Come Gino Cecchettin il padre di
Giulia, non so pregare, ma a differenza sua non so nemmeno sperare. Uso per l’ennesima
volta parole di Langer per dire perché, “troppa la distanza tra ciò che si
proclama e ciò che si riesce a compiere”. Una breccia nel mio pessimismo la
apre in verità la figura di questo padre, che senza la tragedia che lo ha
portato a conoscenza del paese intero, in tutta la sua contagiosa dignità,
sarebbe rimasto un anonimo cittadino. Si può forse sperare che gli anonimi Gino
Cecchettin siano moltitudini in questo paese, e soprattutto sperare che la loro
dignità emerga e si coaguli senza che simili tragedie debbano fare da
catalizzatore. Che siano moltitudini, nonostante il mio pessimismo, riesco anche
a crederlo, che la loro dignità emerga e si coaguli, fatico anche a sperarlo.
Cecchettin nel suo saluto a Giulia ha citato una poesia di Gibran, in cui si
legge il verso, “il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è”, verso che
mi ha commosso e anche rimandato ad un altro poeta, Erich Fried, che nella
poesia “È quel che è” ci offre questa verità: “È assurdo dice la ragione/È quel
che è/dice l’amore/È infelicità/dice il calcolo/Non è altro che dolore/dice la
paura/È vano/dice il giudizio/È quel che è/dice l’amore/È ridicolo/dice l’orgoglio/È
avventato dice la prudenza/È impossibile dice l’esperienza/È quel che è/dice l’amore.” Vittorio Melandri