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lunedì 22 gennaio 2024

LA QUESTIONE EBRAICA
di Rossana Sebastiani e Pierpaolo Calonaci

 
Uno spaccato quotidiano.
 
L'emancipazione politica dell'ebreo, del cristiano, dell'uomo religioso in generale, è l'emancipazione dello Stato dal giudaismo, dal cristianesimo, dalla religione in generale. Nel modo proprio della sua essenza in quanto Stato, lo Stato si emancipa dalla religione emancipandosi dalla religione di Stato, cioè quando lo Stato come Stato non professa alcuna religione, quando lo Stato riconosce piuttosto se stesso come Stato.
K. Marx, 1843

Leggiamo dell’iniziativa dell'ANPI di Bagno a Ripoli dal titolo: “Mai più: ottanta anni fa lo sterminio del popolo ebraico da parte dei nazisti. Oggi il genocidio del popolo palestinese da parte dello stato di Israele" e leggiamo la conseguente presa di distanza dell’ANPI provinciale e nazionale e anche delle successive prese di posizione di Carrai (console onorario di Israele, nda).
 
L'intelligenza che dovrebbe caratterizzare l'esser di sinistra per la costruzione di un'unità che sappia, nelle differenze, creare le condizioni di questa unità, ha ancora una volta confermato il suo limite strutturale: quello di dividersi. 
Inopportuno l'accostamento tra Shoah e genocidio di Gaza perché, sul piano comunicativo, può indurre l’opinione comune, davanti alla pulizia etnica del popolo palestinese, a pensare che la Shoà, in fondo, sia un evento tragico, certo, ma dove le vittime di ieri sono i carnefici di oggi, generando così ignoranza della storia. In un momento storico dove l'emotivismo e la pancia la fanno da padrona sulla ragione, occorre essere prudenti due volte. 
Sono da biasimare altrettanto le parole di Carrai, in risposta a quell’iniziativa, perché fanno dell’antifascismo italiano un uso di parte e perché implicitamente rimarcano che la pace è un prodotto di logiche che con la pace nulla hanno a che fare. Il disagio di Carrai sulla partecipazione dell’Imam di Firenze, Izzedin Elzir, all'iniziativa dell'ANPI di Bagno a Ripoli, disagio che traspare dalle sue parole quando ricorda che mentre la brigata ebraica lottava al fianco della resistenza italiana, il Gran Mufti di Gerusalemme era alleato di Hitler, sta lì a dire cosa? Che i palestinesi di oggi sono responsabili delle persecuzioni degli ebrei durante il nazismo? Che i palestinesi di oggi sono tutti nazisti? Che la “guerra ad Hamas” che ha fatto 25.000 morti civili è giustificata perché il Muftì era nazista? O perché quei 25.000 civili erano tutti terroristi di Hamas oppure nazisti?
Attenzione alle parole quindi, in quanto l’importanza di ogni parola deve essere pretesa da ogni parte.  Giacché se da un lato abbiamo richiamato prudenza per evitare accostamenti arbitrari, dall'altro evidenziamo come le parole di Carrai possano alimentare l'islamofobia. E tutto ciò non aiuta a comprendere una situazione spinosa e complessa come la questione israelo-palestinese.
Un inciso: l'Imam di Firenze svolge da anni per la città e per l'Italia un lavoro politico quale guida religiosa della comunità musulmana caratterizzato da pazienza, assoluto rispetto, lungimiranza, equilibrio nelle parole e nei gesti concreti da cui scaturisce una chiara volontà di dialogo e un desiderio di pace realissimi e razionalmente fondati; un atteggiamento senza retorica da cui, travalicando ogni pregiudizio, da qualunque parte questo arrivi, deriva un ascolto di fraternità e uguaglianza verso l'altro senza precedenti. E non è piaggeria questa, è la realtà delle cose stesse che afferma questo, basta saperla guardare.


Plaudiamo alla condanna della mattanza del popolo palestinese dell'ANPI nazionale, analogamente rimaniamo molto perplessi circa il fatto che la stessa non dica niente davanti alle affermazioni di Carrai. Esortiamo dunque l'ANPI a condurre una seria riflessione anche sul significato delle parole di quest'ultimo perché se si parla di pace, non come mera richiesta, occorre porre reciproci presupposti, che quelle parole, almeno secondo noi, non contribuiscono a fare. 
Ciò detto, affermiamo il nostro diritto di criticare Israele.
 
La storia della questione israelo- palestinese non comincia il 7 ottobre, con un atto che, va ripetuto fino allo sfinimento, va condannato come barbarie. Come vanno condannate tutte quelle azioni violente che uccidono civili, che fanno dei civili il proprio nemico. E ciò segna, per inciso, lo spartiacque tra la Resistenza italiana e l’agire di Hamas e di Israele.
Per capire, sempre che uno voglia davvero - perché la storia non si fa ingannare - andrebbe ripercorsa l’intera storia che ha portato alla costituzione dello Stato d’Israele e del sionismo, movimento che Eric Hobsbawm, storico tra i maggiori dell’età contemporanea, di origine ebraica, marxista e antifascista, tratta sotto la voce nazionalismo. Per capire i nazionalismi di oggi e, tra gli altri, il nazionalismo israeliano e quello arabo e palestinese. Fenomeni che vanno avversati e combattuti entrambi. Precisando doverosamente che anti-sionismo non significa anti-semitismo. Come avversare il nazionalismo islamico non significa credere che islam sia sinonimo di terrorismo. Altrettanto avversare il nazionalismo che in Europa ovunque sta tornando, Italia compresa. Parimenti, fare i conti con la propria storia e con i propri crimini va preteso con forza dal nazionalismo palestinese e dal nazionalismo sionista. Bisogna combattere l’uso politico della Shoah che non può essere la giustificazione per la pulizia etnica dei palestinesi come la pulizia etnica dei palestinesi non può essere la giustificazione per uccidere i civili israeliani o per distruggere lo stato d’Israele.
Va conosciuta dunque la storia moderna di Israele. Questo è il punto.
Serve leggere in modo dinamico e antidogmatico la lunghissima quanto complessa e spinosa storia di Israele, come già molti o pochi, non è dato sapere, ebrei stanno facendo. Una lettura coraggiosa che non assolve né occidente né Israele, perché fa luce non sul diritto all’esistenza di Israele, legittimo, ma sulla sua deformazione.


Serve, crediamo, agli ebrei per liberarsi dai miti che compromettono la capacità di guardare alla propria storia culturale e politica, quella che ha portato alla costituzione dello Stato d’Israele con lucidità e onestà intellettuale. Serve per conoscere come il trasferimento forzato dei palestinesi dalla Palestina fu pensato e intrapreso già prima della fine del mandato britannico. E con ogni mezzo violento. Dalle espulsioni forzate, alle rappresaglie e ai massacri. Una dearabizzazione che si è sostanziata anche, negli anni, apoteosi del crimine, in memoricidio. Serve ragionare sulle parole che di Ben Gurion sono riportate in un documento della Agenzia ebraica del 1938: “non vedo nulla di amorale nel trasferimento forzato dei palestinesi” (fuori dalla Palestina). Occorre in breve interrogarsi sulla natura dello stato di Israele. Incidentalmente ne consegue che se siamo di sinistra ciò significa interrogarsi, in generale, sulla natura dello stato e delle condizioni da cui nasce la società civile ad esso necessaria. Perché interrogarsi sulla propria storia senza preconcetti, crimini di ieri e di oggi compresi, e su quella storia e su quei crimini fare i conti, è l’unico modo per costruire convivenza tra le due comunità. Non sappiamo se in differenti stati o in un unico stato. Questo saranno, speriamo, ebrei e palestinesi a deciderlo, su un piano di parità.


Da questa parte del mondo invero, anche noi occidentali dobbiamo fare i conti fino in fondo con le nostre responsabilità e indagare il ruolo che l’occidente ebbe nel processo che portò il nazifascismo al potere e pure, per il tema dibattuto in queste righe, alla costituzione dello stato d’Israele.
E anche dovremmo poter dire che la memoria della Shoah e il giorno della memoria, come la banalità del male che tutt’oggi continua a permeare la vita sociale, non riguarda solo gli ebrei.
Mentre il giorno della memoria dovrebbe essere patrimonio di un antifascismo militante e vitale dell’oggi, che rifiuti e combatta ogni genocidio, ogni apartheid, ogni pulizia etnica, ogni guerra, ogni galera a cielo aperto da qualunque paese sia commesso, ieri come oggi. Perfino da Israele.

 
Forse il titolo dell'iniziativa dell'Anpi di Bagno a Ripoli poteva essere: “Mai più: ieri la diaspora degli ebrei, oggi quella dei palestinesi”, mutuando le parole di Pertini, che nel 1983 ebbe a dire: “Adesso stiamo assistendo alla diaspora dei palestinesi. Una volta furono gli ebrei che furono cacciati dal medio-oriente e dispersi nel mondo. Adesso sono invece i palestinesi. Ebbene io affermo ancora una volta che i palestinesi hanno diritto sacrosanto ad una patria e a una terra come l’hanno avuta gli ebrei, gli israeliti”.
E riferendosi al massacro di Sabra e Chatila: “il responsabile di quel massacro orrendo è ancora il governo in Israele (Ariel Sharon) e quasi va baldanzoso di quel massacro mentre dovrebbe essere bandito dalla società”. Parole, quelle di Pertini, di un antifascismo militante, cristallino, che è strumento vivo per interpretare l’oggi e il domani e che non teme i parallelismi, diaspora palestinese come diaspora ebrea. Senza equilibrismi.

 
Siamo impotenti nel constatare come la  Palestina e Israele non conoscano pace e nel constatare che se anche un lembo piccolo piccolo come la Palestina non vive in pace, anche gli ebrei non vivranno mai in pace  (sebbene tutta la forza militare a disposizione, anzi è vero l'inverso!) e nessun popolo vivrà in pace perché la pace, come in un ordito e in una trama di relazioni sociali, non vive di rapporti di forza ma di sano conflitto, essenza del dialogo, da cui nasce confronto e trasformazione reciproca sorprendente. La pace la costruisce chi ama la pace. Significa dedicarci a creare campi di comprensione invece che campi di battaglia (T. Terzani), disobbedendo la legge dell’odio, del taglione, quale unica risposta per affermare la propria esistenza.