia.
‘In
italiano o in ìnglisc?’ ‘In
italiano’, replica questa bella coppia di ragazzi. ‘Bene,
allora eccola. È una letterina al nostro caro sindaco per dirgli se fa
qualcosa’. ‘Grazie!’ ‘E
questo è il simbolo di dove vorremmo arrivare: un bambino palestinese che
abbraccia una bambina israeliana. E fatela finita, voi ‘grandi’,con tutte queste storie! Di dove siete,
veneti?’ ‘No,
Brescia’. ‘Ah,
la leonessa, la leonessa d’Italia!’ ‘Posso
farti una foto?’, fa lei. ‘A’
voglia! Anzi, se poi me la mandi anche… così la metto su Facciabbùho.’ ‘Su…?’ ‘Facciabbùho,
si dice a Firenze: Facebook.’ Lei
paziente, segna l’indirizzo. ‘E
io ho incontrato…?’ ‘Alessandro.
E Anna.’ ‘E
stasera scriverò che ho visto Alessandro e Anna, leoni d’Italia, eh?’ Ridono. ‘Ciao,
buona giornata!’ Tre
ragazze dell’alberghiero ‘Saffi’. Belline, ascoltano con attenzione. Il
messaggio è: ‘Regalare il Salone dei Cinquecento ai giovani del mondo per
discutere di questa cosa, senza i governi. Solo le persone, quelle vere, il
volontariato, le associazioni. Ma lì, il sindaco, non risponde!’ E mimo
l’invito al silenzio: inarco le sopracciglia, mi metto l’indice sulla bocca e….
sibilo. Ridono. ‘Ciao, grazie!’ ‘Can I give you this letter in English
to our Mayor?’ Mi
guarda, prende il volantino, ma prima di andare fa: ‘How did you know I was American?’ ‘Well…
I guessed…’ ‘A
good guess!’, saluta ridendo anche lui.
Ma
c’è anche lei, questa alta donna, semplice e signorile, abbigliamento
moderatamente islamico. Staziona davanti all’ingresso laterale a una mostra,
accanto al Biancone, come in attesa di qualcosa o di qualcuno. Abbastanza
lontana. E tuttavia intenta a decifrare il cartello che porto. Sì,
penso che posso avvicinarmi a lei senza correre il rischio di apparire
importuno. Le
sorrido. Ha un bel viso. E un’espressione triste. Le
porgo il volantino. ‘Can I give it to you in English? It’s
a letter to our mayor’. ‘Thank
you very much’. Non dice altro, lo sguardo dice tutto. Torno
a sorriderle, amaro. ‘He
hasn’t heard, of course’, è il solo commento che mi sembra giusto fare. Lei,
ha capito. Ha capito in partenza, credo. Torna a guardarmi con
quell’espressione delicata e triste. Non aggiungo altro: un sentimento così
vivo di vicinanza merita un meditato silenzio. Una
reazione simile, mi arriva da quest’uomo di Gerusalemme. Che però non esita, ma
con grande garbo, a tradurre in parole il suo sentimento. Quando mi avvicino
per proporgli il volantino, ‘I’m Palestinian’, mi fa, come schermendosi. ‘Sì’,
gli dico, ‘è in inglese per te! È sulla vostra vicenda!’ ‘Grazie’,
dice, ‘vengo da Gerusalemme!’ ‘Capisco…
noi, noi vorremmo che succedesse questa cosa qui, che ci insegano i bambini.’ Disincantato:
‘Magari!’, replica, ‘Ma non credo che sia questo il futuro che ci aspetta…’. ‘Ma
bisogna provarci! Chiamare il mondo e aprire una palestra di ascolto: ecco cosa
proponiamo! Perché tocca al mondo risolverla, questa tragedia. Le persone, non
questi governi!’ ‘Hai
ragione. E non certo continuando a ammazzarsi!’, sospira. ‘Ma non sono
ottimista…’ ‘Se
hai notizie buone, scrivici qui!’ ‘Grazie
e buona fortuna!’
Ecco,
se anche non sapessi nulla della storia di questi ultimi 75 anni, gli ultimi
due incontri mi hanno consegnato il risultato più vero, e più terribile. Ostinatamente
continuo a dire a me stesso che è l’ora di finirla! I bambini sanno la strada,
come il ‘piccolo principe’ di Saint-Exupéry. Ammainiamo le nostre stupide
bandiere di adulti disseccati dai facili odi e dai cattivi ricordi: “Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai
grandi”, osserva il
‘piccolo principe’.“I
grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli
tutto ogni volta.” Ecco:
cerchiamo di non stancarci!