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sabato 16 dicembre 2023

BARBARIE
di Alberto Figliolia


Kevin Carter

Si sta avvicinando il Natale
 
Anni fa in terra africana… un bambino denutrito (o una bambina) - forse dopo la devastazione del suo villaggio per opera di una banda di predoni (ah la fedele compagnia di guerra e carestia! - un bambino che si trascina carponi nella polvere. Alle sue spalle un avvoltoio in attesa di cogliere il momento più propizio per il proprio pasto. Innanzi al piccolo un giornalista e fotografo, un grande fotografo, Kevin Carter, uomo di rarissima sensibilità, di ipersensibilità diremmo (era anche un attivista di diritti umani), aspetta; aspetta il momento migliore per scattare una foto (la Foto…): il bambino, la polvere, l'avvoltoio, gli orrendi segni della fame, la povertà estrema, la disperazione in ogni fibra, il dolore senza fine, la pena che ottunde… Dopo un certo lasso di tempo Kevin realizza l'immagine che desidera, che ha pensato. Quindi prova a soccorrere il bambino. Dopodiché si ritira - avrebbe dopo confessato - nella vicina boscaglia a piangere a dirotto. Quello scatto gli farà vincere il Pulitzer. Tempo dopo, e dopo feroci polemiche e accuse da parte di alcuni (perché non aveva soccorso subito il bambino; ma altri lo avevano difeso: un medico di frontiera un giorno gli aveva detto… Fai il tuo mestiere; tu devi documentare…), Carter si suicida: recatosi in auto sul greto del fiume della sua città, collega il tubo di scappamento all’abitacolo. Lui è dentro. Muore soffocato dal monossido di carbonio. Soprattutto soffocato da un senso di colpa immane. Soffocato da accuse implacabili. Gli occhi di Kevin Carter avevano visto troppe atrocità. Aveva solo trentatré anni. L’esistenza era per lui divenuta un peso insostenibile. Invero Kevin è stato ucciso dalla crudele stupidità dell'uomo che fa la guerra e costringe i bambini a trascinarsi, a strisciare nella polvere, sovente a morire, che sia per fame, sete, malattie o bombe. Quel bambino tuttavia si era - così pare - salvato. Per altre indicibili sofferenze, in uno stato di abbandono eterno? Guardando quella foto, e studiata quella storia che mi ha molto scosso, ho scritto quanto segue:
 


Vigilia di Natale  
 
Che amara ironia in questo Natale...
Che cosa è divenuto il Natale, ogni Natale
che ci viene elargito,
che ci viene imbonito,
che ci viene imbandito?
 
Ancora ieri c'è stato un terremoto,
ma Cristo non è nato né risorto
se non nello sguardo
di un bambino
che si trascinava carponi:
in cerca di un sorso d'acqua
nell'assurda orba levità del giorno
che si levava e calava
come spada di vendetta.
 
Alle spalle del grappolo di stracci,
oltre la geografia delle ossa,
oltre la pianura della pelle rugosa
in cui il bambino era mutato,
grumo di dolore senza più rancore,
un avvoltoio e un fotografo,
ambedue pronti a carpirne
l'immagine mortale.
 
Cristo è nello sguardo di quel bambino,
soltanto in quell'ultimo sguardo.