Il
libro di Gaccione è un canto d’amore per la città. Mi
ha molto colpito, nell’introduzione dell’autore, la considerazione che con la
perdita della lingua dialettale perderemo la forza espressiva e le caratteristiche
che connotano una comunità. Ma quando è esistito un senso di comunità a Milano?
Molto probabilmente quando era un libero Comune che combatteva contro Federico
Barbarossa; sicuramente durante le 5 Giornate del 1848 quando tutti e tutte, i
nobili, gli intellettuali, il popolo, uomini e donne e perfino i ragazzi, i
Martinitt, lottarono compatti/e contro la dominazione austriaca. Ma sia la
Milano del XII secolo sia quella del 1848 erano piccole città, omogenee come
etnia, salvo ovviamente gli invasori di turno, costrette a cimentarsi contro un
pericolo immediato e letteralmentealle
porte o addirittura dentro casa. Ma la Milano odierna, di 1.400.000 abitanti,
di moltissime etnie diverse, con disuguaglianze assai marcate dal punto di vista
socioeconomico, in una fase storica in cui si ha coscienza di queste
disuguaglianze, come può costituire una comunità, che si parli o non si parli
la lingua dialettale? Ciononostante è fondamentale fare di tutto, con
iniziative culturali apposite, per non perdere completamente la ricchezza e
l’incisività di una lingua che fino alla prima metà del secolo scorso era
parlata da tutte le classi sociali, prima della massiccia immigrazione dal Sud
Italia e poi dell’arrivo di molte migliaia di persone dai vari continenti. Ma
senza illudersi che ciò possa costituire “comunità”. Oltre a tutto Milano è
assai diversificata nelle sue attività, come è ovvio che sia una metropoli contemporanea,
ed è connessa in rete con l’intero pianeta. A mio parere non può assolutamente
più costituire una comunità.
Milano
oggi è molte cose: è la città della Borsa e della finanza, della moda, del
design, delle sedi italiane delle multinazionali, delle grandi case editrici; è
città universitaria (con le sue 8 università alcune delle quali di rilievo
internazionale), è città ospedaliera, con la presenza dei grandi ospedali
pubblici e dei protervi gruppi della sanità privata; è stata città delle
cascine e delle acque interne e poi è stata città delle fabbriche, di cui
rimangono vestigia qua e là. Ed
è anche città d’arte: il principale pregio del libro di Angelo Gaccione è a mio
parere di aver portato alla ribalta questo aspetto di Milano, generalmente
ignorato dai più. Sono innumerevoli le pubblicazioni, soprattutto fotografiche,
sulle chiese, sui musei, sui palazzi, sui monumenti, considerati singolarmente
o nel loro insieme come categorie di beni culturali. Ma, a quanto mi risulti, La
mia Milano è l’unico testo che narri la città complessivamente facendo
perno proprio sull’importanza e sulla varietà delle arti delle varie epoche
nella città: pittura, scultura, architettura, musica. Riguardo a quest’ultima,
oltre a quanto avviene alla Scala e al Conservatorio Giuseppe Verdi, Milano è
ricca di concerti che risuonano periodicamente in chiese e palazzi e Gaccione
ne dà puntualmente notizia.
Se
siete appassionati/e di arti figurative e soprattutto di pittura non potete non
leggere La mia Milano prima di andare a visitare le numerosissime
chiese, i molti musei e case museo che adornano la città. Si inizia infatti da
Santa Maria della Passione e dalla sua Sala Capitolare con i quadri di
Bernardino Luini, Gaudenzio Ferrari e Bergognone, e poi si passa ad altre
chiese e alle abbazie di Chiaravalle e Viboldone. Poi c’è il Duomo, con la sua
splendida abside e con la stupefacente statua di San Bartolomeo a opera di
Marco d’Agrate. E poi ci sono Brera e la Pinacoteca Ambrosiana, a cui è
dedicato un lungo capitolo. Oltre ai notissimi capolavori di Leonardo,
Caravaggio e Tiziano e al cartone della “scuola d’Atene” di Raffaello è citato
anche il ritratto di frate Paolo Morigia, intellettuale, saggista e testimone
d’eccezione della Milano della seconda metà del Cinquecento e dell’inizio del
Seicento, prima cioè della peste del 1630; ritratto dipinto dalla diciottenne
Fede Galizia, notevolissimo per l’espressività del volto raffigurato e per le
lenti affumicate degli occhiali, riflettenti “alla fiamminga”. Per
quanto riguarda l’architettura delle varie epoche – presente in città dalle
colonne romane davanti a San Lorenzo a Palazzo Lombardia – il libro di Gaccione
si spazia dalla splendida Ca’ Granda, ora sede principale dell’Università
Statale, ai molti palazzi dei secoli successivi agli innumerevoli palazzi e
case Liberty, troppo spesso sottovalutati e trascurati, nonostante la fantasia
decorativa che per loro merito abbellisce la città. Non è possibile citarli
tutti, se non la Palazzina Liberty, che era stata rigenerata da Dario Fo e da
Franca Rame: dovete proprio leggere il libro e poi andare - libro alla mano - a
cercare le meraviglie narrate.
Non
mancano gli architetti e le opere del ’900 e del secolo in corso, come Palazzo
Lombardia sede della Regione e quello dell’Unicredit in piazza Gae Aulenti; ma
per trovare i soldi per costruire quest’ultimo palazzo furono licenziati 6.000
dipendenti (questo lo aggiungo io). E un’attenzione particolare viene rivolta
alle fontane: oltre a quelle più note e ben visibili, Gaccione va
meritoriamente a rintracciare quelle piccole e seminascoste. Su una fontana non
sono d’accordo con lui: quella ai Marinai d’Italia, in corso XXII Marzo, che a
lui non piace, mentre io trovo splendida la bronzea statua che si innalza sulla
cresta di un’onda, opera di Francesco Somaini, che si ispira a una vittoria
alata della Grecia classica. Per
le cascine viene dato rilievo a Cascina Linterno e a Cascina Chiesa Rossa, ora
sede dell’omonima suggestiva Biblioteca: bisognerebbe aggiungere Cascina
Cuccagna in Via Muratori; le cito per sottolineare che tutte e tre ora adornano
e rendono viva la città con le loro iniziative culturali solo perché
associazioni e comitati di cittadini e cittadine si erano impegnati a lottare
per il loro recupero e riuso contro le ipotesi iniziali del Comune che voleva
abbatterle.
Ma,
come dicevo, La mia Milano è un libro complessivo sulla città, per cui
spazia da luoghi caratteristici del passato e del presente, agli alberi e alle
suggestioni della natura e ad attività contemporanee, ben note come il Teatro
Officina e le sua attività in giro nelle periferie cittadine, e la Biblioteca
degli Alberi, o assai meno note come la Biblioteca Ostinata e il condominio di
Via Altaguardia. Un
solo appunto mi sento di fare ad Angelo Gaccione: nel suo libro si parla troppo
poco delle donne di Milano, protagoniste in varie epoche della storia. Ad esempio
viene ampiamente presentato il monumento a Cristina Trivulzio Belgioioso in
piazzetta Belgioioso e non quello a Margherita Hack in largo Richini di fronte
alla Cà Granda. Si parla – giustamente – di Ettore Modigliani, grande
soprintendente di Brera, ma non di Fernanda Wittgens, che gli succedette e a
cui si deve la rinascita di Brera dopo la Seconda guerra mondiale e il fatto di
averla fatta conoscere all’intera cittadinanza con attività assolutamente
innovative. Eppure Angelo Gaccione dimostra una certa sensibilità all’esistenza
delle donne nell’arte e nello spazio pubblico attuale, per cui alcuni nomi e
cognomi appaiono qua e là nel libro. Cito soltanto il fatto che attribuisce il
monumento Ago, filo e nodo di Piazzale Cadorna a entrambi i coniugi
Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, mentre quasi tutti lo citano come opera
solo del marito, dell’uomo.
Angelo
Gaccione è uomo di forte impegno civile, politico. Sono la stessa cosa:
“civile” deriva dal latino e “politico” dal greco, ma a me piace sottolineare
“politico” in quanto parola su cui molti storcono il naso ritenendola termine
compromissorio con i partiti e le istituzioni, mentre “politica” è tutto ciò
che riguarda la vita collettiva, la polis, in qualsiasi forma venga
agita (partito, sindacato, movimento, associazione, comitato di base). Per
questo ne La mia Milano compaiono anche le lapidi degli eroi della
Resistenza, il Campo della Gloria al Cimitero Maggiore, la targa sulla parte
posteriore del monumento a Cristina Trivulzio Belgioioso dedicata alle donne a
venire (pag. 178) e il Memoriale della Shoah con il suo Muro dell’ Indifferenza,
che fornisce il destro alla citazione del famoso brano di Antonio Gramsci,
“odio gli indifferenti” (pag. 200): quanto mai necessario da ricordare oggi, in
una fase in cui l’indifferenza dei più consente a chi governa di portare il
Paese allo sfascio. In
definitiva, a mio parere di milanese innamorata di Milano, il libro di Angelo
Gaccione è un’opera importante, è un canto d’amore per la città, cantato in
molte tonalità, che entra nella mente e nel cuore di lettori e lettrici e
dovrebbe spingerli/e a prendersi cura di una città dalle molte luci ma anche
dalle molte ombre, quali la continua speculazione immobiliare e la povertà
diffusa nei quartieri popolari. [Milano, 14
gennaio 2024]