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domenica 21 gennaio 2024

LA MIA MILANO
di Carla Maria Baroni


 
Il libro di Gaccione è un canto d’amore per la città
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Mi ha molto colpito, nell’introduzione dell’autore, la considerazione che con la perdita della lingua dialettale perderemo la forza espressiva e le caratteristiche che connotano una comunità. Ma quando è esistito un senso di comunità a Milano? Molto probabilmente quando era un libero Comune che combatteva contro Federico Barbarossa; sicuramente durante le 5 Giornate del 1848 quando tutti e tutte, i nobili, gli intellettuali, il popolo, uomini e donne e perfino i ragazzi, i Martinitt, lottarono compatti/e contro la dominazione austriaca. Ma sia la Milano del XII secolo sia quella del 1848 erano piccole città, omogenee come etnia, salvo ovviamente gli invasori di turno, costrette a cimentarsi contro un pericolo immediato e letteralmente alle porte o addirittura dentro casa. Ma la Milano odierna, di 1.400.000 abitanti, di moltissime etnie diverse, con disuguaglianze assai marcate dal punto di vista socioeconomico, in una fase storica in cui si ha coscienza di queste disuguaglianze, come può costituire una comunità, che si parli o non si parli la lingua dialettale? Ciononostante è fondamentale fare di tutto, con iniziative culturali apposite, per non perdere completamente la ricchezza e l’incisività di una lingua che fino alla prima metà del secolo scorso era parlata da tutte le classi sociali, prima della massiccia immigrazione dal Sud Italia e poi dell’arrivo di molte migliaia di persone dai vari continenti. Ma senza illudersi che ciò possa costituire “comunità”. Oltre a tutto Milano è assai diversificata nelle sue attività, come è ovvio che sia una metropoli contemporanea, ed è connessa in rete con l’intero pianeta. A mio parere non può assolutamente più costituire una comunità.



Milano oggi è molte cose: è la città della Borsa e della finanza, della moda, del design, delle sedi italiane delle multinazionali, delle grandi case editrici; è città universitaria (con le sue 8 università alcune delle quali di rilievo internazionale), è città ospedaliera, con la presenza dei grandi ospedali pubblici e dei protervi gruppi della sanità privata; è stata città delle cascine e delle acque interne e poi è stata città delle fabbriche, di cui rimangono vestigia qua e là.
Ed è anche città d’arte: il principale pregio del libro di Angelo Gaccione è a mio parere di aver portato alla ribalta questo aspetto di Milano, generalmente ignorato dai più. Sono innumerevoli le pubblicazioni, soprattutto fotografiche, sulle chiese, sui musei, sui palazzi, sui monumenti, considerati singolarmente o nel loro insieme come categorie di beni culturali. Ma, a quanto mi risulti, La mia Milano è l’unico testo che narri la città complessivamente facendo perno proprio sull’importanza e sulla varietà delle arti delle varie epoche nella città: pittura, scultura, architettura, musica. Riguardo a quest’ultima, oltre a quanto avviene alla Scala e al Conservatorio Giuseppe Verdi, Milano è ricca di concerti che risuonano periodicamente in chiese e palazzi e Gaccione ne dà puntualmente notizia.



Se siete appassionati/e di arti figurative e soprattutto di pittura non potete non leggere La mia Milano prima di andare a visitare le numerosissime chiese, i molti musei e case museo che adornano la città. Si inizia infatti da Santa Maria della Passione e dalla sua Sala Capitolare con i quadri di Bernardino Luini, Gaudenzio Ferrari e Bergognone, e poi si passa ad altre chiese e alle abbazie di Chiaravalle e Viboldone. Poi c’è il Duomo, con la sua splendida abside e con la stupefacente statua di San Bartolomeo a opera di Marco d’Agrate. E poi ci sono Brera e la Pinacoteca Ambrosiana, a cui è dedicato un lungo capitolo. Oltre ai notissimi capolavori di Leonardo, Caravaggio e Tiziano e al cartone della “scuola d’Atene” di Raffaello è citato anche il ritratto di frate Paolo Morigia, intellettuale, saggista e testimone d’eccezione della Milano della seconda metà del Cinquecento e dell’inizio del Seicento, prima cioè della peste del 1630; ritratto dipinto dalla diciottenne Fede Galizia, notevolissimo per l’espressività del volto raffigurato e per le lenti affumicate degli occhiali, riflettenti “alla fiamminga”.
Per quanto riguarda l’architettura delle varie epoche – presente in città dalle colonne romane davanti a San Lorenzo a Palazzo Lombardia – il libro di Gaccione si spazia dalla splendida Ca’ Granda, ora sede principale dell’Università Statale, ai molti palazzi dei secoli successivi agli innumerevoli palazzi e case Liberty, troppo spesso sottovalutati e trascurati, nonostante la fantasia decorativa che per loro merito abbellisce la città. Non è possibile citarli tutti, se non la Palazzina Liberty, che era stata rigenerata da Dario Fo e da Franca Rame: dovete proprio leggere il libro e poi andare - libro alla mano - a cercare le meraviglie narrate.



Non mancano gli architetti e le opere del ’900 e del secolo in corso, come Palazzo Lombardia sede della Regione e quello dell’Unicredit in piazza Gae Aulenti; ma per trovare i soldi per costruire quest’ultimo palazzo furono licenziati 6.000 dipendenti (questo lo aggiungo io). E un’attenzione particolare viene rivolta alle fontane: oltre a quelle più note e ben visibili, Gaccione va meritoriamente a rintracciare quelle piccole e seminascoste. Su una fontana non sono d’accordo con lui: quella ai Marinai d’Italia, in corso XXII Marzo, che a lui non piace, mentre io trovo splendida la bronzea statua che si innalza sulla cresta di un’onda, opera di Francesco Somaini, che si ispira a una vittoria alata della Grecia classica.
Per le cascine viene dato rilievo a Cascina Linterno e a Cascina Chiesa Rossa, ora sede dell’omonima suggestiva Biblioteca: bisognerebbe aggiungere Cascina Cuccagna in Via Muratori; le cito per sottolineare che tutte e tre ora adornano e rendono viva la città con le loro iniziative culturali solo perché associazioni e comitati di cittadini e cittadine si erano impegnati a lottare per il loro recupero e riuso contro le ipotesi iniziali del Comune che voleva abbatterle.



Ma, come dicevo, La mia Milano è un libro complessivo sulla città, per cui spazia da luoghi caratteristici del passato e del presente, agli alberi e alle suggestioni della natura e ad attività contemporanee, ben note come il Teatro Officina e le sua attività in giro nelle periferie cittadine, e la Biblioteca degli Alberi, o assai meno note come la Biblioteca Ostinata e il condominio di Via Altaguardia.
Un solo appunto mi sento di fare ad Angelo Gaccione: nel suo libro si parla troppo poco delle donne di Milano, protagoniste in varie epoche della storia. Ad esempio viene ampiamente presentato il monumento a Cristina Trivulzio Belgioioso in piazzetta Belgioioso e non quello a Margherita Hack in largo Richini di fronte alla Cà Granda. Si parla – giustamente – di Ettore Modigliani, grande soprintendente di Brera, ma non di Fernanda Wittgens, che gli succedette e a cui si deve la rinascita di Brera dopo la Seconda guerra mondiale e il fatto di averla fatta conoscere all’intera cittadinanza con attività assolutamente innovative. Eppure Angelo Gaccione dimostra una certa sensibilità all’esistenza delle donne nell’arte e nello spazio pubblico attuale, per cui alcuni nomi e cognomi appaiono qua e là nel libro. Cito soltanto il fatto che attribuisce il monumento Ago, filo e nodo di Piazzale Cadorna a entrambi i coniugi Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, mentre quasi tutti lo citano come opera solo del marito, dell’uomo.



Angelo Gaccione è uomo di forte impegno civile, politico. Sono la stessa cosa: “civile” deriva dal latino e “politico” dal greco, ma a me piace sottolineare “politico” in quanto parola su cui molti storcono il naso ritenendola termine compromissorio con i partiti e le istituzioni, mentre “politica” è tutto ciò che riguarda la vita collettiva, la polis, in qualsiasi forma venga agita (partito, sindacato, movimento, associazione, comitato di base).
Per questo ne La mia Milano compaiono anche le lapidi degli eroi della Resistenza, il Campo della Gloria al Cimitero Maggiore, la targa sulla parte posteriore del monumento a Cristina Trivulzio Belgioioso dedicata alle donne a venire (pag. 178) e il Memoriale della Shoah con il suo Muro dell’ Indifferenza, che fornisce il destro alla citazione del famoso brano di Antonio Gramsci, “odio gli indifferenti” (pag. 200): quanto mai necessario da ricordare oggi, in una fase in cui l’indifferenza dei più consente a chi governa di portare il Paese allo sfascio.
In definitiva, a mio parere di milanese innamorata di Milano, il libro di Angelo Gaccione è un’opera importante, è un canto d’amore per la città, cantato in molte tonalità, che entra nella mente e nel cuore di lettori e lettrici e dovrebbe spingerli/e a prendersi cura di una città dalle molte luci ma anche dalle molte ombre, quali la continua speculazione immobiliare e la povertà diffusa nei quartieri popolari.
 
[Milano, 14 gennaio 2024]