Diario Civile. Uggia. Tempo uggioso. Quel
freddo piovoso che ti passa nelle ossa. Ne sono uscito intirizzito mezz’ora
prima delle quattro che camminavo come un papero: le articolazioni della coscia
indurite, l’ombrellino lasciato a casa, strisciando rasente i palazzi, sotto le
tettoie, fino alla mesticheria adorata in Borgo Santi Apostoli: e via uno di
quegli stupidi sottilissimi impermeabili che fanno tanto
yankee-Europe-5-dollars-a-day. Non c’è stato il tempo di fare uno scatto in
qualche modo rappresentativo, con questo tempaccio. Ma arrivando a piedi dal
ponte Santa Trinita avevo scorto in via Porta Rossa questa vetrina: un buon
surrogato, mi pare, tragicamente in tema con questi turpi giorni di guerra in
Terrasanta. Stazionando poi lì davanti
alla Porta della Dogana, da ben quattro vigili - anzi tre vigili e una
vigilessa – ho ricevuto simpatica prova della straordinaria varietà con cui in
divisa si interpretano le norme. Siccome ha cominciato subito a pioviscolare,
ho osato ripararmi all’interno del Palazzo, dove tanti altri visitatori
imprudenti come me aspettavano che Giove diventasse un po’ più… inclusivo. E
invece no. E allora, appunto, ho varcato la soglia di via dei Gondi. Poco dopo
un primo vigile mi si avvicina e, garbatamente: ‘Bisognerebbe che stesse
fuori…’ ‘È che…piove!’ ‘Ho capito, però…!’ Il senso è chiaro: torno
sulla soglia. Dopo un po’, anche perché
aumentano i rifugiati, ci riprovo, a spingermi dentro. E anzi, visto che
siccome tira un vento freddo birbone perché questa porta fa riscontro con
quella opposta di via della Ninna… mi sono spinto più dentro. Arriva un secondo vigile:
‘Salve!’ ‘Gliel’ho dato a lei
questo?’, e provo col volantino. Lui, cordiale: ‘Sì, sì,
sì, ce l’ho’ Lo anticipo: ‘Sto un
attimino qui dentro che piove…’ ‘Sì, ha ragione, però… non
è perché la voglia tener fuori, ma magari… stia un po’ più in là, sulla porta.’ ‘È che c’è una…
ventilazione!’ E lui, caldo paterno: ‘Si
metta più da questa parte’, e mi indica un angolo più riparato.
Intanto ho fatto conoscenza
di queste due belle giovani pugliesi. Di Barletta. Non lontano dalla cittadina
delle mie vacanze estive da bambino, dai nonni paterni, Bisceglie. Sono in
visita di piacere a Firenze. ‘Cosa studiate?’ ‘Lavoriamo.’ ‘Ah! E cosa?’ ‘Io nella musica’, dice
una. ‘Ah, bello! Di che tipo?’ ‘Mixo vinili’. Mi ci vuole
un po’ a capire, confesso. Però va benissimo: ‘Bello! e tu?’ ‘Estetista.’ Insomma, c’è tempo di
spiegare in cosa consiste invece l’estetica politica della contemporanea culla
del Rinascimento e della Pace, e di condividere che, se anche la fanno, questa
alta velocità, a rimetterci sono sempre e solo i pendolari! ‘Speriamo bene…’,
salutano. Poi incontro due persone
che qui dentro, nel Palazzo, ci lavorano. Non hanno peli sula lingua. Ma
proprio per questo non le chiamerò col loro nome. ‘Ah, guardi, non c’è
bisogno, mi blocca subito Giuditta. ‘Io sono perfettamente d’accordo a non
bucare Firenze. Si possono fare le stesse cose in superficie spendendo molto
meno. Me l’hanno detto amici ingegneri.’ ‘Purtroppo il problema è
proprio quello: girano meno soldi.’ ‘E bucando per terra non
si sa che cosa succede: ci può capitare di tutto. Speriamo bene… fate bene a
dare informazione. Questi volantini li porto a casa, me li conservo tutti!’ ‘E adesso sa anche dove
trovarci!’ ‘Qui dentro che
delusione!’, confessa triste Silvia. ‘Quando arrivano lì… i Cinque Stelle
insegnano! La politica è diventata il mestiere più redditizio. Quelli giovani,
poi, anche peggio: loro pensano veramente solo al tornaconto. Una volta
inseriti, scalano l’Europa: adesso è quello il traguardo!’ La saluto con un bacio. Lo
prende forse come un ‘Buon Natale’, e risponde con un ‘Auguri! ma… c’è poca
speranza’. Questa coppia di
visitatrici viene una dal Colorado e l’altra dalla Carinzia. Del Colorado non saprei
che dire. Ma della Carinzia, Klagenfurt! Gustav Mahler! ‘E Ingeborg Bachmann’, mi
suggerisce l’amica austriaca. ‘Grande poetessa, morta a Roma nel 1973. È
importante conoscerla!’ Me lo faccio ripetere, il
nome: andrò a cercarla. Loro intanto muoiono dalla
voglia di visitare il Salone dei Cinquecento: proprio quello che sta nella
nostra proposta per la riconciliazione in Terrasanta. Se mai qualcuno la
prenderà in considerazione.
Ma siamo arrivati ai due
vigili che ancora mancavano. Confortato dalla cortesia
del collega precedente, son rimasto dentro, ma molto vicino al portone. Il
primo è carino: saluta. Risaluto. Tutto a posto! Anzi no, perché adesso
arriva lei, la mia passione. Ho avuto la fortuna di apprezzarne le maniere ai
tempi dei dialoghi di strada sulla ‘tessera verde’. Quanto tempo ci fece
graziosamente passare bloccati in via Tornabuoni, in quella fredda serata di
gennaio dell’anno scorso, arrivando a scomodare i ragazzi della Digos: dovettero
venire apposta lì a confermarle che sì, era proprio vero, noi eravamo
autorizzati a quella tranquilla civilissima manifestazione. E non costituiva
reato proporre ai passanti
la metafora di Einstein e la bomba atomica, e alcuni estratti della Carta
costituzionale del 1948. Ecco: mi vede e… ‘Lui? Fòri, fòri! No!’ ‘Piove!’, imploro. ‘Eh! Vada a casa! Qui
dentro no davvero!’ ‘Lei come al solito è
sempre molto molto gentile!’ ‘Io son sempre gentile… son
proprio…’ ‘Me la ricordo bene...’ ‘Ma lei fa bene a
ricordarsene. Però, qui dentro Palazzo Vecchio, no! Lei ci ha Via dei Gondi… si
mette sotto quell’altra tettoia là di fronte, dove non viene l’acqua…’ È vero, c’è un angolo
protetto. Fuori mano, fuori visibilità, ma che importa? Per la Patria, questo e
altro! ‘Ha ragione, ha ragione…’,
la conforto. ‘Certo ci ho ragione!’,
chiude. Però, dai, non
prendertela. Sta per arrivare il meglio. ‘Assessore Funaro, lei
conosce questo documento?’, e le porgo la nota firmata Marisa Cesario. Questa
volta il passo non è abbastanza frettoloso. Sarebbe una grave scortesia
rifiutarlo. E infatti, sì, lo accetta, e senza fermarsi replica: ‘Conosco!’, e fila via. ‘Bene!’ Dunque, nel Palazzo, ai
piani alti, si sa! Adesso ci sono persino le prove! Chissà se se ne è parlato,
in queste ore, all’assemblea di partito che stasera aveva da decidere la
prossima candidatura a sindaco di Firenze, dove lei, l’assessore Sara Funaro,
veniva data favorita. O l’avrà spuntata la concorrente Cecilia Del Re, che
invoca le primarie in ossequio a quel metodo partecipativo a cui - con
tutta la giunta Nardella - tanto affezionata si è mostrata al tempo della vexata quaestio della ghiotta
trasformazione urbanistica accordata a ridosso del giardino di Boboli? La Del
Re era assessore a praticamente tutto (urbanistica, ambiente, agricoltura
urbana, turismo, fiere e congressi, innovazione tecnologica, sistemi
informativi, coordinamento progetti Recovery Plan, smart city, piano gestione
Unesco).
Il finale è comico. Mi è venuto diretto
davanti. ‘Buongiorno. Vuol soldi?’ ‘No. Offro informazione e
basta. Fra l’altro, un bel documento, se lei è di Firenze’ e gli porgo la
lettera del Comando dei Vigili del Fuoco. Lo squadra ben bene, lo volta e legge
anche tutta la tiritera scritta dietro, mentre io cerco di dare qualche notizia
in più di contorno. Se lo gira e se lo rigira più volte fra le mani, fa domande
anche pertinenti. ‘E Nardella lo sa?’ ‘Sì, lo sanno tutti. Anche
il prefetto, e fanno finta di niente… Il prefetto nonci riceve. Abbiamo chiesto un colloquio da
mesi: niente. Domani mi metto sotto la prefettura. Reciterò… ‘Col megafono?’ ‘No, a voce. Reciterò quel
pezzo di Kafka, ‘Davanti alla legge’, che inquadra un certo tipo di rapporto
fra potere e cittadini’. Ecco. A questo punto uno
tutto si poteva aspettare meno che… vederlo fare tranquillamente una bella
pallina del volantino e scaricarla nel bidone della nettezza qua accanto. Ma è educato: ‘Lo saluto e
arrivederci!’ Il mondo è bello perché è
davvero molto vario!